sabato 6 gennaio 2018

MACCHINE E ROBOT PRODUCONO PLUSVALORE? di Mauro Pasquinelli

[ 6 gennaio 2018 ]

OTTO CRITICHE ALLE "SEI LEZIONI" DI SERGIO CESARATTO 


Leggendo il libro del dottor Cesaratto Sei lezioni di economia, mi sono imbattuto nel paragrafo 13, del primo capitolo, dal titolo “la teoria del valore-lavoro lavora male”

L’ho letto e riletto più volte, poi mi sono deciso a rispondere con queste brevi note, che consegno volentieri al dimenticatoio internettaro. L’ho fatto solo per onorare ancora la grandezza e il genio di Karl Marx che si pretende di demolire con colpi bassi, ma che puntualmente sopravvive più forte che pria. Dixit et salvavi anima meam. 

Ecco cosa scrive Cesaratto:
“In un certo senso Marx sbagliava ad affermare che il capitalista estrae i profitti solo dal lavoro vivo, dal lavoro erogato quest’anno per produrre le merci, anzi in un certo senso è l’opposto, ne estrae di più dal lavoro morto, quello erogato (diciamo)  l’anno scorso per produrre le attrezzature. Se voi mettete un capitale in banca per un anno, percepirete gli interessi per quell’anno al tasso di interesse concordato; se li lasciate per due anni percepirete gli interessi per due anni e anche gli interessi sugli interessi o interesse composto e cosi’ via per piu’ anni. Il capitalista che produce oggi impiegando il lavoro diretto (capitale variabile) ha prodotto ieri attrezzature e materiali con lavoro indiretto (capitale costante). Allora semplificando, per conoscere il valore oggi del capitale costante prodotto ieri, dobbiamo conoscere il tasso di profitto: come il capitale di 100 euro che voi avete investito lo scorso anno in banca al tasso del 5% (o 0,05) vale oggi 100 euro (1+0,05) e in generale 100 euro x (1+i) se capitalizzato al tasso i, cosi’ se il capitalista ha investitto ieri un capitale di 100 euro in attrezzature, questo capitale vale oggi 100 euro x (1+0,05) (se il saggio del profitto e’ r = 0,05). In altri termini, il capitalista che anticipa in capitale per un anno ci deve lucrare il saggio di profitto normale, senno’ l’avrebbe investito in titoli sicuri. Insomma le ore di lavoro contenute in C e V non entrano nel valore di una merce in misura equivalente: quelle contenute in C vanno capitalizzate e per farlo dobbiamo conoscere il tasso di profitto (o di interesse consideriamoli sinonimi del tasso di rendimento del capitale). Nell’esempio, se il lavoro diretto V+S e il lavoro indiretto C sono entrambi di 10 ore, il valore (o prezzo) della merce non e’ 20 ore, bensi’ (v+s) +  c(1+r) = 10 ore + 10 ore(1+r) =?    Non possiamo risolvere questa semplice equazione senza conoscere il saggio di profitto r a cui capitalizzare il capitale anticipato l’anno prima. Ma d’altra parte se non risolviamo l’equazione non possiamo determinare r”.piu’ oltre Cesaratto scrive “ La difesa della teoria del valore lavoro appare quindi un esercizio anacronistico spesso basato su una cattiva economia”…..e aggiunge “la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto e’ vera se e’ vera la teoria del valore lavoro. Ma poiché tale teoria è falsa con essa cade anche la presunta legge». [ pag 68 ]
Avete ben capito?  Il Professore con quattro battute, in una sorta di hegeliana furia del dileguare, pretende di aver demolito la teoria del valore di Marx, pilastro della sua opus magnum  “il capitale”, costata decenni di studi e di infaticabili ricerche. Ma in realtà non ha demolito un bel niente! Ha solo  mostrato la confusione e i circoli viziosi del suo ragionamento. Proviamo a capire perché Per semplificare enumero tutti gli errori di Cesaratto, che sono tanti quante sono i periodi del suo enunciato!

1) Le macchine producono plusvalore? 
Cesaratto risponde affermativamente (premettendo la locuzione che denota incertezza “in un certo senso”) e lo fa insinuando un concetto tanto caro a Smith e ai marginalisti (ma come non era lui nemico giurato dei marginalisti?): il profitto non è solo un derivato del lavoro vivo dell’operaio ma è soprattutto la remunerazione del fattore  capitale per il suo contributo alla produzione. Adam Smith è andato  oltre,  affermando che anche la rendita, la quale va a formare il prezzo finale delle merci, insieme ai salari e ai profitti, è la giusta ricompensa del latifondista per l’apporto che fornisce alla produzione, affittando terreni a chi pone in essere un impresa. 
Adam Smith tuttavia non si avvide che togliendo di mezzo il latifondista (oggi potremmo dire il banchiere) non varia il prezzo finale della merce ma aumenta solo la quota di profitto del capitalista. Ampliando il concetto oggi potremmo dire che eliminando il capitalista rentier (la cui icona in Italia abbiamo ben rappresentata in Berlusconi) la ricchezza complessiva di una nazione non varia, ma aumenta la porzione complessiva di sovrappiù  di cui può beneficiare la popolazione! Morale della favola: banchieri, rentiers, capitalisti del denaro non producono ricchezza, non aggiungono valore alla merce ma se ne appropriano drenandola dal circuito della produzione e della circolazione delle merci (e del denaro). E’ ovvio che non ci sono solo capitalisti rentiers ma anche capitalisti manager e il loro reddito va computato in parte come salario in parte come prelievo sul sovrappiù derivante dallo sfruttamento di classe.

