[ domenica 10 novembre 2019 ]
Abbiamo ricevuto, e pubblichiamo, questa critica all'articolo di Moreno Pasquinelli LOTTA DI CLASSE E RIVOLUZIONI COLORATE. Essa tira in ballo, tra le altre questioni: (1) la funzione storica delle élite e quella dei popoli o, se si preferisce il rapporto tra "avanguardia e masse" e (2) le cause scatenanti delle rivoluzioni; (3) il concetto di "rivoluzione colorata" i di "false flag". Ci torneremo su...
Abbiamo ricevuto, e pubblichiamo, questa critica all'articolo di Moreno Pasquinelli LOTTA DI CLASSE E RIVOLUZIONI COLORATE. Essa tira in ballo, tra le altre questioni: (1) la funzione storica delle élite e quella dei popoli o, se si preferisce il rapporto tra "avanguardia e masse" e (2) le cause scatenanti delle rivoluzioni; (3) il concetto di "rivoluzione colorata" i di "false flag". Ci torneremo su...
[ Tutte le foto nell'articolo sono della grande sollevazione popolare che ha scosso l'Iraq il mese scorso ]
Il teoricamente importante articolo di M. Pasquinelli su “Lotta di Classe e Rivoluzione Colorate” si dipana sciogliendo tre nodi.
a) La crisi strategica della plutocrazia neo-liberista conduce inevitabilmente alla rivolta sociale; Pasquinelli, sebbene citi il teorema della “Rivoluzione Colorata”, finisce per concludere implicitamente che la rivolta sociale di popoli incolleriti sarebbe il soggetto in atto.
b) Nonostante taluni difetti teoretici lo storicismo marxista sarebbe nel giusto: è la Lotta di Classe l’essenza del movimento storico.
c) Le elite strategiche geopolitiche, per quanto siano storicamente presenti nel tentativo di orientare la direzione delle rivolte, non incarnerebbero da un certo punto in avanti lo spirito del tempo. Il popolo e la marcia sociale di questo stesso avranno ragione di ogni differente tentativo strategico, in questo caso delle “Rivoluzioni Colorate” delle elite atlantiche. Pasquinelli conclude citando gli esempi delle recenti rivoluzioni arabe e quello libanese e iracheno.
La vera e propria Rivoluzione Colorata nasce storicamente nel contesto della guerra jugoslava. A guidarla fu il famoso “Otpor!”, dal serbo Resistenza. Il movimento Otpor ebbe originariamente una dimensione sociale e politica basata sulla non violenza e sulla resistenza passiva. L’elite del movimento di Resistenza venne però addestrata dall’MI6 britannico, l’obiettivo era quello di delegittimare il governo socialista e patriottico di Slobodan Milosevic. Dopo la caduta del leader serbo, effettivamente portata a casa da “Otpor!”, la figlia del socialista serbo Marija Milosevic rilasciò una importante intervista in cui tratteggiò la storia della “Resistenza serba” al nuovo Patriottismo serbo rappresentato dal Governo Milosevic. Rilevò il ruolo centrale di varie intelligence occidentali, MI6 in prima linea. La Rivoluzione Colorata è solitamente non violenta, concentra ideologicamente la propaganda su un humus preciso e simbolico, inclusivo e non esclusivo, come avverrà nella prima Rivoluzione Colorata ucraina (2004). La “rivoluzione” ucraina del 2014 non è invece, a nostro avviso, un modello di rivoluzione colorata. Fu una autentica insurrezione armata il cui motivo ideologico, esclusivista e esplicitamente razzista, fu lo sciovinismo ucraino russofobo. Motivi sociali e economici, per quanto presenti, finirono in secondo piano. Fu originariamente una insurrezione eurofila e atlantista?
