1 ottobre.
Renzi: epuratore od apprendista stregone?
Scontato. Il farabutto ha avuto l'80% dei voti di una Direzione fatta a sua immagine e somiglianza. Intanto la stampa mainstream esulta: secondo i sondaggisti «il 50% degli italiani non considera l'articolo 18 un tabù».
Scontato. Il farabutto ha avuto l'80% dei voti di una Direzione fatta a sua immagine e somiglianza. Intanto la stampa mainstream esulta: secondo i sondaggisti «il 50% degli italiani non considera l'articolo 18 un tabù».
Interessante: e l'altro 50%?
Non scordiamocelo mai: la vera forza di Renzi non è nel consenso, che nei termini che si vorrebbe far credere proprio non esiste. La sua forza è tutta nella debolezza degli altri. Debole è l'opposizione, non tanto in parlamento quanto nel Paese. Deboli sono i competitors interni al Pd. Una debolezza che autorizza l'arroganza del mascalzone, ed i suoi mussoliniani «me ne frego».
Ieri, su mandato quirinalizio, ha addolcito i termini solo per tener ferma la sostanza. Addolciti quel tanto - invero quasi nulla - che bastava per garantirsi il voto dei Giovani turchi. I quali giovani non sono più da tempo, e che più che turchi sprizzano italianissimo trasformismo da tutti i pori.
Fin qui la cronaca di una buffa corrida chiamata Direzione. Un organismo che non dirige un bel niente, limitandosi a ratificare plaudente le direttive del capo. Se poi quest'ultimo è un mezzo pagliaccio, il degno erede del barzellettiere di Arcore, il risultato è garantito. E passano da lì difatti le peggiori porcherie. Ma passano come l'acqua sul marmo, come già avvenuto per la legge elettorale e la (contro)riforma istituzionale.
Di certo non piacerà a Bersani e D'Alema, ma Renzi è la degna risultante del percorso verso il nulla iniziato da Occhetto. Un percorso che inizialmente si voleva a-comunista ma di sinistra, ma che poi ha dato i frutti inevitabili di una mission già da allora precisa: essere il partito dellagovernance di sistema. Un sistema che nel frattempo veniva assumendo, sempre più, i connotati oligarchici ben visibili oggi.
Dunque, «chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Questo significa che possiamo allora disinteressarci degli sviluppi di questa vicenda? No, sarebbe un grave errore.
Il berluschino fiorentino ha scatenato l'attuale putiferio sull'articolo 18 per tre motivi: perché «glielo ha chiesto l'Europa»; per mettere in secondo piano la manovra finanziaria e più in generale l'inesorabile degradarsi della situazione economica; perché, al pari del suo vero ispiratore, non ammette discussioni interne degne di questo nome.
La minoranza del Pd - la cui debolezza politica è facilmente ravvisabile nei modi curiali di un leader improbabile come Cuperlo - si trova così nella scomoda posizione di dover condurre una battaglia che non avrebbe mai voluto. E che Renzi invece vuole, essendo questo il modo più efficace per raffigurarsi come il «Blair italiano».
Ora, alle persone minimamente perbene il guerrafondaio Tony Blair non potrà che fare schifo. Non così al salottiero mondo politico e mediatico che strolica da vent'anni, con fare accigliato, sul futuro di quella che loro chiamano ancora «sinistra». Per costoro, che amano follemente la patria della City, uno dei centri del capitalismo-casinò, Blair è il modello. Un modello che oggi guadagna fior di milioni all'anno nella qualità di massimo consigliere del despota kazako Nazarbayev, ma questo è un altro discorso...
Quella di Renzi è dunque una sofisticata operazione politica. Portando lo scalpo dei lavoratori italiani a Bruxelles pensa di avere qualche margine di manovra in più, probabilmente un rinvio del pareggio di bilancio di 1-2 anni. Questo non basterà a nascondere i propri fallimenti, ma certo servirà a parlar d'altro, a mettere sotto tiro i fantasmatici bersagli della «conservazione» sindacale e politica.
Un trucchetto da politicanti di quart'ordine, che nel breve periodo potrebbe però avere una certa efficacia.
La linea intrapresa può portare a diverse ipotesi di sviluppo, tanto per il futuro del governo quanto per quello del Pd. Vediamole.