2) Che la macchina non produca plusvalore, per Marx e i marxisti, non è un articolo di fede, un assioma indimostrato. Proverò a dimostrarlo con alcuni  esempi. Supponiamo che la ricchezza nazionale annua prodotta da una nazione sia costituita da 100 kg di grano pari a 100 ore di lavoro, equivalenti a 100 euro e che ci sia un unico capitalista proprietario della terra e 10 operai al lavoro con solo mani e zappe di nessun valore. Siamo ora provvisoriamente in regime di monopolio assoluto che poi faremo lavorare in regime di concorrenza.

Quindi:

PRODUZIONE TOTALE = 100 KG DI GRANO = 100 ORE DI LAVORO = 100 EURO

In questo caso, supponendo che mantenere i 10 operai costi 50 kg di grano (pari a 50 euro di salario), al capitalista rimangono gli altri 50 come sovrappiù, o plusvalore. Il capitalista solo per il fatto di essere proprietario della terra e di sorvegliare gli operai che lavorano percepisce un reddito di 50 euro, pari al reddito di 10 operai. Ma ora viene il bello. Il capitalista compra da un’altra nazione un aratro che gli costa 200 euro  (pari a 200 ore di lavoro che ci sono volute per costruirlo), che ammortizza in 10 anni e gli fa risparmiare la metà degli operai e delle ore di lavoro. La produttività cresce quindi del 100%. L’aratro che è costato 200 ore di lavoro farà risparmiare ai produttori di grano, in 10 anni,  500 ore di lavoro.

Avremo così:

PRODUZIONE TOTALE = 100 KG DI GRANO = 50 ORE DI LAVORO + 20 ORE (AMMORTAMENTO DELL’ARATRO)= ????????? EURO

ho messo dei punti interrogativi al posto degli Euro. Perche’? Qui si svela l’arcano se la macchina produce plusvalore oppure no!! Se il valore dei 100 kg di grano dipende dalla quantita’ di lavoro socialmente necessario a produrlo, (come scrive Marx) allora al posto dei punti interrogativi dovremmo porre l’equivalente in euro di 70 pari a 70 ore di lavoro! In sostanza con l’aumento della produttività, derivante dall’introduzione dell’aratro, avremo la stessa quantità di grano prodotta con un numero inferiore di ore di lavoro. 

Quindi:

100 KG DI GRANO = 70 ORE DI LAVORO = 70 EURO

Il valore dell’aratro si realizza come ammortamento annuo di 20 ore (20 euro) ma non crea nuovo valore. Ops! Arrivano i somari in economia e esclamano: ma allora il capitalista è scemo a introdurre l’aratro perché ora si trova con una ricchezza diminuita da 100 a 70 euro!!  Già ma il capitalista con un aratro in più riesce a produrre la stessa quantità di grano muovendo la metà di lavoro vivo e il suo guadagno si realizza come sovrapprofitto fino a quando riuscirà a vendere l’intero ammontare di grano a 100 euro, cioè fino a quando l’innovazione dell’aratro non si estende a tutti i suoi concorrenti. Solo a questo punto i 100 kg di grano verranno pagati 70 euro e non piu 100!! Morale della favola, con l’introduzione dell’aratro la società risparmia lavoro vivo, si ritrova più ricca di valori di uso ma più povera di valore di scambio, in proporzione agli output realizzati (in questo caso 10 quintali di grano). È questo semplice ragionamento che ha indotto Marx, nel frammento sulle macchine dei Grundrisse, a concludere che, a causa dell’aumento della forza produttiva sociale del lavoro, il capitale mina  se stesso e pian piano viene a crollare il valore di scambio come movente della creazione di ricchezza.

3) Vediamo ora cosa succede, nell’esempio citato, al tasso di profitto calcolato in ore di lavoro. 
Nel primo caso (quello senza aratro) il tasso di profitto  (R) è il seguente:
R = 50/50 = 1 = 100%                           
[ove 50 al numeratore è il pluslavoro dei 10 operai e 50 al denominatore è il salario]

con l’introduzione dell’aratro, nella prima fase in cui l’innovazione non è diffusa, il tasso di profitto aumenta:

R = 50/ (25+20) = 1,11 =  111%           
si realizza un sovrapprofitto del 11% con un tasso totale del 111%

Quando l’innovazione si diffonde, come nel sistema dei vasi comunicanti, il saggio di profitto si livella perché la sovra-produttività del primo settore che ha introdotto l’aratro diventa la produttività media, il prezzo del grano diminuisce e il valore dei 100 kg di grano che il primo settore realizzerà sul mercato non sarà più 100 euro ma 70 euro. Quindi al tasso di profitto accade proprio questo:
R = 25 / (25+20)  = 0,55= 55%     

IL TASSO DI PROFITTO, CON L’INTRODUZIONE DELL’ARATRO, SCENDE QUINDI DAL 100%  AL 55%, DOPO ESSERE INIZIALMENTE SALITO AL 111%.  