Qui non si tratta di essere marxisti o antimarxisti, ma di osservare il movimento storico novecentesco. La storia contemporanea novecentesca non ha conosciuto lotta di classe che si sia realizzata in rivoluzione politica. Come sostiene Martov in un fondamentale studio, sottovalutato, Leninismo fu l’elite militare (spesso e volentieri antioperaista) al potere, non fu di certo classismo operaistico (1); Maoismo fu rivoluzione nazionale dei ceti contadini e di piccoli commercianti; Castrismo fu allo stesso modo elite militare al potere e così di seguito. Dunque fa bene Pasquinelli a precisare che l’Operaio non è la quintessenza di un quid metafisico e trascendentale. Nonostante questo, risulta forzato considerare ogni moto sociale di per sé diveniristico e potenzialmente ribellistico; la storia ha infatti mostrato che è dalla guerra che si sviluppa solitamente un movimento sociale rivoluzionario che trova sistematicamente anche l’elite politica che sappia orientarne nella giusta direzione l’impulso principale. La storia del Novecento lo mostra per chi vuole vederlo e la chiudiamo dunque qui. Pasquinelli infine si tradisce. Scrive che la rivolta di Hong Kong è reazionaria e filoimperialista. Questo mostra bene, come sopra puntualizzavamo, che è l'elite politica (in tal caso filobritannica), non il moto sociale originario, a dare un colore e un carattere alla rivolta. Dobbiamo però portare come caso a parte la Rivoluzione Iraniana del ’79, secondo vari interpreti la Rivoluzione più imponente e decisiva del secolo passato, che effettivamente non si è sviluppata da una guerra e sembrerebbe frutto di un primordiale movimento sociale. Abbiamo quindi modo di ricollegarci alle stesse recenti rivoluzioni arabe.
Il popolo iraniano, con una civilizzazione millenaria superiore a quella occidentale, non ha potuto partecipare alle Due Guerre Mondiali. Il regime taghuti degli anni ’40 dello scorso secolo, pavido e corrotto, arrivò anche a accettare supinamente l’umiliazione superimperialista anglosovietica del 1941 pur di continuare a regnare sulla pelle dei lavoratori iraniani e del nascente ceto medio. Cosa ispirò politicamente l’imam negli anni ’60 nel suo progetto di Governo Islamico antioccidentale? L’imam, secondo talune testimonianze di studenti di Qom, fu particolarmente e benevolmente colpito dalla rivoluzione anticolonialista algerina. Khomeini, un patriota iraniano strategicamente nemico di Yalta e del superimperialismo sionista, considerò il movimento anticolonialista algerino nel suo elemento di continuità strategica con il movimento delle masse musulmane nella Seconda Guerra Mondiale. Il popolo musulmano non aveva ancora donato all'umanità la sua azione rispetto al secondo conflitto mondiale di cui fu con Gerusalemme occupata la prima vittima storica. La Rivoluzione Iraniana fu perciò, in netta continuità di tendenza con i motivi principali della Seconda Guerra Mondiale, azione di alta strategia politica e geopolitica. Il messaggio globale della Rivoluzione fu infatti anzitutto contro Yalta, “né Oriente né Occidente, Nazione Iraniana e popolo globale musulmano”; il vecchio e reazionario mondo di Yalta, che l’Iran dileguerà, rispose imponendo 10 anni di “Guerra Imposta” con più di un milione di morti (in gran parte adolescenti e giovanissimi) alla gente persiana, ma la Repubblica islamica resistette. Evidentemente, il messaggio di imam Khomeini essendo un messaggio rivoluzionario e democratico, l’ayatollah si è infatti rivolto al tempo stesso alla Nazione Iraniana e all’intera umma islamica e a tutti gli oppressi di ogni razza, religione e sesso, ha posto le basi, ben più di un Castro o di un Mandela o di un Giap, per un Risveglio universale, in particolare di quei popoli islamici sottomessi a regimi filoccidentali filosionisti taghuti.
Note
1) Sul bolscevismo come movimento non operaistico, si rimanda a: https://www.viella.it/libro/9788833131177 <https://www.viella.it/libro/9788833131177>
2) Collegando la primavera araba alla lotta antimperialista islamica, la Guida espose le quattro aspirazioni di base: far rivivere l’onore nazionale, dopo decenni di dominio tirannico filoccidentale; ricercare la giustizia sociale e uno sviluppo economico rispettoso dell’identità islamica; resistere all’influenza culturale del capitalismo occidentale e del “governo fantoccio sionista” di Israele, stato crociato estraneo alla cultura mediterranea e del Vicino Oriente. La Guida invitò i sinceri rivoluzionari mussulmani a contrastare i piani dei “nemici esterni” e delle Potenze Arroganti (Nato, Usa, Gb, Francia, Germania, Italia) il cui fine principale era sabotare il Risveglio globale islamico. La conferenza internazionale sul Risveglio islamico di Tehran venne non a caso boicottata, assieme ad occidentali e sionisti, dalle varie Fratellanze mussulmane del Cairo e di Istanbul.
