[ mercoledì 27 novembre 2019 ]
L’università dovrebbe essere un percorso che permetta alla persona di acquisire il più alto grado di conoscenza, competenza ed autonomia di giudizio raggiungibili nell’area di studio scelta, mettendo lo studente nella condizione non solo di comprendere a fondo ciò che studia ma anche di elaborare esso stesso nuova conoscenza così da poter concorrere al “progresso materiale o spirituale della società”.
Dovrebbe tenere in considerazione la concomitanza (nella maggior parte dei casi) col periodo particolare, quello tra la tarda adolescenza e l’età adulta. Periodo di formazione e trasformazione psicologica, caratteriale e affettiva dove con più o meno fatica la persona tenta di raggiungere la massima consapevolezza ed espressione di sé, nonché di quello che vuole e può dare al mondo. L’ambiente universitario dovrebbe quindi agevolare ed essere il motore della crescita personale dell’individuo. Non è così quasi mai.
Ogni persona ha il diritto alla conoscenza ed il diritto allo studio. Diritto allo studio che non deve esaurirsi con la mera possibilità di frequentare i corsi universitari ma che deve essere la concreta possibilità di dedicare quei tre o cinque anni della propria vita a studiare. Diritto allo studio è diritto ad essere studenti a tempo pieno.
Perché lo studio, quello vero e serio, quello che forma non solo l’esperto ma anche il cittadino e l’essere umano consapevole richiede tempo, calma e profonda dedizione. Non è certamente il genere di studio che va d’accordo con “quello che chiede il mercato” o con l’aziendalizazzione delle università. Non va nemmeno d’accordo con la figura dello studente lavoratore.
Lo studente è già lavoratore. Lo studente è studente sempre: il sabato, la domenica e nei festivi. Una società che costringe lo studente a lavorare, non per arrotondare, ma per sopravvivere durante gli anni universitari, è una società che sta di fatto negando il diritto allo studio a quella persona, è una società superficiale e profondamente ingiusta. E’ la nuova società neoliberista. Quella dove lo studio è ridotto a un hobby. Quando va bene a un lusso.
Il diritto allo studio, è diritto a non migrare per motivi di studio. Lo Stato dovrebbe garantire un’offerta formativa base standardizzata su tutto il territorio nazionale. Cosa che non ha niente a che vedere con le classi di laurea ora esistenti. In alcuni atenei tanti corsi di studio non esistono o pur appartenendo alla medesima classe di laurea, a volte pur chiamandosi con lo stesso nome, sono corsi completamente diversi.
Dovrebbero altresì essere garantiti i medesimi standard qualitativi non solo della didattica ma anche degli strumenti messi a disposizione degli studenti meno abbienti come borse di studio, posti alloggio e mense gratuite. Il divario tra Nord e Sud è invece incolmabile. Ed anche nelle regioni dove il diritto allo studio è ben garantito, i mezzi messi a disposizione sono spesso insufficienti.
Inoltre, in un clima di generale perdita di consapevolezza dei propri diritti sociali e di un adeguamento alla loro progressiva e silenziosa eliminazione, che a volte quasi sfocia nell’auto colpevolizzazione, lo schema di pensiero che oggi vige è invece questo: tu, studente povero che benefici della borsa di studio, del posto alloggio e della mensa gratis, non hai il diritto di lamentarti.
Non devi lamentarti neanche se dentro la residenza universitaria ci piove o se crolla il tetto, è gratis. E non devi lamentarti nemmeno se, come spesso accade, pur rientrando nelle graduatorie non ti viene assegnato un bel niente perché le borse di studio sono insufficienti o perché i posti in residenza sono finiti. Se poi hai dei genitori che disgraziatamente lavorano ed hanno la sfortuna di far parte di quel che resta della “classe media”, potrebbe capitarti che, nonostante loro facciano a meno di fare la spesa per loro stessi per ricaricarti la postepay tutti i mesi, per lo Stato potrebbero essere troppo ricchi perché tu possa avere la borsa di studio. E allora pagherai 2000 euro di tasse all’anno, l’affitto e le bollette. Nel frattempo ti sentirai anche in colpa nel non portare i soldi a casa, anzi nello spenderli per studiare cose che “tanto poi, nella vita vera, non servono a niente”.