Bisogna considerare tuttavia una variabile che agisce come controtendenza a questa caduta: se consideriamo il salario come il valore del paniere dei beni consumati dall’operaio, i 5 operai che lavorano, dopo l’introduzione dell’aratro e l’aumento della produttività media,  consumeranno una quantità di grano il cui valore è diminuito del 40%, quindi il salario reale non sarà più 25 ma 15 euro. 

A questo punto il nuovo saggio di profitto sarà:    

R= 35 / 15+20 = 35/35 = 1 = 100%

Riassumendo il saggio di profitto ha subito un aumento, poi una caduta e poi si è stabilizzato al livello di partenza, alla sola condizione che i 5 operai espulsi campino di aria o non siano assistenzialmente mantenuti, mentre quelli che lavorano non  rivendichino un aumento del salario reale, continuando a mangiare e nutrirsi della stessa quantità di grano. 
La macchina non ha creato plusvalore, come racconta Cesaratto, ma ha accresciuto il tasso di sfruttamento del lavoro, ossia la quota del sovrappiù che il capitalista preleva a spese dell’operaio.  Un aumento del saggio di profitto si può avere solo se i salari reali ristagnino o crescano meno velocemenente della produttività del lavoro.  
In altre parole, seguendo questo ragionamento astratto, ci sarebbe caduta tendenziale del saggio di profitto se gli operai riuscissero ad ottenere con la lotta di classe una crescita del paniere dei beni salario e dei servizi sociali ed assistenziali (salario diretto + salario indiretto). Questo è ciò che e’ accaduto nel lungo ciclo fordista degli anni 50-70 del secolo scorso e che oggi stanno azzerando con le politiche ultraliberisdte-liberiste e globaliste.

Non è vero quindi ciò che afferma Cesaratto, ossia che la caduta tendenziale del saggio di profitto è falsa perché falsa è la teoria del valore-lavoro. Dati alcuni parametri ipotetici si può dimostrare come corollario, in base alla stessa teoria del valore-lavoro, che il saggio di profitto cresca o rimanga stabile invece di diminuire.

4) Supponiamo ora che venga introdotta un ulteriore innovazione. 
Al posto dell’aratro viene acquistato un trattore che sostituisce altri 4 operai, lasciandone solo uno alla sua guida. Il trattore costa 200 euro che viene ammortizzato in 10 anni al costo di 20 euro l’anno. Esso fa raddoppiare ancora la produttività del lavoro rispetto all’aratro. Costa 200 ore di lavoro ma ne farà risparmiare in dieci anni 320. Avremo che:

100 KG DI GRANO = 8 ORE DI LAVORO + 20 ORE DI AMMORT. DEL TRATTORE = 28 ORE = 28 EURO

Con l’introduzione del trattore il valore del grano ha subito un crollo del 72% rispetto alla situazione in cui si lavorava con la zappa e del 32% rispetto a quella in cui si lavorava con l’aratro. 

Cosa succede ora al saggio di profitto? Anche se l’operaio  lavora solo mezza ora per riprodurre il suo salario e 8 ore e mezza per il padrone, con tassi di sfruttamento da capogiro, il tasso di profitto R sarà:

R =  8,5/ (1,4+20) = 0,40 = 40%

Questo significa che, data una quantità fissa e fisica di valori d’uso sociali (in questo caso 100 kg di grano) lo sviluppo esponenziale della produttività del lavoro farà diminuire tendenzialmente sia la massa che il saggio di profitto. La massa del profitto si riduce infatti da 100 a 8,5 mentre il saggio passa da 100 a 40%. 

Per arginare questo crollo il capitale mette in atto una serie di contro misure che qui solo accenniamo: Monopolio, Trust, Cartelli, Imperialismo, Concentrazione e Centralizzazione dei capitali, Finanziarizzazione, Bancocrazia, immiserimento crescente della popolazione, debito ecologico, rapina e saccheggio della natura, OGM, controllo delle sementi in agricoltura, guerre, etc. ect.  Tutte misure tese a far crescere la massa del plusvalore per compensare la caduta del saggio. 

Ma questo pocansi descritto non è forse il quadro perfetto del neo-liberismo bellezza? E come si spiega questo affannarsi del capitale a contrastare la caduta del saggio se non con le leggi di movimento del capitale e con la teoria del valore lavoro formulati  da Marx?  

Rispondendo a Cesaratto, se la macchina, in questo caso il trattore, avesse prodotto più valore di quanto è in esso contenuto il valore della produzione per unità di output (parola tanto cara a lui e Sraffa) non sarebbe crollato da 100 a 28 euro ma sarebbe rimasto lo stesso!! Elementare Watson. Ma la semplicità è la cosa più difficile a farsi!! 

Se produrre 100 kg di grano non è più remunerativo, il capitale, in teoria, dismette la produzione e lascia morire di fame la popolazione. 