E' ben difficile che una scissione possa essere evitata. Questa non è certa, né possiamo conoscerne i tempi. E tuttavia è probabile, dato che Renzi la vuole, spingendo la cosiddetta «vecchia guardia», rappresentata dal duo D'Alema-Bersani, ad un aut-aut che suona sostanzialmente così: o vi arrendete o ve ne andate. Difficile che scelgano la resa, anche se la scelta finale dipenderà da tanti fattori.
Il prossimo passaggio, assai più delicato della scontata direzione di ieri, avverrà al Senato, dove la maggioranza governativa ha numeri abbastanza stretti. Quanti senatori della minoranza Pd opteranno alla fine per il no? Al momento nessuno lo sa. In teoria ci sono tre possibilità: 1) la maggioranza tiene magari con qualche modesta defezione, 2) il governo va sotto, 3) la delega passa ma con i voti determinanti della destra.
Nel secondo e nel terzo caso avremmo la crisi di governo, che porterebbe abbastanza rapidamente alle elezioni. Già, ma con quale legge? Ecco che ben si capisce la fretta dei renziani ad accelerare i tempi dell'approvazione della super-truffa denominata «Italicum». Per loro l'ideale sarebbe andare alle elezioni nella prossima primavera con la nuova legge iper-maggioritaria. Ma gli altri glielo consentiranno?
Certo, tutto ciò troverebbe una soluzione con un governo Renzi-Berlusconi già prima del voto. Inevitabili però i contraccolpi sia nel blocco della destra che in quello del centrosinistra. In quest'ultimo, in particolare, i dalemiani avrebbero buon gioco a denunciare non un semplice inciucio, ma addirittura un'alleanza di governo con l'odiato nemico.
Come si vede la situazione è mobile ed incerta, a dispetto di quanti dopo le europee prevedevano una decisa stabilizzazione del quadro politico.
Questa incertezza, tuttavia, non dipende solo dalle fibrillazioni politiche. Essa è figlia, in primo luogo, della crisi e della sua gestione da parte dell'Unione Europea.
Nel dibattito avvenuto nella direzione del Pd, solo Fassina ha toccato in modo chiaro il punto. L'ex vice-ministro del governo Letta ha detto che la definitiva abolizione dell'articolo 18 serve ad accelerare l'attacco al salario, velocizzando quella svalutazione interna che è resa obbligata dall'impossibilità (volendo restare nell'eurozona) della svalutazione monetaria.
Gira che ti rigira torniamo sempre lì. Fassina, come al solito, non trae le logiche conseguenze del suo ragionamento. Ma questo sarebbe chiedere troppo...
In effetti, il vero nodo non è l'articolo 18, che è stato già sostanzialmente svuotato dalla contro-riforma Fornero della primavera del 2012. Questo lo sanno tutti. La battaglia sull'articolo 18 ha invece un elevato valore simbolico, e la sua definitiva cancellazione ha lo scopo di accendere il semaforo verde ad una pesante riduzione salariale. Quella, appunto, che «ci chiede l'Europa».
Ogni intralcio a questo disegno reazionario sarà per noi benvenuto. Non importa se esso verrà da una «vecchia guardia» quanto mai squalificata. Importa che avvenga, meglio ovviamente se con la ripresa della lotta sociale.
Ecco perché non possiamo disinteressarci allo scontro interno al Pd. Renzi immagina un'epurazione che nei suoi calcoli potrebbe dargli un ulteriore vantaggio d'immagine. Non è detto però che vada così. Il suo dinamismo non è solo caratteriale, è che non può fare diversamente. Solo in questo modo può nascondere la realtà delle cose. Ma così facendo è costretto all'azzardo continuo, e non è affatto detto che i conti possano sempre tornargli. Alla fine l'epuratore potrebbe invece rivelarsi un apprendista stregone.
Certo, il blocco dominante coltiva già una soluzione alternativa - basti pensare al recente articolo di De Bortoli -, ma se dopo Berlusconi, Monti e Letta, anche il bomba dovesse andarsene in tempi non troppo lunghi, questo non sarebbe privo di conseguenze.
Se non altro perché avremmo la prova provata dell'impossibilità di uscire dall'attuale recessione restando ancora dentro la gabbia europea, le sue regole, i suoi vincoli, i suoi diktat. E non sarebbe poco.
Non scordiamocelo mai: la vera forza di Renzi non è nel consenso, che nei termini che si vorrebbe far credere proprio non esiste. La sua forza è tutta nella debolezza degli altri. Debole è l'opposizione, non tanto in parlamento quanto nel Paese. Deboli sono i competitors interni al Pd. Una debolezza che autorizza l'arroganza del mascalzone, ed i suoi mussoliniani «me ne frego».