Lo studente dovrebbe invece ricevere un compenso dallo Stato, rapportato alla sua condizione economica e personale e al costo della vita. Così che possa non pesare sulla famiglia fino a 25 anni e possa crearsi una relativa indipendenza economica già durante gli studi. Compenso che non siano quei 1100 euro all’anno della borsa di studio. Perché 1100 euro all’anno, è elemosina. Le borse di studio sono utili se già lo studente ha una famiglia alle spalle che possa supportarlo economicamente. Sono un modesto sostegno ad un reddito minimo già percepito.
Ma giustamente, tu studente povero, oltre all’alloggio e alla mensa gratis non puoi pretendere anche i soldi, che ne so, per fare un aperitivo, per comprarti un libro o un paio di scarpe. Tu sei povero e quindi, dopo che hai il privilegio di studiare, non puoi spendere anche per cose superflue; hai due pasti al giorno e un tetto sulla testa, cos’altro ti serve?!
Questo è il modello di studi universitari che è riuscito a realizzare la società neoliberista del più Europa. La società dell’Erasmus.
Noi siamo la generazione dell’Erasmus.
Noi siamo la generazione di giovani che ha svenduto i propri diritti: allo studio, al lavoro, alla casa, alla famiglia e, più in generale al futuro per sei mesi a Barcellona o per quattro mesi a Londra. Noi siamo la generazione che parla quattro lingue, ma non sa perché è festa il 25 aprile o il 2 giugno. Siamo la generazione che ordina su Amazon e poi va in piazza per il Fridays for Futures.
Non siamo stati capaci neanche di costruire uno straccio di lotta nuova e originale, nostra. Abbiamo preferito sfogare le personali frustrazioni prive di ogni base realmente politica in lotte ereditate, per cause da noi non vissute, studiate male, capite peggio. E allora noi siamo la generazione degli antifà e dei neofasciti e dei maschi contro femmine.
Abbiamo preferito andare in giro con la maglietta di Che Guevara, prodotta da qualche multinazionale in Bangladesh invece di essere Che Guevara.
Abbiamo perso tempo a combattere per diritti che erano già su carta e per qualcosa che c’era già senza renderci conto di quello che ci stavano negando.
Siamo impauriti, sottomessi, disposti ad accettare ogni prevaricazione e ricatto per paura della disoccupazione, della fame, di star male e non essere curati, di invecchiare e non avere una pensione, di non poter dar niente ai figli che avremo, del rifiuto sociale.
Siamo schiavi dell’immagine, schiavi dei social, del marketing.
Siamo soli e isolati. Arrabbiati. Delusi. Senza obiettivi e senza sogni. Chi ha sogni è considerato uno sciocco, un irresponsabile, un illuso. Perché questa è la società dell’uomo economico, dell’uomo razionale, dell’uomo efficiente, della praticità.
Abbiamo accettato la più grande delle privazioni, non poter essere.
Abbiamo accettato di essere esseri “flessibili” e omologati, invece di esseri completi e unici.
Noi, complici più o meno consapevoli di un sistema malato, facendoci comprare dalla (non) società neoliberista, non solo abbiamo svenduto i nostri diritti ma abbiamo tolto quel piede dalla porta che ha contribuito a chiudere la stanza del cambiamento economico, politico e sociale dell’Italia e del mondo.
Quella stanza deve e può essere riaperta. Siamo convinti che sia impossibile cambiare le cose e per questo ci tiriamo fuori ancora prima di provarci non riuscendo a capire che, è soltanto il nostro tirarci indietro che rende le cose impossibili.