Oggi come ieri accade che gli agricoltori disperdano il latte e distruggano con il trattore tonnellate di mele e di aranci solo perché non realizzano un profitto. Forse che non ci sarebbero bocche disponibili a mangiarli? Ciò evidenzia icasticamente che la produzione e i bisogni della società sono entrati in un conflitto insanabile con il capitale e che esso deve essere rimosso se vogliamo garantire la sopravvivenza e la convivenza civile. 
Marx avrebbe affermato: il valore di scambio non può essere più la misura e la condizione di esistenza del valore d’uso. Ribaltando la gerarchia tra valore d’uso e valore di scambio, la comunità umana può invece continuare a produrre i 100 kg di grano nonostante il profitto tenda a ridursi sotto la soglia insostenibile per il capitale. Solo la collettività, organizzata attraverso il proprio Stato, può continuare a produrre gli ipotetici 100 kg di grano anche se il sovrappiù si avvicina allo zero. Un ipotetico stato stazionario plurisecolare con bassissimo surplus è compatibile con la felicità e il benessere della comunità umana orientata ai valori d’uso, più di quanto non lo sia con la produzione di capitale fondata sulla valorizzazione!

5) Ora formuliamo l’ipotesi finale. 
Ci spingiamo fino al paradosso per vedere fino a che punto resiste la tesi marxista e quella di Cesaratto. La fatidica prova del nove. 
Un ipotetico Stato ci regala un Robot eterno che lavora incessantemente 24 su 24 senza intervento dell’uomo. Esso sostituisce sia il trattore che l’ultimo operaio. 
Che fine farà il valore di scambio dei 100 kg di grano? Che fine farà il tasso di profitto? È ovvio che scenderanno entrambi a zero. Al massimo il valore del grano sarà pari al valore delle sementi. Ma il valore d’uso del grano rimarrà lo stesso. Come l’aria ha un altissimo e incommensurabile valore d’uso ma nessun valore di scambio fino a che essa non diventerà un bene scarso (il capitale è sulla buona strada perché con l’inquinamento vuol farci pagare pure l’aria che respiriamo) cosi il robot, che ha azzerato il lavoro umano nella produzione, ha reso così abbondanti e disponibili i valori d’uso che essi non avranno più valore di scambio! Cessa quindi la produzione fondata sul valore e sul capitale.
Seguendo invece il ragionamento di Cesaratto no, percheé la macchina produce valore e plusvalore anche senza intervento del lavoro umano. 
Un decrescitista come Latouche potrebbe farmi notare che in questo caso io non calcolo il limite fisico delle risorse naturali, il debito ecologico  e la scarsità delle materie prime. Giustissimo! Non lo aveva calcolato neppure Marx e oggi questo sarebbe un errore fatale! In sostanza non avremo mai il Paese di Bengodi che, come fosse l’albero della cuccagna,  azzera la scarsità, il lavoro e lo stesso valore di scambio!

6) Cesaratto non si illuda. 
Non abbiamo finito di sollevare obiezioni e critiche. Ora arriva il bello!  L’allievo di Garegnani e Sraffa scrive:
«Se voi mettete un capitale in banca per un anno, percepirete gli interessi per quell’anno al tasso di interesse concordato; se li lasciate per due anni percepirete gli interessi per due anni e anche gli interessi sugli interessi o interesse composto e così via per più anni. Il capitalista che produce oggi impiegando il lavoro diretto (capitale variabile) ha prodotto ieri attrezzature e materiali con lavoro indiretto (capitale costante). Allora semplificando, per conoscere il valore oggi del capitale costante prodotto ieri, dobbiamo conoscere il tasso di profitto».  
Sbam sbam sbam! Dopo tanto sbraitare contro la teoria neoclassica ne assume il postulato ideologico più indifendibile e anti-operaio. E questo lo chiama ….udite udite la prova che la teoria del valore lavoro di Marx è falsa.

Proviamo a farci largo tra i fumi e le nebbie di questa enunciazione.
Per Marx il valore di ogni merce è rappresentabile con la seguente formula trinitaria  
VALORE  P di una merce = C+V+PL. 

Dove C sta per il valore del capitale costante (cioe’ dei macchinari e delle materie prime),  V per salari e PL per profitti o plusvalore. Ad un occhio non distratto la formula trinitaria esprime ore di lavoro socialmente necessarie, cioè prodotte secondo la produttività sociale media. C+V+PL e’ il totale delle ore di lavoro necessarie a produrre una merce. Cesaratto sentenzia invece che la formula è falsa perché per trovare il valore di una merce,  C (il capitale costante) deve essere computato come C + il saggio di profitto di C. Poi si accorge di essere caduto in un circolo vizioso perché per calcolare il saggio di profitto di C bisogna sapere prima il valore della merce  P.

Perché Cesaratto vuole C + il saggio di profitto di C? In realtà non ha scoperto nulla, ha solo ripetuto cose già dette da Garegnani. Sraffa tuttavia fu più lungimirante: disse che per calcolare il valore di una merce bisogna conoscere il prezzo di produzione di C e di V (Cesaratto ha dimenticato V) e quindi il saggio di profitto medio, (medio dottor Cesaratto e non solo quello di C) perché senza di questo non si può conoscere il prezzo di produzione! 

Marx si avvede benissimo di questo circolo vizioso e usando il Rasoio di Occam fa astrazione dai prezzi di produzione di C e di V e ne assume solo i valori per semplicità di calcolo. Perché opera questa semplificazione? Perché assume che il valore di C e di V sia dato dalla produttività media del sistema e solo quando il valore è dato dalla produttività media coincide con il prezzo di produzione. Risolto l’enigma che ha tenuto impegnati i neoricardiani come Garegnani per trenta anni e che Cesaratto ha posto a fondamento e vertice  della scorrettezza della teoria del valore lavoro! 