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ÉLITE, POPOLO, RIVOLUZIONE
Per una critica teorica al populismo socialdemocratico di M. Pasquinelli
di A.V.
Il teoricamente importante articolo di M. Pasquinelli su “Lotta di Classe e Rivoluzione Colorate” si dipana sciogliendo tre nodi.
a) La crisi strategica della plutocrazia neo-liberista conduce inevitabilmente alla rivolta sociale; Pasquinelli, sebbene citi il teorema della “Rivoluzione Colorata”, finisce per concludere implicitamente che la rivolta sociale di popoli incolleriti sarebbe il soggetto in atto.
b) Nonostante taluni difetti teoretici lo storicismo marxista sarebbe nel giusto: è la Lotta di Classe l’essenza del movimento storico.
c) Le elite strategiche geopolitiche, per quanto siano storicamente presenti nel tentativo di orientare la direzione delle rivolte, non incarnerebbero da un certo punto in avanti lo spirito del tempo. Il popolo e la marcia sociale di questo stesso avranno ragione di ogni differente tentativo strategico, in questo caso delle “Rivoluzioni Colorate” delle elite atlantiche. Pasquinelli conclude citando gli esempi delle recenti rivoluzioni arabe e quello libanese e iracheno.
Rivoluzione Colorata è rivoluzione o è guerra ibrida imperialista?
La vera e propria Rivoluzione Colorata nasce storicamente nel contesto della guerra jugoslava. A guidarla fu il famoso “Otpor!”, dal serbo Resistenza. Il movimento Otpor ebbe originariamente una dimensione sociale e politica basata sulla non violenza e sulla resistenza passiva. L’elite del movimento di Resistenza venne però addestrata dall’MI6 britannico, l’obiettivo era quello di delegittimare il governo socialista e patriottico di Slobodan Milosevic. Dopo la caduta del leader serbo, effettivamente portata a casa da “Otpor!”, la figlia del socialista serbo Marija Milosevic rilasciò una importante intervista in cui tratteggiò la storia della “Resistenza serba” al nuovo Patriottismo serbo rappresentato dal Governo Milosevic. Rilevò il ruolo centrale di varie intelligence occidentali, MI6 in prima linea. La Rivoluzione Colorata è solitamente non violenta, concentra ideologicamente la propaganda su un humus preciso e simbolico, inclusivo e non esclusivo, come avverrà nella prima Rivoluzione Colorata ucraina (2004). La “rivoluzione” ucraina del 2014 non è invece, a nostro avviso, un modello di rivoluzione colorata. Fu una autentica insurrezione armata il cui motivo ideologico, esclusivista e esplicitamente razzista, fu lo sciovinismo ucraino russofobo. Motivi sociali e economici, per quanto presenti, finirono in secondo piano. Fu originariamente una insurrezione eurofila e atlantista?
No. Qui Pasquinelli (che ho visto in precedenti articoli sostiene comunque saggiamente i russofili ucraini) ha in parte ragione. Chi conosce la storia ucraina, sa che il nazionalismo razzista e antirusso ucraino non è stato creato dall’MI6, così come, facendo un altro esempio, il forte antisionismo grande-russo non venne creato di punto in bianco dall’Ochrana ai primi del '900 e dovette infatti essere reintegrato nella stessa ideologia di regime dell’Urss, sebbene non fosse inizialmente previsto. I vari movimenti nazionalisti ucraini hanno finito inevitabilmente, pur non essendo questo probabilmente nelle intenzioni originarie, per gravitare nel campo dell’imperialismo occidentale-sionista divenendone a tutti gli effetti braccio armato. L’insurrezione armata di una elite ultranazionalistica e russofoba addestrata ha trasformato l’iniziale Rivoluzione Colorata di milioni di manifestanti in un chiaro evento di guerra ibrida imperialista russofoba e occidentalista. Le azioni di guerra non ortodossa (strage del 20 febbraio coordinata dall’ambasciata Usa di Kiev) hanno accelerato la vittoria dell’insurrezione russofobica, non l’hanno però predeterminata. Altro esempio, a tal proposito, è la tentata insurrezione armata dei sionisti di Guaidò in Venezuela di pochi mesi fa. In questo caso, il pronto intervento di reparti operativi inviati dal Cremlino ha messo in fuga gli insorti antivenezuelani. A differenza del regime di Victor Janukovyc, il governo neo-chavista di Maduro gode di un importante e sostanziale consenso popolare, in questo caso, dunque, l’intervento russo era politicamente giustificato e legittimato. Da questi eventi si comprende che non si sfugge né si può sfuggire al conflitto o al confronto tattico e strategico tra elite globali imperialiste (sioniste americane e probabilmente cinesi), imperiali (putiniane), democratiche antimperialiste (persiane e fronte della Resistenza "sciita"). Se l'Ottocento fu in parte il secolo delle scosse sociali che non si seppero saldare con l'elite politica; se il Novecento fu il secolo in cui l'elite politica seppe guidare il movimento; il secolo attuale sarà il secolo dello scontro e del conflitto tra elite globali.
