[ mercoledì 13 novembre 2019 ]
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dopo la vittoria politica di Bashar Al Asad e del fronte della Resistenza socialnazionale siriana, lo Yemen è divenuto il punto più avanzato del fronte dei resistenti.
Nasrallah, segretario generale dell’Hezbollah, ha detto di recente che il fuoco della questione palestinese è tenuto in vita dalla Rivoluzione antisaudita yemenita guidata da Ansar Allah (Partito di Dio nato nel 1992 in riferimento alla Sura 3:52 riguardo ai discepoli di Gesù in Islam), fronte patriottico e sociale di liberazione antimperialista e non confessionale o etnico, e gli stessi quotidiani israeliani, da Haaretz a Jerusalem Post, hanno rilevato nell’agosto 2019 che l’arretramento saudita in Yemen è una pessima notizia per i sionisti, con possibili effetti di destabilizzazione interna per la società civile israeliana.
Sono moltissimi, infatti, i volontari sunniti della Resistenza palestinese — da Hamas alla Jihad palestinese passando per vari militanti del Fronte popolare — attivi a fianco della Rivoluzione yemenita, alcuni tra loro peraltro son stati torturati e uccisi dalle forze militari reazionarie saudite o emiratine (recente il caso tragico di Salim Ahmed Ma’arouf).
E’ semplicistico e potrebbe essere fuorviante parlare esclusivamente di Huthi dello Yemen del Nord o di clan confessionale zaydita sciita da integrare in una fantomatica “mezzaluna sciita”, poiché all’originario nucleo zaydita si integreranno poi frazioni antimperialiste arabe che
anteporranno la strategia della liberazione al resto; siamo in presenza, perciò, di un esercito popolare rivoluzionario che è sotto feroce attacco concentrico saudita e sionista dal 2015. La vittoria della Controrivoluzione saudita o emiratina in Yemen avrebbe infatti significato la liquidazione della causa palestinese: Gerusalemme capitale del sionismo globale, affermazione del blocco reazionario arabo a trazione sionista, accerchiamento dell’Iran sciita.
L’attacco agli impianti petroliferi sauditi, realizzato dai rivoluzionari yemeniti nel settembre 2019 in coincidenza con le elezioni israeliane, ha posto di contro al centro dell’attenzione mondiale la spregiudicatezza strategica, la determinazione e l’arte della deterrenza antimperialiste del Partito di Dio. Il movimento Huthi deriva il proprio nome dall’omonima famiglia originaria del governatorato di Sa’da, che confina con l’Arabia Saudita e in cui sono scaricate le tensioni di frontiera, e di rito sciita zaydita che appartenendo all’èlite dei Seyyed rivendica una discendenza diretta dal profeta Maometto.
Il conflitto armato ha avuto inizio nel 2003, quando l’azione antimperialista ed antioccidentale del Partito di Dio prese piede nella Moschea Saleh, nella capitale San’a, dopo la preghiera collettiva del venerdì a causa dell’invasione americana dell’Iraq. Circa 1000 militanti del partito di Dio o Gioventù Credente vennero arrestati e il presidente Ali Abd Allah Saleh invitò Husayn al Huthi ad un incontro nella capitale yemenita, ma quest’ultimo rifiutò il chiarimento. Divampò così il conflitto, quando agli inizi del 2004 Saleh, egli stesso zaydita ben si noti, con la complicità statunitense e israeliana, inviò forze governative per arrestare Husayn: l’arresto non fu portato a termine a causa della rivolta popolare organizzata dal Partito di Dio, ma Husayn fu però ucciso il 10 settembre 2004.
La rivolta antimperialista, basata sulla classica guerra di guerriglia, proseguì ininterrottamente sino al fragile accordo del 2010.