7) Ma non abbiamo risposto alla domanda cruciale del perché Cesaratto vuole C + il saggio di profitto di C? 

Qui ci avviciniamo alla fine, cioè alla chiusura del cerchio teorico analitico di Cesaratto in merito alla teoria del valore-lavoro. E’ semplice: perché egli assume che il capitale costante, cioè il lavoro morto, “produce più plusvalore del lavoro vivo” e quindi deve essere computato già in partenza del suo saggio di profitto atteso.  

Infatti egli fa questa allusione, che è un vero e proprio autogol: come il rentier investe il suo risparmio X per avere dopo un anno X+r, cosi il capitalista investe in attrezzature C per avere dopo un anno C+r. Avete capito bene? Il profitto non e’ una estorsione a danno del lavoratore è ricompensa per il contributo del capitale costante, neanche del capitalista. 

Cesaratto in preda a questa furia giustificazionista del profitto non si avvede che il capitalista, quando acquista le attrezzature, ha già pagato il profitto al suo venditore ed esso non può essere computato due volte, altrimenti la ragioneria del bilancio ne risulterebbe completamente sballata. In C, secondo Marx, è compreso già il saggio di profitto ed è il saggio di profitto medio! Non occorre riaggiungerlo. La matematica non e’ una opinione!

8) Dulcis in fundo merita attenzione il parallelo che il nostro compie tra profitto prodotto dal capitale costante e interesse creato dal capitale dato in prestito. Qui Marx si rivolta nella tomba e se fosse vivo avrebbe ridotto in polpette il povero Cesaratto. Il Nostro da ad intendere che nella misura  in cui l’interesse è la giusta e necessaria ricompensa per il capitale prestato, cosi il profitto è la necessaria remunerazione del capitale investito in attrezzature.  O viceversa —sbam triplo— il Rentiers, il capitalista, l’operaio sarebbero tutte figure necessarie ed insostituibile del processo di produzione. L’interesse non sarebbe più un prelievo parassitario sulla massa del plusvalore prodotto dal lavoro vivo ma il motore dell’economia (cosi come il profitto) e di cui non potremmo privarci.

Siamo arrivati alla fine: le tesi di Cesaratto qui espresse demoliscono se stesso, non Marx. 

Oltretutto ci consegnano tout court nelle mani dell’ideologia neo liberale che a parole  dichiara di combattere. Ahimé, le tesi di Cesaratto segnano un passo indietro rispetto alle stesse tesi del suo  maestro Keynes sull’eutanasia del rentier!

Trevi 5 gennaio 2018













13 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottimo contributo. Ci voleva!! Le critiche neo-ricardiane alla teoria del valore-lavoro sono state qui brillantemente demolite! Dopo essersi rivoltato nella tomba Marx riposa di nuovo in pace!! Bella anche l'immagine di Marx che osserva Cesaratto con severita' mista ad aristocratica attesa prima del biasimo!!!
Emiliano

pasquino55 ha detto...

Bello e lucido il commento di Mauro Pasquinelli che rispondendo a Cesaratto dimostra in modo incontestabile dove veramente risieda la reale motivazione del tracollo politico e culturale della “sinistra” in tutte le molteplici espressioni e connotazioni che da tempo (ultimi 40 anni) va assumendo, la sua conversione ispirata all’etica e allo spirito liberale. Se questa è la realtà (e questa è la realtà) l’unica prospettiva di chi a sinistra non si è convertito al liberalismo ha per ricostruire un pensiero e una prospettiva di reale cambiamento non è quella di ricercare in Keynes possibili rimedi o ricette per mitigare o contenere il capitalismo e i mali e le ingiustizie da esso generati ma è quella di rivolgere il proprio sguardo e ricerca altrove riscoprendo e rivalutando Proudhon “la proprietà è un furto, è la radice della coercizione, della gerarchia autoritaria e delle élite privilegiata” perché è ormai lapalissiano che la sua vera forza ed egemonia il sistema capitalista la trae e la esprime tramite e per mezzo della proprietà privata. Solo combattendo ed abbattendo la proprietà privata si potrà veramente e definitivamente distruggere il capitalismo, perché è da essa che riceve la linfa vitale che lo sostanzia e lo alimenta e, senza la quale, non troverebbe nessun senso per esistere.
Pasquino55

Anonimo ha detto...

Con un Robot eterno universale il tasso di profitto e il valore di scambio scenderebbero a zero ? Sicuri? Se questo robot fosse di proprietà di un monopolio di capitalisti o addirittura di un singolo capitalista, questi potrebbe imporre prezzi e profitto. Del resto esistono attività totalmente robotizzate (lavanderie automatiche, macchinette del caffè ecc.) che generano profitti per i proprietari, altrimenti non verrebbero installate.

Anonimo ha detto...