La Lotta di Classe come sostanza del movimento sociale storico?
Qui non si tratta di essere marxisti o antimarxisti, ma di osservare il movimento storico novecentesco. La storia contemporanea novecentesca non ha conosciuto lotta di classe che si sia realizzata in rivoluzione politica. Come sostiene Martov in un fondamentale studio, sottovalutato, Leninismo fu l’elite militare (spesso e volentieri antioperaista) al potere, non fu di certo classismo operaistico (1); Maoismo fu rivoluzione nazionale dei ceti contadini e di piccoli commercianti; Castrismo fu allo stesso modo elite militare al potere e così di seguito. Dunque fa bene Pasquinelli a precisare che l’Operaio non è la quintessenza di un quid metafisico e trascendentale. Nonostante questo, risulta forzato considerare ogni moto sociale di per sé diveniristico e potenzialmente ribellistico; la storia ha infatti mostrato che è dalla guerra che si sviluppa solitamente un movimento sociale rivoluzionario che trova sistematicamente anche l’elite politica che sappia orientarne nella giusta direzione l’impulso principale. La storia del Novecento lo mostra per chi vuole vederlo e la chiudiamo dunque qui. Pasquinelli infine si tradisce. Scrive che la rivolta di Hong Kong è reazionaria e filoimperialista. Questo mostra bene, come sopra puntualizzavamo, che è l'elite politica (in tal caso filobritannica), non il moto sociale originario, a dare un colore e un carattere alla rivolta. Dobbiamo però portare come caso a parte la Rivoluzione Iraniana del ’79, secondo vari interpreti la Rivoluzione più imponente e decisiva del secolo passato, che effettivamente non si è sviluppata da una guerra e sembrerebbe frutto di un primordiale movimento sociale. Abbiamo quindi modo di ricollegarci alle stesse recenti rivoluzioni arabe.
Il popolo iraniano, con una civilizzazione millenaria superiore a quella occidentale, non ha potuto partecipare alle Due Guerre Mondiali. Il regime taghuti degli anni ’40 dello scorso secolo, pavido e corrotto, arrivò anche a accettare supinamente l’umiliazione superimperialista anglosovietica del 1941 pur di continuare a regnare sulla pelle dei lavoratori iraniani e del nascente ceto medio. Cosa ispirò politicamente l’imam negli anni ’60 nel suo progetto di Governo Islamico antioccidentale? L’imam, secondo talune testimonianze di studenti di Qom, fu particolarmente e benevolmente colpito dalla rivoluzione anticolonialista algerina. Khomeini, un patriota iraniano strategicamente nemico di Yalta e del superimperialismo sionista, considerò il movimento anticolonialista algerino nel suo elemento di continuità strategica con il movimento delle masse musulmane nella Seconda Guerra Mondiale. Il popolo musulmano non aveva ancora donato all'umanità la sua azione rispetto al secondo conflitto mondiale di cui fu con Gerusalemme occupata la prima vittima storica. La Rivoluzione Iraniana fu perciò, in netta continuità di tendenza con i motivi principali della Seconda Guerra Mondiale, azione di alta strategia politica e geopolitica. Il messaggio globale della Rivoluzione fu infatti anzitutto contro Yalta, “né Oriente né Occidente, Nazione Iraniana e popolo globale musulmano”; il vecchio e reazionario mondo di Yalta, che l’Iran dileguerà, rispose imponendo 10 anni di “Guerra Imposta” con più di un milione di morti (in gran parte adolescenti e giovanissimi) alla gente persiana, ma la Repubblica islamica resistette. Evidentemente, il messaggio di imam Khomeini essendo un messaggio rivoluzionario e democratico, l’ayatollah si è infatti rivolto al tempo stesso alla Nazione Iraniana e all’intera umma islamica e a tutti gli oppressi di ogni razza, religione e sesso, ha posto le basi, ben più di un Castro o di un Mandela o di un Giap, per un Risveglio universale, in particolare di quei popoli islamici sottomessi a regimi filoccidentali filosionisti taghuti.
