[ 27 dicembre 2017 ]
Non giudicate i partiti da quel che dicono, piuttosto da quello che si rifiutano di dire.
Una legislatura finisce, un'altra sta per iniziare. In piena campagna elettorale di tutto discutono i parti in lizza meno che della questione delle questioni: la gabbia dell'Unione europea. In particolare del Fiscal Compact, una vera e propria Spada di Damocle che pende sulla testa del popolo italiano.
«Tanti titoli e titoloni sulla Brexit, che a noi in fondo cambia poco, e assenza quasi assoluta di dibattito sulla riforma dell’Europa, di importanza determinante per il nostro futuro. Siamo davvero un paese molto strano. E’ stato appena raggiunto un accordo sul Fiscal compact, il famigerato trattato intergovernativo che ci impone di attuare politiche restrittive di qui all’eternità, e si fatica a trovarne notizia sui media. Iniziative di discussione finora quasi zero, giusto un convegno della Cgil un paio di settimane fa.
A rompere il silenzio prova ora un gruppo di intellettuali, per lo più economisti, che ha lanciato un appello invitando alla discussione e formulando alcune proposte. Il testo completo e i nomi dei promotori (tra cui il sottoscritto) si trova sulle riviste Economia e politica e Keynesblog.
Come era previsto al momento in cui l’accordo fu stipulato, nel 2012, dopo cinque anni – cioè ora – si doveva decidere se inserire il Fiscal compact nei Trattati. Questo avrebbe richiesto un’approvazione all’unanimità di tutti i paesi membri, ed evidentemente non si è voluto correre il rischio. Così si è deciso di emanarlo con una direttiva europea. Qual è la differenza? Bisogna vedere che tipo di direttiva sarà: di norma queste decisioni devono essere recepite nella legislazione dei vari Stati, e in Italia ciò avviene tramite una legge ordinaria; ma c’è anche un tipo di direttiva self-executing, ossia che non ha bisogno della procedura di recepimento ed è immediatamente efficace. Se l’intenzione è quella di evitare rischi di passaggi parlamentari, è molto probabile che sarà scelta questa strada: hai visto mai che le procedure democratiche dovessero giocare qualche brutto scherzo…
Se questo è ciò che avverrà ne possiamo trarre due conclusioni. La prima è che chi pensa che i Trattati europei possano essere riformati si illude. La regola dell’unanimità lo rende praticamente impossibile, cosa di cui si sono già avute numerose prove. I Trattati, dunque, quelli sono e quelli resteranno, sognare “un’altra Europa” è del tutto irrealistico. La seconda è che, consci di questo fatto, i governi e le tecnocrazie europee procedono evitando in tutti i modi possibili di consultare i cittadini, perché sanno che nemmeno con le loro massicce dosi di propaganda riuscirebbero ad ottenere maggioranze che approvino i loro disegni. La democrazia scivola sempre più verso l’oligarchia, e aumenta il rischio che l’opposizione a queste politiche sfoci in un sempre maggiore consenso a partiti populisti che, se riuscissero a conquistare il potere, svelerebbero la loro natura ancora più antidemocratica.
L’appello di cui si è detto avanza alcune proposte sulla governance europea. Che non si consideri la spesa per investimenti ai fini del calcolo del deficit, innanzitutto; poi che si riveda la procedura di calcolo del Pil potenziale, inadeguata e inattendibile, ma in base alla quale la Commissione giudica le variabili di finanza pubblica dei vari paesi e chiede correzioni; ancora, che si prenda atto che il 60% del rapporto debito/Pil era il dato medio quando questo parametro fu stabilito, ma oggi la media è al 90% (sempre meno che in Usa e Giappone), e sarebbe irragionevole mantenere fermo quell’obiettivo; infine, che l’obiettivo delle massima occupazione sia inserito nello statuto della Bce alla pari con quello della stabilità dei prezzi, com’è per l’americana Fed.
