2 ottobre. Mentre a Napoli è in corso la manifestazione (vedi foto) in concomitanza del Governing council della Bce presieduto da Mario Draghi, ci pare importante pubblicare il doppio giudizio di Brancaccio.
D. C’è chi considera la riunione a Napoli un segnale di vicinanza di Draghi alle popolazioni del Sud Europa, maggiormente colpite dalla crisi; altri però giudicano l’iniziativa con scetticismo e le realtà dell’antagonismo promettono battaglia in piazza. Come dobbiamo interpretare quello che in ogni caso è un evento europeo?
R. Non credo che la riunione di Napoli sia il preludio di una svolta favorevole all’Italia e agli altri Paesi del Sud Europa. Nel direttorio Bce i membri tedeschi sono in minoranza, eppure la loro linea resta egemone. La realtà, purtroppo, è che la Bce proseguirà con la solita strategia, dichiarandosi disposta a proteggere i Paesi più deboli contro la speculazione finanziaria solo a patto che proseguano con le politiche di austerità e di flessibilità, del lavoro e dei salari. Il problema è che queste politiche non stanno affatto garantendo la ripresa, tutt’altro.
Il numero due della Bei Dario Scannapieco venerdì scorso a Napoli ha sostenuto che Paesi come la Grecia e la Spagna stanno iniziando a vedere qualche segnale positivo.
La Grecia dall’inizio della crisi ha attuato tagli alla spesa pubblica del 28 percento e ha fatto registrare un crollo dei salari monetari del 22. Nonostante questi sacrifici la disoccupazione e il debito hanno continuato a crescere vertiginosamente. E Portogallo, Spagna, Italia, la stessa Francia non stanno molto meglio. In questo scenario, non mi meraviglia che nella decisione della Bce di riunirsi a Napoli qualcuno ravvisi un po’ di ipocrisia. Né mi sorprende che si annuncino proteste. Piuttosto, trovo curioso che queste proteste restino sospese per aria, senza giungere a una logica conseguenza.
In che senso?
E’ un paradosso: i più accesi contestatori della Bce sembrano i più avversi all’ipotesi di un’uscita dall’euro. E’ il retaggio di una cultura europeista e globalista molto ingenua, che a sinistra ha fatto proseliti ma che non ha per nulla favorito la solidarietà internazionale tra i lavoratori. Intendiamoci, il problema non riguarda solo le frange dell’antagonismo. Anche il sindacato è in difficoltà di fronte alla crisi del progetto di unificazione europea. Nell’ultimo direttivo Cgil pare che la Camusso abbia definito l’abolizione dell’articolo 18 “uno scalpo da consegnare ai falchi dell’Ue”. Eppure nel principale sindacato italiano si tende a ragionare come se l’euro fosse un destino ineluttabile. Cosa che non è.
Draghi ha annunciato nuove iniezioni di liquidità: non è questa la chiave per garantire la ripresa dei Paesi in difficoltà?
Vale ancora l’insegnamento di Keynes: l’azione della Banca centrale non basta mai, da sola, a uscire dalla crisi. Le analisi empiriche più recenti confermano questa tesi. Per il futuro resta dunque valida la previsione del “monito degli economisti”: proseguendo con le politiche di austerity e di flessibilità dei salari, prima o poi ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro. Coloro i quali protestano contro la Bce e le altre istituzioni europee dovrebbero iniziare a misurarsi seriamente con questa prospettiva, anziché eluderla.
* Fonte: Emiliano Brancaccio
** Intervista di Sergio Governale pubblicata su Il Mattino del 1 ottobre 2014 con il titolo: “Brancaccio: chi contesta il vertice è in contraddizione”. La riproduzione è consentita citando la fonte.
D. C’è chi considera la riunione a Napoli un segnale di vicinanza di Draghi alle popolazioni del Sud Europa, maggiormente colpite dalla crisi; altri però giudicano l’iniziativa con scetticismo e le realtà dell’antagonismo promettono battaglia in piazza. Come dobbiamo interpretare quello che in ogni caso è un evento europeo?