Con la rinascita universale araba denominata “primavere arabe” o ancora meglio Risveglio islamico globale, la rivolta yemenita si radicalizza in tutto il paese come partito degli Oppressi e dei diseredati. La Rivoluzione Yemenita, guidata ora da Mohammed Alì al-Huthi, presidente del Comitato rivoluzionario e dalla guida politica Salih Habra, iniziava così ad espandersi a macchia d’olio battendosi su tutta la linea sia contro gli jihadisti secessionisti qaidisti nel governatorato di Al-Baidhah (1), sia contro i filogovernativi di obbedienza saudita e occidentale.
Il 20 gennaio 2015 i rivoluzionari yemeniti conquistano il palazzo presidenziale di San’a ed il presidente, sunnita, ‘Abd Rabbih Mansur Hadi, che si trova nel palazzo, durante l’assalto riesce a mettersi in salvo e poi si dimette trasferendosi ad Aden. Nonostante sia delegittimato e isolato, la comunità internazionale, su diktat statunitense, continua a considerare arbitrariamente Hadi presidente del paese.
L’interventismo saudita architettato dal nuovo monarca Salman e dal figlio Mohammed bon Salman (MBS) ministro della difesa, prima discontinuo, entra da allora direttamente in scena, con impressionante continuità in Yemen, con una terribile e furiosa tattica di bombardamenti su civili. Ne nascerà una tragedia umanitaria di dimensioni colossali che mette i brividi. Lo Yemen, che già prima del 2010 aveva visto la nutrita presenza di vari campi profughi di civili Huthi che fuggivano dalle bombe occidentali dell’aviazione saudita ed anche di somali in fuga dal Corno d’Africa, dal 2015 vedrà impennare in modo esponenziale la mortalità e le mutilazioni infantili.
L’Occidente fa affari d’oro con sauditi ed emiratini, arma la cosiddetta “coalizione araba” a trazione sionista-statunitense ma al tempo stesso, seppur a fasi alterne, gli organi di informazione europeistica e vaticana grondano, evidentemente, di ipocrita retorica sulle stragi di bambini Huthi in Yemen. Lo Yemen è la Nazione delle stragi legittime e degli infanticidi del supercapitalismo imperialista. Legittime, agli occhi di tutto il mondo occidentale, perché l’Iran, che sostiene attivamente dal 2015 i rivoluzionari yemeniti, deve essere annientato e abbattuto nel suo espansionismo difensivista antisanzionista ed antimperialista.
La politica saudita ha sempre puntato ad avere sulla propria soglia uno Yemen debolissimo, sfruttando le reti tribali e il separatismo sudista, per esercitare il controllo assoluto sul governo di Saleh, un maestro di funambolici tatticismi ai limiti dell’assurdo e del suicidio politico. La frammentazione religiosa, come detto, è relativa e secondaria. Saleh, zaydita e “nordista” convinto, è stato il regista delle sei guerre sporche (dirty wars) contro gli Huthi dal 2004 al 2010; una volta allontanato dal potere non ha però esitato a stringere alleanze con i suoi antichi nemici per rovesciare il “sudista” Hadi.