Quando si sottoscrive un documento collettivo è praticamente impossibile che ognuno dei firmatari sia completamente d’accordo con tutto quello che vi si dice. Personalmente ho aderito soprattutto perché mi sembrava davvero di grande importanza che si discutesse di questi problemi. Inspiegabilmente assenti dal dibattito pubblico mentre si prendono decisioni che disegnano il nostro futuro.
Di sicuro, per esempio, non ritengo che cambiare il metodo di calcolo del Pil potenziale sia una soluzione adeguata. Per tener conto del ciclo economico basterebbe stabilire che, in caso di Pil negativo, la successiva legge di bilancio possa essere espansiva in modo proporzionato alla contrazione dell'attività economica, evidentemente anche in deroga alle regole stabilite per la finanza pubblica, che dovrebbero comunque avere un valore indicativo e non cogente. Poi avrei almeno accennato ad altri aspetti della riforma in discussione, per esempio riguardo al futuro Fondo salva-Stati che dovrebbe trasformarsi in Fondo monetario europeo. Uno strumento del genere può funzionare se deve occuparsi di piccoli Stati, ma se la speculazione a un certo momento attaccasse l’Italia o la Francia una sola istituzione sarebbe in grado di contrastarla, ossia la Bce, che dovrebbe poter intervenire in modo illimitato anche in aiuto di un singolo paese, senza che questo comporti condizioni-capestro.
Ma queste sarebbero comunque misure per la sopravvivenza immediata, utili a far sì che la nostra situazione non si aggravi ulteriormente, come purtroppo certamente avverrà, visti gli orientamenti del nostro governo. Come linea generale, non dovremmo assolutamente fare altri passi che ci vincolino ancor di più a questa Europa, dalla quale dovremmo invece cercare di acquisire tutti i possibili gradi di libertà. Chi ha pensato che l’Italia fosse incapace di governarsi, e fosse dunque opportuno vincolarci in modo da farci governare dagli altri (il famoso “vincolo esterno”), non ha capito un aspetto fondamentale: gli “altri” non ti governano facendo i tuoi interessi, ma i propri. Per chi ci sta legando sempre più a questa Europa della “democrazia quando si può” non andrà comunque male, le élites restano sempre a galla. Gli altri faranno bene a studiare prima di tutto le lingue».
* Fonte: Micromega
Non giudicate i partiti da quel che dicono, piuttosto da quello che si rifiutano di dire.
Una legislatura finisce, un'altra sta per iniziare. In piena campagna elettorale di tutto discutono i parti in lizza meno che della questione delle questioni: la gabbia dell'Unione europea. In particolare del Fiscal Compact, una vera e propria Spada di Damocle che pende sulla testa del popolo italiano.
«Tanti titoli e titoloni sulla Brexit, che a noi in fondo cambia poco, e assenza quasi assoluta di dibattito sulla riforma dell’Europa, di importanza determinante per il nostro futuro. Siamo davvero un paese molto strano. E’ stato appena raggiunto un accordo sul Fiscal compact, il famigerato trattato intergovernativo che ci impone di attuare politiche restrittive di qui all’eternità, e si fatica a trovarne notizia sui media. Iniziative di discussione finora quasi zero, giusto un convegno della Cgil un paio di settimane fa.
A rompere il silenzio prova ora un gruppo di intellettuali, per lo più economisti, che ha lanciato un appello invitando alla discussione e formulando alcune proposte. Il testo completo e i nomi dei promotori (tra cui il sottoscritto) si trova sulle riviste Economia e politica e Keynesblog.
