Riceviamo e volentieri pubblichiamo
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LA PALESTINA E LA GEOPOLITICA MONDIALE
di Angelo Vinco
dell’imam Husayn, ha ben chiarito come l’Iran islamico, avanguardia globale della lotta al Sionismo imperialista mondiale, sia al tempo stesso la Nazione della massima fraternità con il popolo ebraico, come mostra la vita sociale e religiosa della foltissima comunità ebraica iraniana, che ha dato peraltro anche vari martiri alla Nazione islamica iraniana. E’ chiaro che la tradizione geopolitica dell’Iran rivoluzionario rileva, come ha sempre fatto, l’enorme e inconciliabile distanza tra il neocolonialismo razzista Israeliano islamofobo e arabofobo e la metafisica tradizione profetica dell’Ebraismo classico caratterizzante tuttora le comunità israelitiche scissioniste ed ortodosse rispetto alla deviazione “eretica” ed etnicista sionista.
L'URSS E LA NASCITA DI ISRAELE
A differenza però di quanto una certa retorica falsamente antimperialista ha imposto nel dibattito pubblico, il ruolo sovietico fu effettivamente centrale e decisivo nella nascita dello Stato israeliano. Disse Golda Meir che se non vi fosse stato l’appoggio logistico e militare dell’URSS di Stalin il sionismo non avrebbe potuto avere ragione, tra il 1945 ed il 1948, dell’Egitto e del nazionalismo palestinese.
Al riguardo si consiglia sia lo studio di Leonid Mlecin, Perché Stalin creò Israele, che si avvale di documenti archivistici sovietici mai prima utilizzati in ambito storiografico, sia quello di Antonio Donno su Gli Stati Uniti, il sionismo e Israele che evidenziano l’opposizione radicale del Dipartimento di Stato al filosionismo di Truman.
Fu Nikita Krusciov, sotto la accorta regia di Suslov, a imprimere una svolta rivoluzionaria alla politica estera russa, superando il neocolonialismo classico reazionario russo che nei decenni precedenti l’URSS aveva riadattato dallo zarismo alla propria direzione geopolitica: dal Vicino Oriente al Sud America passando per l’Estremo Oriente asiatico, la linea Krusciov fu effettivamente una linea progressiva di antagonismo globale all’imperialismo americano e allo stesso sionismo globale che finirà così per identificarsi, pressoché totalmente dalla metà degli anni ’60 circa, con il primo. La linea Krusciov fu quindi una linea di social-universalismo, oltre i dissidi con il campo maoista cinese che parlava invece di “socialimperialismo russo”.
Evgenij Primakov, il più grande stratega della nuova Russia imperiale, avrebbe indicato nel potere di profondità afro-mediterraneo la chiave per la rinascita della potenza globale moscovita. Il fallimento strategico del nazionalismo panarabo ha infatti cronologicamente coinciso con il crollo dell’URSS, ma va ben compreso che fu proprio la modernità della Rivoluzione iraniana del ’79 a mandare complessivamente in frantumi il bipolarismo di Yalta; la nuova contesa globale si è aperta su direttive strategiche che hanno passo dopo passo assunto la forma del multipolarismo, mentre nella sostanza il multipolarismo è rimasto bloccato ed è l’americano-sionismo a dettare la linea.
LA CINA, PUTIN E ISRAELE
Se è vero che la Cina ha conquistato posizioni tattiche, è anche vero che la Cina è potuta entrare in partita solo immettendosi con abilità tattica nel dissidio, che è ormai una vera e propria guerra interna di frazione economica e politica, tra l’élite della sinistra sionista d’Occidente e quella della destra sovranista e neo-territorialista nazionalsionista. La Cina dunque, sino ad oggi, non ha minimamente colpito le posizioni strategiche del Sionismo globale e la sostanziale coincidenza economicistica di posizione tra il partito GAFA dei vari Zuckerberberg, Bezos e la dirigenza cinese ben lo attesta.
Ben diverso il discorso per quanto riguarda Vladimir Putin. Il presidente russo è entrato nella contesa globale grazie ad una politica, se non concretamente decisionistica-rivoluzionaria e universalistica, comunque neo-imperiale, che ha privilegiato sin dove abbia potuto, dopo il tragico decennio postsovietico, la dignità e l’onore russi umiliati e calpestati.
Il neo-egemonismo imperiale putininiano ha già mostrato e mostra sempre più il fiato corto proprio sul nodo strategico centrale, quello del Vicino Oriente Mediterraneo. Da allievo di Primakov quale è, Putin negli anni recenti ha dato prova di guizzi di grande politica; dalla salvaguardia della Crimea al dispiegamento di una base egemonica panrussa e panortodossa a trazione mediterranea e mediorientale, Putin ha riaffermato un ben chiaro orizzonte del partito mondiale russo senza continuare gli aspetti più brutali e riprovevoli del sovietismo colonialista ma riprendendo talune giuste motivazioni dell’epoca kruscioviana.
Al tempo stesso però, se il disegno universale del krusciovismo era evidente e noto, oggi non abbiamo purtroppo un putinismo globale né abbiamo un antagonismo sociale al liberismo euroccidentale che lo spinge avanti; Putin non fa che rispondere colpo su colpo alla ignobile aggressività occidentale russofobica nel nobile tentativo di salvare il salvabile, prima che la situazione precipiti in modo irreparabile, come è del resto nel disegno del fine analista Karaganov.