R. Non credo che la riunione di Napoli sia il preludio di una svolta favorevole all’Italia e agli altri Paesi del Sud Europa. Nel direttorio Bce i membri tedeschi sono in minoranza, eppure la loro linea resta egemone. La realtà, purtroppo, è che la Bce proseguirà con la solita strategia, dichiarandosi disposta a proteggere i Paesi più deboli contro la speculazione finanziaria solo a patto che proseguano con le politiche di austerità e di flessibilità, del lavoro e dei salari. Il problema è che queste politiche non stanno affatto garantendo la ripresa, tutt’altro.
Il numero due della Bei Dario Scannapieco venerdì scorso a Napoli ha sostenuto che Paesi come la Grecia e la Spagna stanno iniziando a vedere qualche segnale positivo.
La Grecia dall’inizio della crisi ha attuato tagli alla spesa pubblica del 28 percento e ha fatto registrare un crollo dei salari monetari del 22. Nonostante questi sacrifici la disoccupazione e il debito hanno continuato a crescere vertiginosamente. E Portogallo, Spagna, Italia, la stessa Francia non stanno molto meglio. In questo scenario, non mi meraviglia che nella decisione della Bce di riunirsi a Napoli qualcuno ravvisi un po’ di ipocrisia. Né mi sorprende che si annuncino proteste. Piuttosto, trovo curioso che queste proteste restino sospese per aria, senza giungere a una logica conseguenza.
In che senso?
E’ un paradosso: i più accesi contestatori della Bce sembrano i più avversi all’ipotesi di un’uscita dall’euro. E’ il retaggio di una cultura europeista e globalista molto ingenua, che a sinistra ha fatto proseliti ma che non ha per nulla favorito la solidarietà internazionale tra i lavoratori. Intendiamoci, il problema non riguarda solo le frange dell’antagonismo. Anche il sindacato è in difficoltà di fronte alla crisi del progetto di unificazione europea. Nell’ultimo direttivo Cgil pare che la Camusso abbia definito l’abolizione dell’articolo 18 “uno scalpo da consegnare ai falchi dell’Ue”. Eppure nel principale sindacato italiano si tende a ragionare come se l’euro fosse un destino ineluttabile. Cosa che non è.
Draghi ha annunciato nuove iniezioni di liquidità: non è questa la chiave per garantire la ripresa dei Paesi in difficoltà?
Vale ancora l’insegnamento di Keynes: l’azione della Banca centrale non basta mai, da sola, a uscire dalla crisi. Le analisi empiriche più recenti confermano questa tesi. Per il futuro resta dunque valida la previsione del “monito degli economisti”: proseguendo con le politiche di austerity e di flessibilità dei salari, prima o poi ai decisori politici non resterà altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro. Coloro i quali protestano contro la Bce e le altre istituzioni europee dovrebbero iniziare a misurarsi seriamente con questa prospettiva, anziché eluderla.
* Fonte: Emiliano Brancaccio
** Intervista di Sergio Governale pubblicata su Il Mattino del 1 ottobre 2014 con il titolo: “Brancaccio: chi contesta il vertice è in contraddizione”. La riproduzione è consentita citando la fonte.
2 commenti:
Gli economisti dicono che "il cavallo" si ostina a non bere. Che sia perché non ha sete o perché ormai non ci sono quasi più cavalli?
Uscire dall'Euro vorrebbe dire, forse, anche uscire dall'Europa e magari si potessero denunciare i trattati-trabochetto come il fiscal compact che è diventato un mezzo di ricatto per pilotare i governi sempre più verso le politiche antisociali come pure l'altro trattato in imminenza di firma che è il TTIP.
Napoli è una città che non scherza e stanno facendosi sentire. Coraggio guagliò!
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