Come era previsto al momento in cui l’accordo fu stipulato, nel 2012, dopo cinque anni – cioè ora – si doveva decidere se inserire il Fiscal compact nei Trattati. Questo avrebbe richiesto un’approvazione all’unanimità di tutti i paesi membri, ed evidentemente non si è voluto correre il rischio. Così si è deciso di emanarlo con una direttiva europea. Qual è la differenza? Bisogna vedere che tipo di direttiva sarà: di norma queste decisioni devono essere recepite nella legislazione dei vari Stati, e in Italia ciò avviene tramite una legge ordinaria; ma c’è anche un tipo di direttiva self-executing, ossia che non ha bisogno della procedura di recepimento ed è immediatamente efficace. Se l’intenzione è quella di evitare rischi di passaggi parlamentari, è molto probabile che sarà scelta questa strada: hai visto mai che le procedure democratiche dovessero giocare qualche brutto scherzo…
Se questo è ciò che avverrà ne possiamo trarre due conclusioni. La prima è che chi pensa che i Trattati europei possano essere riformati si illude. La regola dell’unanimità lo rende praticamente impossibile, cosa di cui si sono già avute numerose prove. I Trattati, dunque, quelli sono e quelli resteranno, sognare “un’altra Europa” è del tutto irrealistico. La seconda è che, consci di questo fatto, i governi e le tecnocrazie europee procedono evitando in tutti i modi possibili di consultare i cittadini, perché sanno che nemmeno con le loro massicce dosi di propaganda riuscirebbero ad ottenere maggioranze che approvino i loro disegni. La democrazia scivola sempre più verso l’oligarchia, e aumenta il rischio che l’opposizione a queste politiche sfoci in un sempre maggiore consenso a partiti populisti che, se riuscissero a conquistare il potere, svelerebbero la loro natura ancora più antidemocratica.
L’appello di cui si è detto avanza alcune proposte sulla governance europea. Che non si consideri la spesa per investimenti ai fini del calcolo del deficit, innanzitutto; poi che si riveda la procedura di calcolo del Pil potenziale, inadeguata e inattendibile, ma in base alla quale la Commissione giudica le variabili di finanza pubblica dei vari paesi e chiede correzioni; ancora, che si prenda atto che il 60% del rapporto debito/Pil era il dato medio quando questo parametro fu stabilito, ma oggi la media è al 90% (sempre meno che in Usa e Giappone), e sarebbe irragionevole mantenere fermo quell’obiettivo; infine, che l’obiettivo delle massima occupazione sia inserito nello statuto della Bce alla pari con quello della stabilità dei prezzi, com’è per l’americana Fed.
Quando si sottoscrive un documento collettivo è praticamente impossibile che ognuno dei firmatari sia completamente d’accordo con tutto quello che vi si dice. Personalmente ho aderito soprattutto perché mi sembrava davvero di grande importanza che si discutesse di questi problemi. Inspiegabilmente assenti dal dibattito pubblico mentre si prendono decisioni che disegnano il nostro futuro.
Di sicuro, per esempio, non ritengo che cambiare il metodo di calcolo del Pil potenziale sia una soluzione adeguata. Per tener conto del ciclo economico basterebbe stabilire che, in caso di Pil negativo, la successiva legge di bilancio possa essere espansiva in modo proporzionato alla contrazione dell'attività economica, evidentemente anche in deroga alle regole stabilite per la finanza pubblica, che dovrebbero comunque avere un valore indicativo e non cogente. Poi avrei almeno accennato ad altri aspetti della riforma in discussione, per esempio riguardo al futuro Fondo salva-Stati che dovrebbe trasformarsi in Fondo monetario europeo. Uno strumento del genere può funzionare se deve occuparsi di piccoli Stati, ma se la speculazione a un certo momento attaccasse l’Italia o la Francia una sola istituzione sarebbe in grado di contrastarla, ossia la Bce, che dovrebbe poter intervenire in modo illimitato anche in aiuto di un singolo paese, senza che questo comporti condizioni-capestro.