Se è vero che la catastrofe ed il genocidio russo della democrazia liberale trovarono in Putin un decisivo e provvidenziale oppositore è anche vero che Putin si è limitato in molti casi ad amministrare l’amministrabile senza provocare ulteriori correttivi o sconvolgimenti ad un popolo il quale, nella storia del Novecento, ne ha già subiti troppi. Perciò il disegno imperiale russo rimane incompiuto.
La prassi imperiale per essere tale dovrebbe essere di fatto e nella pratica sociale accettata dal consesso globale come universalismo. E questo, nonostante il rispetto e l’ammirazione o il disprezzo aperto di cui la Russia è oggetto nel mondo, non sta avvenendo. Il sogno americano si è rivelato una illusione, rimane però sul campo la superpotenza tecnologica e militare, il sogno cinese politicamente non decolla subordinato al medesimo totalitarismo tecnocratico e economicistico degli USA.
I DUE UNIVERSALISMI IN CAMPO
L’universalismo cattolico ha esaurito la sua missione millenaria proprio nell’istante in cui ha accettato de facto la supremazia sionista sulla Palestina storica e il suo declino storico, per quanto lento, è oramai irreversibile. Perciò gli unici modelli di civilizzazione con un afflato vitale ideologico ed universalistico sono il persiano-iraniano e quello israeliano-sionista.
L’universalismo del primo, in continuità con la Rivoluzione del ’79, è per ora rappresentato dalla guida strategica di Qassim Soleimani il quale alla fine degli anni Novanta crea l’Asse della Resistenza al sionismo (nuova declinazione del partito mondiale degli Oppressi di imam Khomeini) in una larga e estesa fascia geopolitica che comprende Libano, Africa, Sud America, Africa; l’unità Quds — Al Quds è il nome arabo di Gerusalemme, “la città santa” — composta da circa 15 mila uomini, selezionati e di provata fede, è una organizzazione adatta al contesto globale, duttile e elastica, svolgente sia funzione di guerra di guerriglia antimperialista sia di intelligence.
E’ una organizzazione che rispecchia la flessibilità strategica e la visione del mondo di Soleimani; il nazionalismo rivoluzionario e sociale persiano è integrato nella prassi di un partito universale antimperialista, che contrasti tanto il falso Islam dei terroristi iranofobi per cui ogni sciita sarebbe un safavide da annientare quanto l’islamofobia sionista per cui l’Iran è il primo nemico politico e geopolitico.
L’universalismo del secondo (il modello israeliano-sionista) è stato a nostro avviso ben individuato dall’analista Giulio Meotti, il quale ha rilevato come lo stato d’Israele sia l’ultimo stato occidentale della terra, il baluardo dell’Occidentalismo bianco ben oltre e ben più degli USA, almeno simbolicamente, oltre che per la forza della lobby globalista israeliana, su cui si è a lungo soffermato il prof. Mearsheimer dell’università di Chicago.
Non è un caso che vari estremisti di destra e sinistra nostalgici della centralità globale, etnica o filosofica o operaistica, euroccidentale siano oggi esplicitamente filoisraeliani e vedano nell’esempio sionista un modello geopolitico da imitare.
Di fronte a questi due universalismi, la Russia politica e imperiale sarà costretta, per il nuovo profilo che si è data, a fare una scelta e a posizionarsi tra i due in un fronte preciso. Bettino Craxi, sincero amico dell’Islam e del popolo di Palestina, in un suo lucidissimo scritto dall’esilio tunisino, scrisse che la Seconda Guerra mondiale non era terminata nel ’45 con Hiroshima, ma trasferitasi nel Vicino Oriente sarebbe tuttora in corso, con i due fronti ben visibili, in vista dell’imprevisto esito finale.
Di fronte a questi due universalismi, la Russia politica e imperiale sarà costretta, per il nuovo profilo che si è data, a fare una scelta e a posizionarsi tra i due in un fronte preciso. Bettino Craxi, sincero amico dell’Islam e del popolo di Palestina, in un suo lucidissimo scritto dall’esilio tunisino, scrisse che la Seconda Guerra mondiale non era terminata nel ’45 con Hiroshima, ma trasferitasi nel Vicino Oriente sarebbe tuttora in corso, con i due fronti ben visibili, in vista dell’imprevisto esito finale.
Ancora una volta, come è avvenuto nei momenti determinanti della storia moderna e contemporanea, potrebbero essere perciò la Russia ed il suo grande popolo, ben più della Cina, a far pendere l’equilibrio strategico della bilancia da una parte o dall’altra, risolvendo però finalmente, in un senso o nell’altro, una tragedia umanitaria, quale è quella palestinese, che va avanti da più di un secolo nella sostanziale indifferenza generale. Si consideri infatti, rimanendo al nostro paese, che, eccetto Craxi ed i craxiani di strettissima osservanza, che furono al riguardo effettivamente chiari, sia i comunisti sia i socialisti storici si opposero, in coda alla DC, all’equazione stabilita e votata in sede ONU tra sionismo e razzismo.
1 commento:
Ottimo e affascinante scritto. Karbala
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