Insomma: i neoricardiani ritornano alla confusione fra valore e prezzo di produzione, a monte della quale stanno due errori (già individuati da Marx nelle Teorie sul plusvalore): la confusione fra erogazione della forza lavoro e valore della forza lavoro; l'interpretazione della presenza nella merce di un valore superiore a quello pagato alla forza lavoro in forma di salario, anziché come manifestazione dello sfruttamento, come somma di salario, profitto e rendita, prendendo come "date" (qui addirittura nella forma di titoli, piovuti non si sa da dove!) grandezze la cui origine nel processo di produzione dovrebbe invece essere spiegata.
Mi convince molto di meno la difesa della caduta tendenziale del saggio di profitto, soprattutto non mi convince considerare il possibile aumento del saggio di plusvalore come "controtendenza": ha ragione Heinrich, non è un fattore controtendenziale, ma è una delle condizioni stesse di operatività della legge, visto che l'aumento della composizione in valore del capitale avviene proprio nell'ambito dell'aumento di plusvalore relativo e quindi del saggio. Per validare la legge bisognerebbe riuscire a dimostrare che la composizione aumenta più rapidamente del saggio, ma questo Marx non l'ha dimostrato (e c'è più di un indizio che lui stesso avesse abbandonato l'ipotesi: vedi per esempio l'annotazione a pie' di pagina nel cap. XXIII del I volume del Capitale).
Comunque bel pezzo. :-)

Anonimo ha detto...

Articolo ingeneroso nei confronti di uno dei pochi economisti veramente di sinistra (anche più di Brancaccio se confrontiamo le posizioni su euro e Ue). La teoria del valore-lavoro è appunto una teoria non un dogma, che non è originaria di Marx ma di Ricardo, ed è stata più volte criticata non solo da socialisti ma anche da alcuni marxisti (Sweezy). Non è affatto evidente il perché, se un capitalista sostituisce a uomini macchine (che non richiedono un salario, non scioperano, possono essere inserite o eliminate a piacere), il suo profitto dovrebbe diminuire anziché aumentare. Il robot rappresenta per il capitalista il lavoratore perfetto, ed è per questo che cercano di trasformare i lavoratori in automi incoscienti

Anonimo ha detto...

PASQUINELLI MAURO

Cerchero’ di rispondere a tutti i commenti perche’ li trovo interessanti e centrati!
Caro Pasquino hai ragione!! Oramai anche la sinistra piu estrema e’ contaminata di liberalismo. Lo spostamento ad destra non ha coinvolto solo l’ex PCI ora PD verso la nuova destra ma anche l’estrema sinistra. Tony Negri leader del 77 sembra diventato un apologeta delle nuove tecnologie e del mondialismo come portassero in nuce, non la barbarie, ma il nuovo comunismo. Mario Tronti fondatore di Potere operaio, che si considera l’ultimo bolscevico d’ Italia, vedi ultima intervista rilasciata a Carlo Formenti, vota la fiducia a Renzi e vota si al referendum di Ottobre. Sergio Cesaratto, considerato da molti l’economista piu’ a sinistra che abbiamo in Italia (leggi il commento dell’anonimo del 7 gennaio ore 2,14) pretende di demolire Marx rispolverando tesi Marginaliste e Smithiane. Un tempo si diceva economia borghese o economia marxista? Tra le due c’e’ un fossato ma con cio’ non dispererei di trovare forme di unita’ d’azione per un governo di emergenza nazionale con i settori piu’ avanzati dell’intellighentia neokeynesiana, come la MMT, Cesaratto, Bagnai o Brancaccio.

Anonimo ha detto...

PASQUINELLI MAURO

Rispondo all’anonimo delle 15,39. E’ ovvio che, qualore il robot che ho usato nel mio esempio, fosse di proprieta’ di una impresa monopolistica o di un trust che abbatte la concorrenza, elevando barriere all’ingresso di nuove imprese, i prezzi delle merci sarebbero gonfiati artificialmente consentendo la realizzazione di sovrapprofitti. Ma questi ultimi non sono creati dal Robot ma dal monopolio. Il sovrapprofitto in questo caso non rappresenta creazione di nuovo valore nella sfera della produzione ma drenaggio di valore nella sfera della circolazione, da settori non monopolistici a settori monopolistici!
Riguardo all’esempio che hai fornito sulle lavanderie automatiche, come fossero galline dall’uova d’oro, non faccio difficolta’ a smentire il tuo ragionamento! Intanto ogni impresa altamente automatizzata che fa ingresso in un mercato realizza sempre dei sovrapprofitti nella sfera della circolazione delle merci. Come ho spiegato nel post, fino a quando la sovraproduttivita’ dell’impresa automatizzata non diventa produttivita’ media del settore, la prima realizza dei sovrapprofitti nella sfera della circolazione (dove si realizza il saggio medio di profitto) come fosse un monopolio!
Ma il vizio del tuo ragionamento sta nel non considerare che in ogni lavanderia automatica il proprietario lavora eccome!! Chi sorveglia le lavatrici? Chi controlla che le macchine siano fatte funzionare seguendo le regole? Chi istruisce i nuovi clienti su come utilizzarle? Chi pulisce i macchinari e i locali a fine giornata? In realta’ il proprietario della lavanderia automatica e’ come un piccolo artigiano che guadagna il suo stipendio impegnando il suo tempo nel controllo delle macchine! Il suo e’ un profitto o un salario? Nessuna delle due! E’ reddito da lavoro autonomo!

