[31 agosto ]
Nella foto Aleksey Mozgovoy, comandante della Brigata Prizrak (Fantasma), assassinato nel tardo pomeriggio del 23 maggio scorso tra Alchevsk e Lugansk.
Nella foto Aleksey Mozgovoy, comandante della Brigata Prizrak (Fantasma), assassinato nel tardo pomeriggio del 23 maggio scorso tra Alchevsk e Lugansk.
Sono alla fine della seconda tappa del mio viaggio di solidarietà al popolo del Donbass. Sto per lasciare Alcyesk, uno degli ultimi parchi archeologici industriali che possono mostrare ai cultori delle sue teorie la base sociale su cui si poggiava il marxismo. Città con un enorme impianto metallurgico che produce profilati di acciaio per i più svariati scopi. Sotto l’URSS, venivano da queste fabbriche le pareti di acciaio dei sottomarini nucleari.
Le sirene continuano a suonare alle 7 ed alle 16 come allora per scandire la vita; solo da qualche mese la sera, quando il buio è già denso, si sono aggiunti i sordi tuoni che ricordano agli abitanti che siamo in zona di ATO (operazione antiterrorismo), come chiamano gli ucraini questa zona a nordest di Debaltzevo, l’importante nodo ferroviario, teatro della loro ultima cocente sconfitta.
Qui, in questa cittadina dall’aria pungente dove l’anidride solforosa si mescola all’ossigeno in percentuali da far impazzire gli apparati di rivelazione d’inquinamento ambientale, ha sede la brigata Prizrak, una delle peggiori spine nel fianco dell’operazione ATO. Quando sono arrivato qui, ero reduce dalla presentazione del mio libro Antimaidan a Donetsk e da una visita al fronte in una delle zone più calde di Donetsk.
Mi ero abituato alle due facce della grande città zona di guerra: sotto i bombardamenti di notte e efficiente centro produttivo e commerciale di giorno. Ma almeno nelle ore diurne era difficile intravedere i segni della guerra. Qui ad Alcyesk, invece, la brigata ha quasi soppiantato (almeno dal punto di vista ideale) le tradizioni metalmeccaniche della cittadina e tanti lavoratori hanno lasciato il loro posto di lavoro per offrirsi volontari fin dalle prime fasi del conflitto.
All’epoca la brigata non veniva denominata Prizrak ma semplicemente “gli uomini di Mozgovoj”. Lui era il loro capo indiscusso, un artista, un intellettuale che aveva lasciato l’arte per diventare condottiero di quella che allora era una grossa banda partigiana che cercava di allergire dall’esterno la pressione su Slaviansk da parte degli Ucraini.
Ora di lui nella brigata rimangono tanti ricordi: quello più visibile è una specie di altare all’entrata del comando centrale con la sua foto e quella di altre sei persone trucidate in un agguato di stampo mafioso appena fuori Alcyesk, in una sera di primavera, lo scorso 23 maggio.
Mozgovoj non era comunista, ma voleva uno stato dove le risorse generali appartenessero al popolo: miniere, acqua, elettricità ed i proventi delle imprese statali dovevano ritornare al popolo sotto forma di scuole, servizi sociali. Ma non era un nemico dell’attività privata. Il piccolo, medio borghese doveva avere spazio di crescita economica nei limiti di una centralizazione delle risorse naturali. Ragionamenti semplici, quasi elementari, che farebbero storcere il naso per eccesso di semplificazione a più di qualche esperto di economia, ma che qui avevano fatto breccia tra i minatori ed i metalmeccanici.
Gli arruolamenti con il perdurare della guerra sono aumentati in maniera spontanea. Gli ultimi di una società che ha visto il passaggio improvviso dal socialismo reale al capitalismo selvaggio, hanno preso l’AK ed incominciato a combattere con entusiasmo i reparti neonazisti ucraini. Questa componente politica all’interno della brigata si è estremizzata nella figura del “Battaglione 404”, un battaglione interamente comunista con tanto di commissario politico. Dovevo condividere con loro qualche giorno al fronte per interviste ma purtroppo, dopo due giorni passati ad Alcyesk ad aspettare che si materializzasse la possibilità di arrivare al villaggio che tengono sulla linea di fronte, ho compreso che le loro difficoltà logistiche sono concrete ed ho preferito continuare per Lugansk dove il ministero della cultura mi attende per una presentazione del mio libro.
Riesco comunque nella prima serata a fare una chiaccherata con uno degli italiani che combatte nella 404 . Un uomo sui trenta a cui diamo il nome di Vladimiro e che viene dal centro Italia. Comunista come tutti nel battaglione, è ormai un veterano; si è fatto la Debaltzevo e mi conferma che la ”voce” che il battaglione sia andato all’attacco con un caricatore in arma ed un altro di riserva, cioè con sessanta colpi, corrisponde alla realtà. Il resto lo racimolavano strada facendo tra il disastro dell’esercito ucraino, che si conferma nei fatti il miglior fornitore di logistica ai reggimenti delle due repubbliche. Adesso tengono posizione a Donetsky Staniza, un piccolo villaggio di cosacchi, sulla linea del fronte. Le condizioni di vita sono spartane: una stuoia di gomma ed un sacco a pelo come materasso ed il tetto scricchiolante di qualche isba bombardata.
La situazione logistica non è migliorata di molto e non svelo un segreto militare: lo sanno tutti, compresi gli Ucraini, che le tensioni tra i capi della Repubblica di Lugansk e la Prizrak in generale ed in particolare con questo battaglione di volontari si pagano con un supporto logistico ridotto al lumicino.
I turni sulle posizioni sono questi: 4 ore di sorveglianza, 4 ore di riposo, due giorni lontano dal fronte dopo un mese di servizio. Ed anche se razionalmente da ex ufficiale capisco che tenere il fronte così è da incoscienti, non posso fare a meno di nutrire simpatia per questi coraggiosi. Tanto coraggio meritebbe più di una versione 2015 della guardia rossa che difese la rivoluzione bolscevica. A Vladimiro parlo di quello che a mio avviso meriterebbe l’investimento di queste belle energie morali di cui lui ed i suoi compagni italiani sono dotati: gli parlo di sovranismo, di superare il concetto di destra e sinistra che ha diviso il nostro paese in due trincee, vanificando le energie della ”meglio gioventù”. La maggior parte del resto della serata sono io a portare argomentazioni, esempi storici per provare a mettere un seme di una rivoluzione sovranista che deve far risorgere il nostro paese da una schiavitù a stelle strisce lobotomizzante.
Mi guarda pensieroso, attento; a volte prova a trovare argomentazioni che mettono in fallo i miei ragionamenti. So che staccarsi da un sentiero centrato su certezze di bandiere politiche non è semplice, non voglio forzare nessuno, semplicemente indurre a riflessioni. Mi congeda con un visto stanco: vuole andare a dormire presto, la sua vacanza di due giorni è finita.
* Fonte: Appello al Popolo
** Max Bonelli milita nelle file di Associazione per la Riconquista della Sovranità (ARS)
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