Il ruolo iraniano, in un paese sovrarmato come quello yemenita, in cui vi sono sei fucili automatici per ogni maschio adulto, era del tutto relativo prima dell’interventismo stragista saudita; in seguito all’assalto saudita, benedetto dagli Usa di Obama prima di Trump poi e quindi da Israele nel tentativo di stabilizzare una Nato mediorientale antipersiana, diviene però mirato e saggiato alla luce della tradizionale arte della difesa della Repubblica iraniana ed islamica. Lo Yemen fu infatti la tomba dei turchi, costretti a limitare il loro controllo sulle aree delle costa ed al compromesso con l’imamato sciita, sostenuto dalle grandi confederazioni tribali del Nord. Nel 1918, con il crollo dell’impero ottomano, l’imamato colmò il vuoto di potere, espandendosi nelle aree controllate dai turchi, arrivando sino ai confini con i protettorati britannici, sorti dal 1839 attorno ad Aden e estesi nel Sud-Est. Il patto militare-tribale-repubblicano, così lo storico Stephen W. Day professore al Rollings College in Winter Park (The future Structure of the Yemeni State, 14 Aug 2019) definisce il compromesso che ha chiuso la guerra civile a trazione nordista dal 1990 con l’unificazione dei due Yemen, è stato esteso al Sud con un generale processo di centralizzazione politica. Gli incentivi sono stati rappresentati dalla rendita petrolifera e dalle entrate derivanti dalle rimesse dei lavoratori emigrati, assieme all’uso dell’apparato militare e statale, per consolidare la centralità di San’a. Il sistema tribale si è fondato su una imprenditoria reticolare di natura capitalistica clanica subordinata alle petromonarchie del Golfo; circa seimila su dieci mila sceicchi tribali yemeniti sarebbero direttamente finanziati da Ryad. Il patto subimperialista con Ryad del capitalismo clanico interno non regge però più e il fallimento strategico di MBS sembra rivelarlo. Dopo il fulmineo attacco antimperialista del Partito di Dio e degli Oppressi del settembre 2019, che spiazza il modernissimo ed elaboratissimo sistema di difesa tecnologico saudita, il Generale Soleimani ha definito il patto volontarista ed antimperialista tra l’Ansar Allah yemenita e le Forze Quds persiane come il patto dei seguaci del martirio di Karbala dell’imam Hosayn. (2)
NOTE
1) Il secessionismo qaidista è particolarmente forte nel Sud. La storia del Sud secessionista nel Novecento meriterebbe una trattazione a se, e non è detto che non ci si torni su, anche perché strettamente correlata alla storia stesso del “comunismo storico” con le sue lotte di frazione. ‘Abdul Hameed Bakier, esperto di intelligence specializzato in antiterrorismo, sostiene che il secessionismo del Sud sarebbe sostenuto da Al Qaeda e dai salafiti con il pretesto di “aiutare gli abitanti del Sud per evitare che tornino ad essere comunisti”. Isil svolgerebbe invece, in Yemen, il lavoro sporco di milizia mercenaria filosaudita e dunque filosionista e filoccidentale. Significativo il fatto che molti ex militanti baathisti iracheni della famosa rete Al Douri, trapiantati in Yemen dopo l’invasione americana, sarebbero filoIsil.
2) https://www.memri.org/tv/irgc-quds-force-commander-qasem-soleimani-yemeni-drone-attacks-imam-hussein-path-abqaiq-khurais
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Dopo la vittoria politica di Bashar Al Asad e del fronte della Resistenza socialnazionale siriana, lo Yemen è divenuto il punto più avanzato del fronte dei resistenti.
Nasrallah, segretario generale dell’Hezbollah, ha detto di recente che il fuoco della questione palestinese è tenuto in vita dalla Rivoluzione antisaudita yemenita guidata da Ansar Allah (Partito di Dio nato nel 1992 in riferimento alla Sura 3:52 riguardo ai discepoli di Gesù in Islam), fronte patriottico e sociale di liberazione antimperialista e non confessionale o etnico, e gli stessi quotidiani israeliani, da Haaretz a Jerusalem Post, hanno rilevato nell’agosto 2019 che l’arretramento saudita in Yemen è una pessima notizia per i sionisti, con possibili effetti di destabilizzazione interna per la società civile israeliana.
Sono moltissimi, infatti, i volontari sunniti della Resistenza palestinese — da Hamas alla Jihad palestinese passando per vari militanti del Fronte popolare — attivi a fianco della Rivoluzione yemenita, alcuni tra loro peraltro son stati torturati e uccisi dalle forze militari reazionarie saudite o emiratine (recente il caso tragico di Salim Ahmed Ma’arouf).
E’ semplicistico e potrebbe essere fuorviante parlare esclusivamente di Huthi dello Yemen del Nord o di clan confessionale zaydita sciita da integrare in una fantomatica “mezzaluna sciita”, poiché all’originario nucleo zaydita si integreranno poi frazioni antimperialiste arabe che
combattenti houthi |
L’attacco agli impianti petroliferi sauditi, realizzato dai rivoluzionari yemeniti nel settembre 2019 in coincidenza con le elezioni israeliane, ha posto di contro al centro dell’attenzione mondiale la spregiudicatezza strategica, la determinazione e l’arte della deterrenza antimperialiste del Partito di Dio. Il movimento Huthi deriva il proprio nome dall’omonima famiglia originaria del governatorato di Sa’da, che confina con l’Arabia Saudita e in cui sono scaricate le tensioni di frontiera, e di rito sciita zaydita che appartenendo all’èlite dei Seyyed rivendica una discendenza diretta dal profeta Maometto.