Noi giovani abbiamo l’esigenza personale e il dovere morale di riaprirla quella porta e abbiamo il potere di farlo. Per noi, per chi verrà dopo di noi e per chi c’è stato prima. E’ il nostro paese, la nostra casa, la nostra stessa vita. E’ una nostra responsabilità. Riusciamo a vedere in personaggi ignoti doti quasi sovraumane e non vediamo il potere che potremmo avere noi. Dobbiamo smetterla di affidarci agli altri per paura di fallire noi stessi o per pigrizia: non esiste Salvini, non esiste Renzi, Di Maio, la Meloni… Esistiamo noi. Siamo il futuro. Se vogliamo che sia diverso dal presente e dal passato, siamo noi a dover essere diversi.
Apriamo gli occhi, attiviamoci. Per cambiare bisogna agire!
La finanza, le grandi società multinazionali e le classi dominanti tutte, col supporto dei grandi fondi “salvastati” come FMI e MES si stanno spartendo ciò che resta da spartire del mondo, stanno distruggendo gli Stati nazionali, calpestando la cultura, i popoli, i loro diritti e le leggi che più meno democraticamente quei popoli si erano dati. Tutto questo con l’appoggio dei governati locali e nel loro silenzio. L’Italia è a un bivio: (ri)conquistare l’indipendenza, la sovranità e il potere di decidere del proprio futuro o soccombere; proseguire un lento declino, una silenziosa trasformazione da già protettorato degli Stati Uniti e paese schiavo delle politiche dell’Unione Europea che è ora, a vera e propria colonia e terra di conquista per i super ricchi del mondo intero.
Da giovane immagino che un giorno qualcuno ci chiederà dov’eravamo, che pensavamo noi a venti o trent’anni, cosa abbiamo fatto per fermare tutto questo.
Se avrò la fortuna di invecchiare voglio il privilegio di poter dire che, dalla parte giusta della storia, io c’ero!
Vorrei poter dire che eravamo tanti, che eravamo uniti, che ce l’abbiamo fatta. Ed essendo piena la storia di esempi di popoli che ce l’hanno fatta, non capisco cosa ci sia di saggio e razionale nel non tentare!
Ci hanno dato l’erasmus ma ci hanno tolto il diritto allo studio!
L’università dovrebbe essere un percorso che permetta alla persona di acquisire il più alto grado di conoscenza, competenza ed autonomia di giudizio raggiungibili nell’area di studio scelta, mettendo lo studente nella condizione non solo di comprendere a fondo ciò che studia ma anche di elaborare esso stesso nuova conoscenza così da poter concorrere al “progresso materiale o spirituale della società”.
Dovrebbe tenere in considerazione la concomitanza (nella maggior parte dei casi) col periodo particolare, quello tra la tarda adolescenza e l’età adulta. Periodo di formazione e trasformazione psicologica, caratteriale e affettiva dove con più o meno fatica la persona tenta di raggiungere la massima consapevolezza ed espressione di sé, nonché di quello che vuole e può dare al mondo. L’ambiente universitario dovrebbe quindi agevolare ed essere il motore della crescita personale dell’individuo. Non è così quasi mai.
Ogni persona ha il diritto alla conoscenza ed il diritto allo studio. Diritto allo studio che non deve esaurirsi con la mera possibilità di frequentare i corsi universitari ma che deve essere la concreta possibilità di dedicare quei tre o cinque anni della propria vita a studiare. Diritto allo studio è diritto ad essere studenti a tempo pieno.
Perché lo studio, quello vero e serio, quello che forma non solo l’esperto ma anche il cittadino e l’essere umano consapevole richiede tempo, calma e profonda dedizione. Non è certamente il genere di studio che va d’accordo con “quello che chiede il mercato” o con l’aziendalizazzione delle università. Non va nemmeno d’accordo con la figura dello studente lavoratore.
Lo studente è già lavoratore. Lo studente è studente sempre: il sabato, la domenica e nei festivi. Una società che costringe lo studente a lavorare, non per arrotondare, ma per sopravvivere durante gli anni universitari, è una società che sta di fatto negando il diritto allo studio a quella persona, è una società superficiale e profondamente ingiusta. E’ la nuova società neoliberista. Quella dove lo studio è ridotto a un hobby. Quando va bene a un lusso.