Anonimo ha detto...

PASQUINELLI MAURO

Rispondo all’anonimo delle 1:17
E’ vero Marx non ha dimostrato perche’ la composizione organica del capitale cresce piu’ rapidamente del saggio di plusvalore determinando una caduta del tasso di profitto. Ma cio’ e’ implicito nel suo ragionamento. Alcuni anni fa, sfidato dall’economista Paolo Giussani, scrissi un pezzo che dimostrava matematicamente questa relazione tra composizione organica e saggio del plusvalore. Se vuoi te la passo. Comunque rispondendo alla tua prima obiezione la crescita del tasso di plusvalore (o tasso di sfruttamento) per Marx non e’ una controtendenza alla caduta del saggio di profitto. Le controtendenze che lui menziona sono: a) aumento della massa dei profitti b) deprezzamento periodico del capitale costante c) innovazione tecnologica d) esportazione dei capitali in paesi in cui la forza lavoro costa di meno e) speculazione e finaziarizzazione f) Centralizzazione dei capitali.
I neoricardiani non hanno capito dove risiede l’origine del plusvalore ed essa sta, in estrema sintesi, nella differenza tra il valore del lavoro operaio e il valore della forza lavoro dell’operaio, al netto delle spese in materie prime ed attrezzature!

Anonimo ha detto...

ripeto quello che scrissi qui in risposta a un prof di economia (non ricordo il nome) in un articolo rimosso (http://sollevazione.blogspot.com.br/2013/10/e-ancora-valida-la-legge-del-valore-di.htm):

marx sbagliava sulla caduta del saggio di profitto. questo cade nell'ipotesi che il saggio di plusvalore (o di sfruttamento) rimanga stabile sostituendo capitale a lavoro, invece aumenta! perchè se si passa da 100 operai a 1 solo che spinge un bottone, nulla obbliga il capitalista a moltiplicare x100 il salario dell'unico operaio all'aumentare x100 della sua "produttività", perchè ci sono 99 disoccupati pronti a fargli concorrenza. quindi il monte salari cala, quindi Pv/V aumenta.
esempio.
partiamo da:
100 = 40(C) + 40(V) + 20(Pv)
abbiamo
r = Pv/C+V = 20/40+40 = 0.25 (1)
con C/V = 1
ora passiamo a C/V = 3, quindi:
100 = 60 + 20 + 20
dividendo nella (1) numeratore e denominatore per V (per considerare Pv/V ovvero il saggio di plusvalore), abbiamo
r = (20/20)/(60/20 + 1) = 0.25

Anonimo ha detto...

PASQUINELLI MAURO
rispondo all’anonimo delle 2:14
che mi accusa di essere stato ingeneroso verso Cesaratto, unico economista di sinistra!! Caro anonimo ti potrei rispondere con le parole del filosofo Amicus Plato, sed magis amica veritas, Platone mi è amico, ma più amica mi è la verità. Ho evitato di usare epiteti offensivi e la mia critica rientra nell’alveo di una normale disputa teorica tra marxisti e keynesiani di sinistra che e’ sempre stata accesa e senza risparmio di reciproche accuse! E’ vero che Ricardo e’ il vero padre della teoria del valore-lavoro ma come da lui formulata non funzionava bene e Marx vi apporto’ delle correzioni decisive che ne cambiarono l’assetto e il funzionamento! Tanto per cominciare Marx, in una nota lettera a Kugelman (se non sbaglio) fu chiaro al riguardo: Io non ho scoperto, scrisse, il plusvalore ma il lavoro astratto. Senza la teoria del lavoro astratto la legge del valore non funziona. Ricardo inoltre non conosceva la categoria del plusvalore come lavoro gratuito estorto alla forza lavoro dal capitale.
La teoria del valore lavoro e’ un dogma? Niente affatto. Come ogni teoria scentifica puo’ essere sottoposta alla popperiana falsificazione! Ma non mi consta che i neo-ricardiani siano riusciti in questo proposito. Come la teoria della gravitazione universale di Newton e’ ancora valida nonostante le correzioni apportate dalla fisica einsteiniana e quantistica, cosi la teoria del valore lavoro resiste ancora nello spiegare la molteplicita’ dei fenomeni capitalistici nella sfera economica! La correzione apportata dai neoricardiani e Sraffiani alla legge del valore, anche ammesso che fosse valida, puo al massimo spiegare i prezzi, cioe’ un 5% della realta’ capitalistica e sappiamo che i prezzi sono solo forme fenomeniche di una sostanza che si chiama valore, che a sua volta rimanda ad una sostanza ancora piu’ grande che si chiama lavoro umano. Gia’ il titolo dell’opera di Sraffa, “produzione di merci a mezzo di merci” e’ in se una tautologia, il segnale di una rappresentazione feticistica e rovesciata del mondo delle merci. Le merci non si producono attraverso altre merci ma attraverso il lavoro! E la matrice di imputs ed outputs formulata in quel libro serve solo a far passare il processo di produzione capitalistico come un processo naturale ed universale, una matrice incolore ed asettica di input ed output, valida per ogni formazione sociale, occultando la natura classista e schiavistica del capitalismo!

Anonimo ha detto...