Il conflitto armato ha avuto inizio nel 2003, quando l’azione antimperialista ed antioccidentale del Partito di Dio prese piede nella Moschea Saleh, nella capitale San’a, dopo la preghiera collettiva del venerdì a causa dell’invasione americana dell’Iraq. Circa 1000 militanti del partito di Dio o Gioventù Credente vennero arrestati e il presidente Ali Abd Allah Saleh invitò Husayn al Huthi ad un incontro nella capitale yemenita, ma quest’ultimo rifiutò il chiarimento. Divampò così il conflitto, quando agli inizi del 2004 Saleh, egli stesso zaydita ben si noti, con la complicità statunitense e israeliana, inviò forze governative per arrestare Husayn: l’arresto non fu portato a termine a causa della rivolta popolare organizzata dal Partito di Dio, ma Husayn fu però ucciso il 10 settembre 2004.
La rivolta antimperialista, basata sulla classica guerra di guerriglia, proseguì ininterrottamente sino al fragile accordo del 2010.
Con la rinascita universale araba denominata “primavere arabe” o ancora meglio Risveglio islamico globale, la rivolta yemenita si radicalizza in tutto il paese come partito degli Oppressi e dei diseredati. La Rivoluzione Yemenita, guidata ora da Mohammed Alì al-Huthi, presidente del Comitato rivoluzionario e dalla guida politica Salih Habra, iniziava così ad espandersi a macchia d’olio battendosi su tutta la linea sia contro gli jihadisti secessionisti qaidisti nel governatorato di Al-Baidhah (1), sia contro i filogovernativi di obbedienza saudita e occidentale.
Il 20 gennaio 2015 i rivoluzionari yemeniti conquistano il palazzo presidenziale di San’a ed il presidente, sunnita, ‘Abd Rabbih Mansur Hadi, che si trova nel palazzo, durante l’assalto riesce a mettersi in salvo e poi si dimette trasferendosi ad Aden. Nonostante sia delegittimato e isolato, la comunità internazionale, su diktat statunitense, continua a considerare arbitrariamente Hadi presidente del paese.
L’interventismo saudita architettato dal nuovo monarca Salman e dal figlio Mohammed bon Salman (MBS) ministro della difesa, prima discontinuo, entra da allora direttamente in scena, con impressionante continuità in Yemen, con una terribile e furiosa tattica di bombardamenti su civili. Ne nascerà una tragedia umanitaria di dimensioni colossali che mette i brividi. Lo Yemen, che già prima del 2010 aveva visto la nutrita presenza di vari campi profughi di civili Huthi che fuggivano dalle bombe occidentali dell’aviazione saudita ed anche di somali in fuga dal Corno d’Africa, dal 2015 vedrà impennare in modo esponenziale la mortalità e le mutilazioni infantili.
L’Occidente fa affari d’oro con sauditi ed emiratini, arma la cosiddetta “coalizione araba” a trazione sionista-statunitense ma al tempo stesso, seppur a fasi alterne, gli organi di informazione europeistica e vaticana grondano, evidentemente, di ipocrita retorica sulle stragi di bambini Huthi in Yemen. Lo Yemen è la Nazione delle stragi legittime e degli infanticidi del supercapitalismo imperialista. Legittime, agli occhi di tutto il mondo occidentale, perché l’Iran, che sostiene attivamente dal 2015 i rivoluzionari yemeniti, deve essere annientato e abbattuto nel suo espansionismo difensivista antisanzionista ed antimperialista.