Ieri, su mandato quirinalizio, ha addolcito i termini solo per tener ferma la sostanza. Addolciti quel tanto - invero quasi nulla - che bastava per garantirsi il voto dei Giovani turchi. I quali giovani non sono più da tempo, e che più che turchi sprizzano italianissimo trasformismo da tutti i pori.
Fin qui la cronaca di una buffa corrida chiamata Direzione. Un organismo che non dirige un bel niente, limitandosi a ratificare plaudente le direttive del capo. Se poi quest'ultimo è un mezzo pagliaccio, il degno erede del barzellettiere di Arcore, il risultato è garantito. E passano da lì difatti le peggiori porcherie. Ma passano come l'acqua sul marmo, come già avvenuto per la legge elettorale e la (contro)riforma istituzionale.
Di certo non piacerà a Bersani e D'Alema, ma Renzi è la degna risultante del percorso verso il nulla iniziato da Occhetto. Un percorso che inizialmente si voleva a-comunista ma di sinistra, ma che poi ha dato i frutti inevitabili di una mission già da allora precisa: essere il partito dellagovernance di sistema. Un sistema che nel frattempo veniva assumendo, sempre più, i connotati oligarchici ben visibili oggi.
Dunque, «chi è causa del suo mal pianga se stesso».
Questo significa che possiamo allora disinteressarci degli sviluppi di questa vicenda? No, sarebbe un grave errore.
Il berluschino fiorentino ha scatenato l'attuale putiferio sull'articolo 18 per tre motivi: perché «glielo ha chiesto l'Europa»; per mettere in secondo piano la manovra finanziaria e più in generale l'inesorabile degradarsi della situazione economica; perché, al pari del suo vero ispiratore, non ammette discussioni interne degne di questo nome.
La minoranza del Pd - la cui debolezza politica è facilmente ravvisabile nei modi curiali di un leader improbabile come Cuperlo - si trova così nella scomoda posizione di dover condurre una battaglia che non avrebbe mai voluto. E che Renzi invece vuole, essendo questo il modo più efficace per raffigurarsi come il «Blair italiano».
Ora, alle persone minimamente perbene il guerrafondaio Tony Blair non potrà che fare schifo. Non così al salottiero mondo politico e mediatico che strolica da vent'anni, con fare accigliato, sul futuro di quella che loro chiamano ancora «sinistra». Per costoro, che amano follemente la patria della City, uno dei centri del capitalismo-casinò, Blair è il modello. Un modello che oggi guadagna fior di milioni all'anno nella qualità di massimo consigliere del despota kazako Nazarbayev, ma questo è un altro discorso...
Quella di Renzi è dunque una sofisticata operazione politica. Portando lo scalpo dei lavoratori italiani a Bruxelles pensa di avere qualche margine di manovra in più, probabilmente un rinvio del pareggio di bilancio di 1-2 anni. Questo non basterà a nascondere i propri fallimenti, ma certo servirà a parlar d'altro, a mettere sotto tiro i fantasmatici bersagli della «conservazione» sindacale e politica.
Un trucchetto da politicanti di quart'ordine, che nel breve periodo potrebbe però avere una certa efficacia.
La linea intrapresa può portare a diverse ipotesi di sviluppo, tanto per il futuro del governo quanto per quello del Pd. Vediamole.
E' ben difficile che una scissione possa essere evitata. Questa non è certa, né possiamo conoscerne i tempi. E tuttavia è probabile, dato che Renzi la vuole, spingendo la cosiddetta «vecchia guardia», rappresentata dal duo D'Alema-Bersani, ad un aut-aut che suona sostanzialmente così: o vi arrendete o ve ne andate. Difficile che scelgano la resa, anche se la scelta finale dipenderà da tanti fattori.
Il prossimo passaggio, assai più delicato della scontata direzione di ieri, avverrà al Senato, dove la maggioranza governativa ha numeri abbastanza stretti. Quanti senatori della minoranza Pd opteranno alla fine per il no? Al momento nessuno lo sa. In teoria ci sono tre possibilità: 1) la maggioranza tiene magari con qualche modesta defezione, 2) il governo va sotto, 3) la delega passa ma con i voti determinanti della destra.