Il diritto allo studio, è diritto a non migrare per motivi di studio. Lo Stato dovrebbe garantire un’offerta formativa base standardizzata su tutto il territorio nazionale. Cosa che non ha niente a che vedere con le classi di laurea ora esistenti. In alcuni atenei tanti corsi di studio non esistono o pur appartenendo alla medesima classe di laurea, a volte pur chiamandosi con lo stesso nome, sono corsi completamente diversi.
Dovrebbero altresì essere garantiti i medesimi standard qualitativi non solo della didattica ma anche degli strumenti messi a disposizione degli studenti meno abbienti come borse di studio, posti alloggio e mense gratuite. Il divario tra Nord e Sud è invece incolmabile. Ed anche nelle regioni dove il diritto allo studio è ben garantito, i mezzi messi a disposizione sono spesso insufficienti.
Inoltre, in un clima di generale perdita di consapevolezza dei propri diritti sociali e di un adeguamento alla loro progressiva e silenziosa eliminazione, che a volte quasi sfocia nell’auto colpevolizzazione, lo schema di pensiero che oggi vige è invece questo: tu, studente povero che benefici della borsa di studio, del posto alloggio e della mensa gratis, non hai il diritto di lamentarti.
Non devi lamentarti neanche se dentro la residenza universitaria ci piove o se crolla il tetto, è gratis. E non devi lamentarti nemmeno se, come spesso accade, pur rientrando nelle graduatorie non ti viene assegnato un bel niente perché le borse di studio sono insufficienti o perché i posti in residenza sono finiti. Se poi hai dei genitori che disgraziatamente lavorano ed hanno la sfortuna di far parte di quel che resta della “classe media”, potrebbe capitarti che, nonostante loro facciano a meno di fare la spesa per loro stessi per ricaricarti la postepay tutti i mesi, per lo Stato potrebbero essere troppo ricchi perché tu possa avere la borsa di studio. E allora pagherai 2000 euro di tasse all’anno, l’affitto e le bollette. Nel frattempo ti sentirai anche in colpa nel non portare i soldi a casa, anzi nello spenderli per studiare cose che “tanto poi, nella vita vera, non servono a niente”.
Lo studente dovrebbe invece ricevere un compenso dallo Stato, rapportato alla sua condizione economica e personale e al costo della vita. Così che possa non pesare sulla famiglia fino a 25 anni e possa crearsi una relativa indipendenza economica già durante gli studi. Compenso che non siano quei 1100 euro all’anno della borsa di studio. Perché 1100 euro all’anno, è elemosina. Le borse di studio sono utili se già lo studente ha una famiglia alle spalle che possa supportarlo economicamente. Sono un modesto sostegno ad un reddito minimo già percepito.
Ma giustamente, tu studente povero, oltre all’alloggio e alla mensa gratis non puoi pretendere anche i soldi, che ne so, per fare un aperitivo, per comprarti un libro o un paio di scarpe. Tu sei povero e quindi, dopo che hai il privilegio di studiare, non puoi spendere anche per cose superflue; hai due pasti al giorno e un tetto sulla testa, cos’altro ti serve?!
Questo è il modello di studi universitari che è riuscito a realizzare la società neoliberista del più Europa. La società dell’Erasmus.
Noi siamo la generazione dell’Erasmus.
Noi siamo la generazione di giovani che ha svenduto i propri diritti: allo studio, al lavoro, alla casa, alla famiglia e, più in generale al futuro per sei mesi a Barcellona o per quattro mesi a Londra. Noi siamo la generazione che parla quattro lingue, ma non sa perché è festa il 25 aprile o il 2 giugno. Siamo la generazione che ordina su Amazon e poi va in piazza per il Fridays for Futures.
Non siamo stati capaci neanche di costruire uno straccio di lotta nuova e originale, nostra. Abbiamo preferito sfogare le personali frustrazioni prive di ogni base realmente politica in lotte ereditate, per cause da noi non vissute, studiate male, capite peggio. E allora noi siamo la generazione degli antifà e dei neofasciti e dei maschi contro femmine.