Ma queste sarebbero comunque misure per la sopravvivenza immediata, utili a far sì che la nostra situazione non si aggravi ulteriormente, come purtroppo certamente avverrà, visti gli orientamenti del nostro governo. Come linea generale, non dovremmo assolutamente fare altri passi che ci vincolino ancor di più a questa Europa, dalla quale dovremmo invece cercare di acquisire tutti i possibili gradi di libertà. Chi ha pensato che l’Italia fosse incapace di governarsi, e fosse dunque opportuno vincolarci in modo da farci governare dagli altri (il famoso “vincolo esterno”), non ha capito un aspetto fondamentale: gli “altri” non ti governano facendo i tuoi interessi, ma i propri. Per chi ci sta legando sempre più a questa Europa della “democrazia quando si può” non andrà comunque male, le élites restano sempre a galla. Gli altri faranno bene a studiare prima di tutto le lingue».
* Fonte: Micromega
3 commenti:
Ma quelli di Keynesblog non erano quelli che credevano di riformare l'UE e l'Euro? A quanto pare Clericetti la pensa in maniera diversa.
E' inutile sperare in qualche forma di ammorbidimento del Fiscal Compact. Si magari ce lo congederanno pure, invece del trattato faranno la direttiva che sarà anche meno rigida. Ma è tutto calcolato. Prima minacciano fuoco e fiamme, poi siccome a Bruxelles sanno benissimo che un'applicazione rigida del FC significherebbe la fine della UE e dell'Euro, perché la gente comincerebbe a scendere in piazza coi forconi, allora fanno il poliziotto buono. Ma per la gente cosa cambia? invece di diventare povera diventerà quasi povera. Non ci sono compromessi possibili con questa UE. L'unica vera svolta per l'Italia è recedere (ex art. 50 TUE) dai Trattati ultraliberisti e mercantilisti della UE, palesemente contrari alla nostra Costituzione, che si ispira a principi sociali, socialisti e certamente keynesiani in economia. Solo con il recupero di una piena sovranità monetaria l'Italia si potrà salvare dal dominio delle banche e delle élite finanziarie e capitaliste il cui obiettivo, non va mai dimenticato, è l'impoverimento degli Stati e l'asservimento dei lavoratori (mal pagati, senza diritti o disoccupati), in modo da avere campo libero nel conquistare tutti i beni e i servizi dello Stato. Certo non sarà facile perché ci vuole una maggioranza parlamentare decisa e con gli attributi, cosa che, dal 1981 in poi (cioè dal famoso “divorzio” della Banca d’Italia dal Ministero del Tesoro), in Italia non si è mai vista. Ma quando la gente comincerà ad essere più informata le cose potrebbero cambiare rapidamente.
La mia impressione è che il disinteresse generale per Fiscal Compact e MES (ESM) stia a indicare un fatto molto banale: nessuno ci crede, nessuno crede che le sparate delle istituzioni UE siano applicabili nei fatti, tranne la Grecia che è già oltre ogni umana logica di sopportazione, un vero e proprio capro espiatorio di questa farsa, di questo fanatismo ideologico, un cancro metastasizzato dagli USA al resto dell'occidente.
Questo non significa che non ne stiamo soffrendo in questi anni, ma semplicemente che non ci rendiamo conto della direzione in cui il conformismo acefalo ci ha costretto a muoverci, golpe dopo golpe, tradimento dopo tradimento, porcata dopo porcata. E' la sindrome della rana messa nella pentola sul fornello, che pensa sì di provare disagio, ma resta convinta che sia troppo grossa, quindi impossibile, l'idea di arrivare a lessarla viva.
E poi gioca ancora sporco l'equivoco di dover cedere la propria sovranità ad un organismo sovranazionale anziché, come è di fatto, ad una tirannia globale, trasversale a tutto e tutti, anche ai blocchi geopolitici tradizionali, che se ne impippa totalmente dei destini dell'uomo e dei suoi valori.
D'altra parte ciò di cui non si ha minimamente consapevolezza è che questo spirito maligno del "mercato" è profondamente vigliacco, pronto a inchinarsi rispettosamente a qualsivoglia realtà economica che abbia gambe proprie per camminare (così come è prontissimo a divorare chi mostra paura). L'Italia ha ancora potentissime gambe per camminare, ma purtroppo ha perso la ragione.
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