10 ottobre. Ultim'ora.
Oggi, nel pomeriggio, una delegazione della Marcia della Dignità si è recata all'ingresso della acciaierie dov'è in corso il PRESIDIO PERMANENTE (i sindacati, tra il malumore degli operai, non hanno nemmeno organizzato il blocco delle portinerie per non far uscire le merci!) per portare la propria solidarietà ai lavoratori.
Alle 18:00 gli operai hanno fatto un blocco stradale, noi con loro.
Quello che segue è il volantino che abbiamo distribuito.
OCCUPARE LA FABBRICA PER PIEGARE THYSSEN
(e se i tedeschi non ci sentono, nazionalizzare l’Ast!)
Prima ti diedero un mutuo per comprarti casa. Poi un prestito per la Tv al plasma. Un altro ancora per lo smartphone.
Ti fecero credere che non eri più un operaio “sfigato”, ti fecero diventare ceto medio a debito. E col ricatto del debito ti hanno fatto sgobbare a testa bassa. Ma sotto padrone restavi ed ora, il padrone (tedesco), dopo aver “pocciato” dalle mammelle dello Stato e averti spremuto come un limone, fa le valigie e ti getta nella spazzatura.
Dov’eri tu quanto altri italiani gettati sul lastrico si ribellavano e chiedevano aiuto? Voltasti le spalle, sperando che il tuo turno non venisse mai.
Ora che è toccato anche a te, sei costretto a lottare. Lo vedi da solo che lo Stato ti ha abbandonato, che il governo Renzi e i partiti se ne fregano, mentre il sindacato… perché esiste un sindacato?
La strega Lucia Morselli e i vampiri della Thyssen in che sperano? Nella tua rassegnazione, che se non hai ricevuto la lettera di licenziamento volterai le spalle ai 537 lasciandoli al loro destino.
Dei sindacati non hanno paura, temono piuttosto la tua dignità, che questa volta dici basta, che ti comporti da uomo e non da caporale.
C’è solo una possibilità: la lotta dura, unitaria, ragionata, per fare della vicenda Ast un caso nazionale.
Solo con la massima combattività e compattezza, con l’occupazione della fabbrica e il blocco ad oltranza della produzione si obbligherà la Thyssen a riaprire le trattative (e in questo caso al tavolo vada un comitato eletto in assemblea e non coloro che in questi decenni hanno accettato le peggio porcherie, a partire dalla privatizzazione e dalla svendita alle multinazionali).
Solo con una prova di forza le maestranze dell’AST meriteranno e otterranno la solidarietà generale.
E se la Thyssen non farà un passo indietro, ritirando sia i licenziamenti che la disdetta del contratto di secondo livello, che lo Stato faccia lo Stato e nazionalizzi le acciaierie! E’ chiedere troppo? No è chiedere il necessario per difendere, assieme al diritto al lavoro, il futuro di Terni e quello dell’Italia come paese industriale e sovrano.
Una sovranità che perdemmo accettando di strisciare ai piedi di quest’Euro(pa) del “libero mercato” —per cui, mentre qui si licenzia, l’Italia deve importare acciaio dalla Germania (primo produttore europeo) o dalla Turchia—, una sovranità che prima o poi va riconquistata, se non vogliamo finire nel “terzo mondo” e diventare tutti servi della gleba.
Terni, 10 ottobre 2014
OCCUPARE LA FABBRICA PER PIEGARE THYSSEN
(e se i tedeschi non ci sentono, nazionalizzare l’Ast!)
Prima ti diedero un mutuo per comprarti casa. Poi un prestito per la Tv al plasma. Un altro ancora per lo smartphone.
Ti fecero credere che non eri più un operaio “sfigato”, ti fecero diventare ceto medio a debito. E col ricatto del debito ti hanno fatto sgobbare a testa bassa. Ma sotto padrone restavi ed ora, il padrone (tedesco), dopo aver “pocciato” dalle mammelle dello Stato e averti spremuto come un limone, fa le valigie e ti getta nella spazzatura.
Dov’eri tu quanto altri italiani gettati sul lastrico si ribellavano e chiedevano aiuto? Voltasti le spalle, sperando che il tuo turno non venisse mai.
Ora che è toccato anche a te, sei costretto a lottare. Lo vedi da solo che lo Stato ti ha abbandonato, che il governo Renzi e i partiti se ne fregano, mentre il sindacato… perché esiste un sindacato?
La strega Lucia Morselli e i vampiri della Thyssen in che sperano? Nella tua rassegnazione, che se non hai ricevuto la lettera di licenziamento volterai le spalle ai 537 lasciandoli al loro destino.
