La Legge di stabilità Renzi-Padoan passa per ora il vaglio europeo.
E intanto nel "condominio Europa" si litiga su chi debba pagare la luce delle scale...
[Nella foto il corteo del 25 ottobre mentre si reca presso la Residenza di Mario Draghi a Città della Pieve]
Il provvisorio compromesso tra la Commissione europea ed il governo italiano è dunque cosa fatta. Così pure quello con l'esecutivo francese. Pur senza rispettare appieno i vincoli europei, Renzi ed Hollande ridurranno i rispettivi deficit previsti per il 2015. La recessione troverà così nuovo carburante, mentre il risultato dei "rigoristi" sarà in realtà assai modesto. Tutti si diranno vincitori, mentre invece sono tutti sconfitti.
Molti si sono chiesti se quella di questi giorni non sia stata semplicemente una commedia delle parti, una sceneggiata utile soltanto a salvare la faccia sia ai governi che alla Commissione. Ne dubitiamo, perché se così fosse il risultato sarebbe davvero modesto per tutti.
Prendete il caso di Renzi. Costui si è vantato di una manovra espansiva, simboleggiata da 11 miliardi di spesa in deficit. Ora, come riconosce il Corriere della Sera di ieri, questa cifra si ridurrà a 7 miliardi. Una goccia nel mare della recessione, certo non in grado di rappresentare una vera misura anticiclica, anche perché nella finanziaria non c'è traccia di una politica di investimenti pubblici.
Ma questo, signori, è il liberismo. Chiuso nella granitica certezza di una ripresa figlia del «mercato», e più esattamente frutto di un'intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro. Per convinzione e/o per necessità, costoro credono davvero che il Jobs act favorirà la ripresa degli investimenti privati. Un'ipotesi tutta da dimostrare e che la storia di questi anni ci mostra semmai quanto sia irrealistica.
Ma anche i rigoristi non ne escono bene. Le loro bacchettate sulle dita dei governi nazionali non sembrano infatti sufficienti a salvare ciò che gli sta a cuore: l'impalcatura di regole e regolette che serve a tenere in piedi la loro creatura fondamentale, la moneta unica.
La situazione si presenta dunque assai incerta. Roma e Parigi hanno detto in sostanza che queste regole (quelle fondamentalmente riconducibili al Fiscal compact) non possono funzionare, ma non hanno voluto mettere in discussione quel sistema che le rende necessarie. A Bruxelles, come a Berlino, invece, non c'è nessuna intenzione di cambiarle, ma una certa difficoltà a farle rispettare è assai evidente.
In un quadro del genere, anche per l'oggettiva debolezza dei vari soggetti in campo, è naturale che si sia arrivati ad una soluzione di compromesso. Ma uno di quei compromessi che non risolve alcun problema, semplicemente li rinvia.
La piccola trasgressione dell'asse Parigi-Roma non modificherà il trend economico negativo, come del resto la piccola correzione ottenuta dalla Commissione non basterà certo a rimettere ilFiscal compact in carreggiata.
Siamo dunque ad un semplice rinvio dei nodi irrisolti ai prossimi mesi, quando sarà evidente, ad esempio, la prosecuzione della recessione italiana, tanto più acuta quanto più il governo vorrà intestardirsi nella politica dei tagli. Oltretutto, molte voci della Legge di stabilità sono assai dubbie, a partire dal maggior gettito previsto dalla lotta all'evasione fiscale. Una voce del tutto aleatoria, e proprio per questo da mettere a bilancio solo a consuntivo, non certo a preventivo. E invece, nella lettera a Katainen, Padoan si impegna (oltre ai 3,8 miliardi già inseriti con sospetta faciloneria nelle "entrate") a reperire altri 730 milioni di euro dall'estensione del cosiddetto «reverse charge», un diverso meccanismo di riscossione dell'IVA la cui efficacia è in realtà tutta da dimostrare.
Che i problemi siano solo rinviati di qualche mese è reso piuttosto esplicito da un passaggio della lettera recapitata a Roma ieri sera, nel quale il commissario Katainen spiega che: «eventuali futuri passi secondo le regole del patto di Stabilità e di Crescita saranno decisi più in là, sulla base delle previsioni economiche di autunno della Commissione e delle opinioni sui bilanci previsionali». Una puntualizzazione che basta ed avanza... E che descrive assai bene l'attuale disordine europeo, una situazione che può produrre compromessi ma non soluzioni.
E che quella odierna sia un'Europa senza bussola, terreno di scontro tra diversi interessi e i diversi Stati, è reso evidente anche da altri recenti «fatterelli», non solo dalle vicissitudini delleLeggi di stabilità. Del caso dei dubbi criteri voluti dalla Bce per gli «stress test» bancari si è già occupata sollevAzione. Vediamo qui, invece, quello della «lite condominiale» scoppiata nel vertice europeo della settimana scorsa.
Una vicenda, quest'ultima, che sembrerebbe inventata da qualche «antieuro internettaro» voglioso di denigrare a tutti i costi l'Unione, che invece sa screditarsi benissimo da sola. Di cosa si tratta? Come tutti ricorderanno, l'austera Europa ha recentemente rivalutato i rispettivi Pil nazionali, includendo nel loro computo alcune attività non propriamente commendevoli, quali ad esempio la prostituzione ed il traffico di droga.
Giunti i risultati da Eurostat, a Bruxelles hanno preso a far di conto. E cosa è venuto fuori? E' emerso che, in base ai nuovi Pil, occorre una diversa distribuzione delle varie quote nazionali al budget comunitario. Ad esempio, l'Italia dovrà pagare una maggiorazione di 340 milioni di euro, l'Olanda di 642, la Gran Bretagna di 2,125 miliardi. Al contrario, la Francia incasserà un miliardo e 16 milioni, la Germania 779 milioni, la Danimarca 321 milioni.
Cifre non grandissime, ma in grado di scatenare la classica rissa delle comari sul ballatoio. Una sorta di discussione condominiale su chi deve pagare la luce delle scale, nella quale i creditori non hanno mostrato alcuna intenzione di chiudere un occhio, mentre i principali debitori si sono messi subito a gridare. Ora, dopo pochi giorni, l'Olanda sembra pronta a pagare. Non così la Gran Bretagna, con un governo Cameron sempre più in difficoltà.
Anche questo episodio, di per sé certamente minore, attesta lo stato comatoso dell'Unione. Così come nella realizzazione degli stress test bancari, così come nell'applicazione delle regole di bilancio, viene fuori un'Europa sempre più in crisi ed in fase di decomposizione.
Non riusciamo proprio a capire come sia ancora possibile fare finta di ignorare questa realtà. L'Europa non «cambiaverso» e, soprattutto, l'Unione non è in alcun modo riformabile.
1 commento:
Consoliamoci con l'Europa che ha la febbre da cavallo, ma ricordiamoci che Europa vuol dire soprattutto NATO e prima che crepi succederà l'Armagheddon.
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