Abbiamo preferito andare in giro con la maglietta di Che Guevara, prodotta da qualche multinazionale in Bangladesh invece di essere Che Guevara.
Abbiamo perso tempo a combattere per diritti che erano già su carta e per qualcosa che c’era già senza renderci conto di quello che ci stavano negando.
Siamo impauriti, sottomessi, disposti ad accettare ogni prevaricazione e ricatto per paura della disoccupazione, della fame, di star male e non essere curati, di invecchiare e non avere una pensione, di non poter dar niente ai figli che avremo, del rifiuto sociale.
Siamo schiavi dell’immagine, schiavi dei social, del marketing.
Siamo soli e isolati. Arrabbiati. Delusi. Senza obiettivi e senza sogni. Chi ha sogni è considerato uno sciocco, un irresponsabile, un illuso. Perché questa è la società dell’uomo economico, dell’uomo razionale, dell’uomo efficiente, della praticità.
Abbiamo accettato la più grande delle privazioni, non poter essere.
Abbiamo accettato di essere esseri “flessibili” e omologati, invece di esseri completi e unici.
Noi, complici più o meno consapevoli di un sistema malato, facendoci comprare dalla (non) società neoliberista, non solo abbiamo svenduto i nostri diritti ma abbiamo tolto quel piede dalla porta che ha contribuito a chiudere la stanza del cambiamento economico, politico e sociale dell’Italia e del mondo.
Quella stanza deve e può essere riaperta. Siamo convinti che sia impossibile cambiare le cose e per questo ci tiriamo fuori ancora prima di provarci non riuscendo a capire che, è soltanto il nostro tirarci indietro che rende le cose impossibili.
Noi giovani abbiamo l’esigenza personale e il dovere morale di riaprirla quella porta e abbiamo il potere di farlo. Per noi, per chi verrà dopo di noi e per chi c’è stato prima. E’ il nostro paese, la nostra casa, la nostra stessa vita. E’ una nostra responsabilità. Riusciamo a vedere in personaggi ignoti doti quasi sovraumane e non vediamo il potere che potremmo avere noi. Dobbiamo smetterla di affidarci agli altri per paura di fallire noi stessi o per pigrizia: non esiste Salvini, non esiste Renzi, Di Maio, la Meloni… Esistiamo noi. Siamo il futuro. Se vogliamo che sia diverso dal presente e dal passato, siamo noi a dover essere diversi.
Apriamo gli occhi, attiviamoci. Per cambiare bisogna agire!
La finanza, le grandi società multinazionali e le classi dominanti tutte, col supporto dei grandi fondi “salvastati” come FMI e MES si stanno spartendo ciò che resta da spartire del mondo, stanno distruggendo gli Stati nazionali, calpestando la cultura, i popoli, i loro diritti e le leggi che più meno democraticamente quei popoli si erano dati. Tutto questo con l’appoggio dei governati locali e nel loro silenzio. L’Italia è a un bivio: (ri)conquistare l’indipendenza, la sovranità e il potere di decidere del proprio futuro o soccombere; proseguire un lento declino, una silenziosa trasformazione da già protettorato degli Stati Uniti e paese schiavo delle politiche dell’Unione Europea che è ora, a vera e propria colonia e terra di conquista per i super ricchi del mondo intero.
Da giovane immagino che un giorno qualcuno ci chiederà dov’eravamo, che pensavamo noi a venti o trent’anni, cosa abbiamo fatto per fermare tutto questo.
Se avrò la fortuna di invecchiare voglio il privilegio di poter dire che, dalla parte giusta della storia, io c’ero!
Vorrei poter dire che eravamo tanti, che eravamo uniti, che ce l’abbiamo fatta. Ed essendo piena la storia di esempi di popoli che ce l’hanno fatta, non capisco cosa ci sia di saggio e razionale nel non tentare!
- Fonte: LIBERIAMO L'ITALIA
* Veronica Duranti è attivista di LIBERIAMO L'ITALIA
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