Dei sindacati non hanno paura, temono piuttosto la tua dignità, che questa volta dici basta, che ti comporti da uomo e non da caporale.
C’è solo una possibilità: la lotta dura, unitaria, ragionata, per fare della vicenda Ast un caso nazionale.
Solo con la massima combattività e compattezza, con l’occupazione della fabbrica e il blocco ad oltranza della produzione si obbligherà la Thyssen a riaprire le trattative (e in questo caso al tavolo vada un comitato eletto in assemblea e non coloro che in questi decenni hanno accettato le peggio porcherie, a partire dalla privatizzazione e dalla svendita alle multinazionali).
Gli operai dell'Ast si apprestano a fare il blocco stradale |
Solo con una prova di forza le maestranze dell’AST meriteranno e otterranno la solidarietà generale.
E se la Thyssen non farà un passo indietro, ritirando sia i licenziamenti che la disdetta del contratto di secondo livello, che lo Stato faccia lo Stato e nazionalizzi le acciaierie! E’ chiedere troppo? No è chiedere il necessario per difendere, assieme al diritto al lavoro, il futuro di Terni e quello dell’Italia come paese industriale e sovrano.
Una sovranità che perdemmo accettando di strisciare ai piedi di quest’Euro(pa) del “libero mercato” —per cui, mentre qui si licenzia, l’Italia deve importare acciaio dalla Germania (primo produttore europeo) o dalla Turchia—, una sovranità che prima o poi va riconquistata, se non vogliamo finire nel “terzo mondo” e diventare tutti servi della gleba.
Terni, 10 ottobre 2014
1 commento:
E ancora una volta chi scrive tratta il lavoro come fosse un diritto. Ma questi pseudointellettuali non la smetteranno mai di sviare la povera gente da quello che è il loro vero diritto? e cioè una vita dove l'obbiettivo non è il lavoro ma il benessere, che si può ottenere solo attraverso la garanzia del soddisfacimento dei diritti fondamentali che un individuo ha PER IL SOLO FATTO DI ESISTERE ? (per gli pseudo intellettuali che non lo capissero significa che tali diritti devono essere garantiti anche a chi sceglie di non fare lo schiavo per una multinazionale) In particolare una comunità che si possa definire civile deve garantire che tutti possano avere un tetto, di che nutrirsi, di che istruirsi, di che curarsi. E TUTTO CIO' COMUNQUE E INDIPENDENTEMENTE DAL FATTO DI LAVORARE O MENO. Ovviamente, io non sto sostenendo, che la garanzia del soddisfacimento di questi diritti minimi vitali si possa soddisfare senza LO STRUMENTO DEL LAVORO, ma ce modo e modo di utilizzarlo. Di sicuro per ottenere quanto sopra descritto non si può e non si deve contare sull'impresa privata, la quale, istituzionalmente ha il principale obiettivo di ottenere per i propri investitori un profitto, il più alto possibile. Quindi è normale per un'impresa privata spostarsi da una parte all'altra del mondo, laddove vede la possibilità di avere profitti più alti. L'imprenditore privato è interessato solo al profitto personale, non certo al benessere degli operai o a quello dell'ambiente dove lavora. Questa è la realtà a cui, volenti o nolenti, anche i lavoratori dipendenti devono rassegnarsi. Il fatto di alimentare la convinzione che bisogna in qualche modo indurre le imprese private a caricarsi dell'onere di far lavorare la gente è CRUDELE E SBAGLIATO OLTRE CHE POLITICAMENTE SCORRETTO. Finiamola con l'illudere la gente di cose che non esistono (imprese con coscienza umanitaria) al solo scopo criminale di nascondere la realtà e cioè quella di uno stato che non vuole fare lo stato cioè quell'entità che per obiettivo primario dovrebbe avere il pubblico benessere. Se i nostri intellettuali invece di sobillare la gente con obiettivi impropri concentrassero le loro energie per mettere in discussione uno stato che non funziona (forse che non vuole funzionare) e proporre delle regole sociali che permettano alle persone di vedersi garantiti i loro diritti fondamentali, farebbero cosa gradita e utile. BATTERSI PER CONVINCERE LA GENTE CHE IL LAVORO E' UN DIRITTO VUOL DIRE BATTERSI PER CREARE LA CONVINZIONE CHE ESSERE SCHIAVI E' UNA COSA DESIDERABILE. Io non mi assumo questa responsabilità e sostengo fermamente che il lavoro è uno strumento, (NON Può E NON DEVE ESSERE UN OBIETTIVO NE TANTOMENO UN DIRITTO) da usare con la maggior parsimonia possibile al fine di ottenere il maggior benessere possibile. IL BELLO E' CHE LA COSA E' POSSIBILE.
Posta un commento