La politica saudita ha sempre puntato ad avere sulla propria soglia uno Yemen debolissimo, sfruttando le reti tribali e il separatismo sudista, per esercitare il controllo assoluto sul governo di Saleh, un maestro di funambolici tatticismi ai limiti dell’assurdo e del suicidio politico. La frammentazione religiosa, come detto, è relativa e secondaria. Saleh, zaydita e “nordista” convinto, è stato il regista delle sei guerre sporche (dirty wars) contro gli Huthi dal 2004 al 2010; una volta allontanato dal potere non ha però esitato a stringere alleanze con i suoi antichi nemici per rovesciare il “sudista” Hadi.
Il ruolo iraniano, in un paese sovrarmato come quello yemenita, in cui vi sono sei fucili automatici per ogni maschio adulto, era del tutto relativo prima dell’interventismo stragista saudita; in seguito all’assalto saudita, benedetto dagli Usa di Obama prima di Trump poi e quindi da Israele nel tentativo di stabilizzare una Nato mediorientale antipersiana, diviene però mirato e saggiato alla luce della tradizionale arte della difesa della Repubblica iraniana ed islamica. Lo Yemen fu infatti la tomba dei turchi, costretti a limitare il loro controllo sulle aree delle costa ed al compromesso con l’imamato sciita, sostenuto dalle grandi confederazioni tribali del Nord. Nel 1918, con il crollo dell’impero ottomano, l’imamato colmò il vuoto di potere, espandendosi nelle aree controllate dai turchi, arrivando sino ai confini con i protettorati britannici, sorti dal 1839 attorno ad Aden e estesi nel Sud-Est. Il patto militare-tribale-repubblicano, così lo storico Stephen W. Day professore al Rollings College in Winter Park (The future Structure of the Yemeni State, 14 Aug 2019) definisce il compromesso che ha chiuso la guerra civile a trazione nordista dal 1990 con l’unificazione dei due Yemen, è stato esteso al Sud con un generale processo di centralizzazione politica. Gli incentivi sono stati rappresentati dalla rendita petrolifera e dalle entrate derivanti dalle rimesse dei lavoratori emigrati, assieme all’uso dell’apparato militare e statale, per consolidare la centralità di San’a. Il sistema tribale si è fondato su una imprenditoria reticolare di natura capitalistica clanica subordinata alle petromonarchie del Golfo; circa seimila su dieci mila sceicchi tribali yemeniti sarebbero direttamente finanziati da Ryad. Il patto subimperialista con Ryad del capitalismo clanico interno non regge però più e il fallimento strategico di MBS sembra rivelarlo. Dopo il fulmineo attacco antimperialista del Partito di Dio e degli Oppressi del settembre 2019, che spiazza il modernissimo ed elaboratissimo sistema di difesa tecnologico saudita, il Generale Soleimani ha definito il patto volontarista ed antimperialista tra l’Ansar Allah yemenita e le Forze Quds persiane come il patto dei seguaci del martirio di Karbala dell’imam Hosayn. (2)
NOTE
1) Il secessionismo qaidista è particolarmente forte nel Sud. La storia del Sud secessionista nel Novecento meriterebbe una trattazione a se, e non è detto che non ci si torni su, anche perché strettamente correlata alla storia stesso del “comunismo storico” con le sue lotte di frazione. ‘Abdul Hameed Bakier, esperto di intelligence specializzato in antiterrorismo, sostiene che il secessionismo del Sud sarebbe sostenuto da Al Qaeda e dai salafiti con il pretesto di “aiutare gli abitanti del Sud per evitare che tornino ad essere comunisti”. Isil svolgerebbe invece, in Yemen, il lavoro sporco di milizia mercenaria filosaudita e dunque filosionista e filoccidentale. Significativo il fatto che molti ex militanti baathisti iracheni della famosa rete Al Douri, trapiantati in Yemen dopo l’invasione americana, sarebbero filoIsil.
2) https://www.memri.org/tv/irgc-quds-force-commander-qasem-soleimani-yemeni-drone-attacks-imam-hussein-path-abqaiq-khurais
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