Nel secondo e nel terzo caso avremmo la crisi di governo, che porterebbe abbastanza rapidamente alle elezioni. Già, ma con quale legge? Ecco che ben si capisce la fretta dei renziani ad accelerare i tempi dell'approvazione della super-truffa denominata «Italicum». Per loro l'ideale sarebbe andare alle elezioni nella prossima primavera con la nuova legge iper-maggioritaria. Ma gli altri glielo consentiranno?
Certo, tutto ciò troverebbe una soluzione con un governo Renzi-Berlusconi già prima del voto. Inevitabili però i contraccolpi sia nel blocco della destra che in quello del centrosinistra. In quest'ultimo, in particolare, i dalemiani avrebbero buon gioco a denunciare non un semplice inciucio, ma addirittura un'alleanza di governo con l'odiato nemico.
Come si vede la situazione è mobile ed incerta, a dispetto di quanti dopo le europee prevedevano una decisa stabilizzazione del quadro politico.
Questa incertezza, tuttavia, non dipende solo dalle fibrillazioni politiche. Essa è figlia, in primo luogo, della crisi e della sua gestione da parte dell'Unione Europea.
Nel dibattito avvenuto nella direzione del Pd, solo Fassina ha toccato in modo chiaro il punto. L'ex vice-ministro del governo Letta ha detto che la definitiva abolizione dell'articolo 18 serve ad accelerare l'attacco al salario, velocizzando quella svalutazione interna che è resa obbligata dall'impossibilità (volendo restare nell'eurozona) della svalutazione monetaria.
Gira che ti rigira torniamo sempre lì. Fassina, come al solito, non trae le logiche conseguenze del suo ragionamento. Ma questo sarebbe chiedere troppo...
In effetti, il vero nodo non è l'articolo 18, che è stato già sostanzialmente svuotato dalla contro-riforma Fornero della primavera del 2012. Questo lo sanno tutti. La battaglia sull'articolo 18 ha invece un elevato valore simbolico, e la sua definitiva cancellazione ha lo scopo di accendere il semaforo verde ad una pesante riduzione salariale. Quella, appunto, che «ci chiede l'Europa».
Ogni intralcio a questo disegno reazionario sarà per noi benvenuto. Non importa se esso verrà da una «vecchia guardia» quanto mai squalificata. Importa che avvenga, meglio ovviamente se con la ripresa della lotta sociale.
Ecco perché non possiamo disinteressarci allo scontro interno al Pd. Renzi immagina un'epurazione che nei suoi calcoli potrebbe dargli un ulteriore vantaggio d'immagine. Non è detto però che vada così. Il suo dinamismo non è solo caratteriale, è che non può fare diversamente. Solo in questo modo può nascondere la realtà delle cose. Ma così facendo è costretto all'azzardo continuo, e non è affatto detto che i conti possano sempre tornargli. Alla fine l'epuratore potrebbe invece rivelarsi un apprendista stregone.
Certo, il blocco dominante coltiva già una soluzione alternativa - basti pensare al recente articolo di De Bortoli -, ma se dopo Berlusconi, Monti e Letta, anche il bomba dovesse andarsene in tempi non troppo lunghi, questo non sarebbe privo di conseguenze.
Se non altro perché avremmo la prova provata dell'impossibilità di uscire dall'attuale recessione restando ancora dentro la gabbia europea, le sue regole, i suoi vincoli, i suoi diktat. E non sarebbe poco.
2 commenti:
Più che una scissione per il PD occorrerebbe una transustanziazione. Si tratta di uno dei tanti esempi di "partiti " di sinistra e finiti peggio della destra dopo aver camminato mano nella mano con la finta opposizione lungo disastrose (per i lavoratori) legislature.
Adesso salta fuori quella del TFR , somme che i lavoratori, in base alle disposizioni vigenti, versano mensilmente come specie di buona uscita per quando andranno in pensione (campa cavallo con la riforma Fornero!!!) .
Ma in cauda venenum (ti pareva!), Si tratta di far fuori l'INPS che dà fastidio ai Fondi Pensione (Banche!!) che ai capitalisti delle Banche interessano particolarmente e che non decollano come le Assicurazioni speravano a causa della Previdenza Sociale pubblica.
Una scissione? Bastasse! Saremmo al punto piuttosto per uno scioglimento. Ma quand'è che si guarda allo specchio sta gente?
Purtroppo sono ancora oltre il 40%!!!
E questo è un segno dell'irrimediabilità della situazione della Sinistra!!
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