La dimensione sociale, in riferimento al Fronte mondiale degli oppressi rappresentato dall’imam, non ha una sua autonomia in questo contesto, ma è subordinata o viaggia di pari passo con la logica morale e politica della classe dirigente rivoluzionaria che accoglie le rivendicazioni universali dei diseredati e degli umili. Sia la Guida Suprema Seyyed Ali Khamenei sia la precedente presidenza Ahmadinejad hanno immediatamente accostato le cosiddette primavere arabe al Risveglio globale Islamico, in continuità diretta con il ’79; addirittura la cerchia di Ahmadinejad con un giudizio che sembrò accettato dalla Guida sostenne che la scintilla a Piazza Tahrir si accese tra le masse oppresse quando lo spirito del Mahdi illuminò le folle presentandosi lì in veste spirituale (2). Quanto più lontano vi possa essere dalla lettura pseudo-democratica (in realtà profondamente aristocratica) marxista e/o liberale delle masse che si mettono in moto solo perché spinte dalla fame, dallo stomaco o dal primitivo bisogno sociale. D’altra parte il quadro di sovversione e destabilizzazione finalmente aperto dalle cosiddette primavere arabe nel Grande Medio Oriente se manda in frantumi, come ben spiega il Pasquinelli, ogni grottesca ipotesi complottista, basterebbe pensare alla eroica Rivoluzione Yemenita e alla seconda Rivoluzione baathista interna nella Siria di Bashar al Asad o a quanto sta avvenendo in Libano e in Iraq dove lo sciismo antisionista scavalca quello ufficiale, dissolve allo stesso modo il populismo socialdemocratico del Pasquinelli: dallo Yemen al Libano sono le elite “progressiste” politico-militari provenienti dal movimento di massa, non staccate da questo come fu nel caso di un certo nazionalismo panarabista e del kemalismo occidentalista, consolidatesi e formatesi sul campo, a contrastare colpo su colpo la guerra mondiale ibrida dell’imperialismo e del sionismo: il popolo senza l’elite sciita antimperialista non troverebbe via d’uscita e rischierebbe di fare la fine del mercenariato curdo-arabo filosionista e filosaudita arruolato dal “re di Prussia”.
Non vi è spazio quindi per una generica e mistificatrice "sollevazione sociale delle classi subalterne", tale lettura è fuorviante, ma unicamente per storiche azioni di resistenza antimperialista di fronte alla guerra ibrida o classica che le elite imperialiste sioniste, francesi e anglosassoni hanno imposto da più di un secolo, e continuano ad imporre, nel Grande Medio Oriente. Gli eventi attuali di Libano e Iraq chiariranno agli scettici la posta in gioco.
Note
1) Sul bolscevismo come movimento non operaistico, si rimanda a: https://www.viella.it/libro/9788833131177 <https://www.viella.it/libro/9788833131177>
2) Collegando la primavera araba alla lotta antimperialista islamica, la Guida espose le quattro aspirazioni di base: far rivivere l’onore nazionale, dopo decenni di dominio tirannico filoccidentale; ricercare la giustizia sociale e uno sviluppo economico rispettoso dell’identità islamica; resistere all’influenza culturale del capitalismo occidentale e del “governo fantoccio sionista” di Israele, stato crociato estraneo alla cultura mediterranea e del Vicino Oriente. La Guida invitò i sinceri rivoluzionari mussulmani a contrastare i piani dei “nemici esterni” e delle Potenze Arroganti (Nato, Usa, Gb, Francia, Germania, Italia) il cui fine principale era sabotare il Risveglio globale islamico. La conferenza internazionale sul Risveglio islamico di Tehran venne non a caso boicottata, assieme ad occidentali e sionisti, dalle varie Fratellanze mussulmane del Cairo e di Istanbul.
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