(Sono l’anonimo dell’1:17) Caro Mauro, grazie per la risposta. Brevemente: sono d’accordo che per Marx l’aumento del saggio di plusvalore derivante dall’aumento della “forza produttiva del lavoro” non è considerato una causa contrastante la caduta (quello derivante da un aumento del grado di sfruttamento del lavoro mediante allungamento della giornata lavorativa o intensificazione del lavoro invece sì: è la prima delle “cause contrastanti” menzionata nel cap. XIV del libro III). Era proprio la mia obiezione alla tua frase “Bisogna considerare tuttavia una variabile che agisce come controtendenza…”. Ovvero aumento di composizione e aumento di saggio sono due conseguenze della medesima causa.

Concordo pienamente sulla necessità di criticare il feticismo dei neoricardiani (come dici giustamente rispondendo a un altro utente, che cosa c’è di più feticista dell’idea di una “produzione di merci per mezzo di merci”? E i rapporti di produzione??); penso tuttavia che la difesa della teoria marxiana del valore sia separabile, e anzi: vada separata, dalla legge della caduta tendenziale. Se non l’hai seguita, ti rimando alla critica, logica e storico-filologica, che ne ha fatto Heinrich, che, oltre ovviamente ad essere un marxista, è uno dei curatori della MEGA nonché un matematico: https://monthlyreview.org/2013/04/01/crisis-theory-the-law-of-the-tendency-of-the-profit-rate-to-fall-and-marxs-studies-in-the-1870s/ e https://monthlyreview.org/commentary/heinrich-answers-critics/

Merita un’occhiata, secondo me. Un caro saluto.

Anonimo ha detto...

Caro Mauro Pasquinelli, sono l’Anonimo delle lavanderie automatiche… grazie per la risposta. Approfondisco così vediamo se, da non-economista, riesco a capire la teoria del valore-lavoro.

Facciamo un esperimento mentale, sempre coll’esempio di prima. Giustamente dici che, una volta automatizzata un’attività, resta sempre una minima parte di lavoro umano (pulire, controllare, manutenere le macchine ecc.). Poniamo però che la tecnologia renda disponibili lavanderie completamente automatiche, che si controllano/aggiustano da sole. Hanno però un alto costo di acquisto, che solo pochi possono permettersi. Dovremmo pensare che chi possiede una simile impresa non sia più un capitalista, che non percepisca un profitto, e che tale profitto non sia più un “furto” ?

Il capitalismo è la proprietà privata dei mezzi di produzione: dal mio punto di vista, sta nella “privatezza” l’origine dell’ingiustizia del sistema. Il capitalista produce beni, tramite uomini o macchine (è indifferente), e poi senza aver lavorato, per il semplice fatto di essere proprietario dell’impresa, si appropria dei prodotti finiti (che quindi vengono sottratti ai lavoratori e alla collettività), che poi rivende sul mercato.
Solo un’infima minoranza di persone ha le risorse per possedere una fabbrica di automobili, una rete televisiva, una catena di supermercati ecc. (non stiamo parlando degli artigiani insomma).

La modernità si caratterizza per la sostituzione del lavoro umano (e animale) con lavoro robotico: grazie ai combustibili fossili la gran parte del lavoro fisico è svolto dalle macchine, e gli umani svolgono funzioni di comunicazione/elaborazione delle informazioni o controllo/guida delle macchine. Il problema è che queste macchine non sono di proprietà della collettività, ma di un pungo di capitalisti globali (multinazionali, banche) che vi estorcono i profitti/rendite.

Tutto questo per dire che, dal mio punto di vista, si può essere socialisti, senza introdurre le categorie di valore-lavoro plusvalore sfruttamento e caduta del saggio di profitto. La teoria del valore-lavoro sembra implicare un’essenza “metafisica” nel lavoro umano, assente nel lavoro robotico (o anche animale). Perché solo il lavoro umano dovrebbe produrre valore, visto che “fisicamente”, empiricamente, l’attività umana è identica a quella svolta da una macchina? Cosa cambia se un lavoro è svolto da un operatore composto di carbonio anziché di silicio?!
Giorgio

Anonimo ha detto...

Allora Mauro, ho riletto il primo paragrafo del passo che hai citato e commentato, per cui vorrei mi confermassi se l’ho compreso. Intanto l’autore parla di lavoro «vivo» e «morto». Per distinguere quello presente, «diretto», cioè ancora in corso; da quello passato, «indiretto», cioè ormai compiuto. E per quale motivo costui pone tale curiosa distinzione? Perché lui, nella veste di ‘scienziato’ dell’economia, pone il problema dal punto di vista dell’imprenditore. Così il Lavoro, l’uomo stesso, si muta insensibilmente in ‘capitale’ fruttifero. E per questo è ridotto a un numero, una somma di denaro. Sicché il lavoro all’opera in carne e ossa ogni giorno, cioè GLI UOMINI, diventano «capitale variabile» (V). Mentre il lavoro realizzato ieri, cioè LE COSE prodotte, diventano «capitale costante» (C). Allora, data simile concezione, ecco il problema sollevato dall’economista ‘riformatore’: da dove sbuca il profitto? Solo dal lavoro «vivo», o anche da quello «morto»? Per favore dimmi se è così, prima che vado avanti.
Giorgio

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