«Finch:
Perché vuoi farlo?
Evey:
Perché lui aveva ragione
Finch:
Riguardo a cosa?
Evey:
Questo paese ha bisogno di qualcosa di più di un palazzo. Ha bisogno di una
speranza»
Premessa
C’è
quindi chi ci obietta, quando parliamo di sollevazione popolare, di
rivoluzione democratica, che scambiamo i nostri desideri per la realtà. Altri
ancora che proponiamo delle scorciatoie. Non nascondiamo che siamo dei
rivoluzionari, che speriamo di non dover morire in un Paese tanto triste. Ma
siamo dei sognatori coi i piedi ben piantati per terra. La rivoluzione
democratica non è solo necessaria, è la porta stretta attraverso la quale il
popolo dovrà passare per essere finalmente libero e sovrano.
Dalla democrazia
all’oligarchia
Esiste
una letteratura oramai sterminata sulle trasformazioni sociali avvenute nell’Occidente imperialista negli
ultimi decenni, risultate dal combinato disposto della iper-finanziarizzazione
dispiegata (capitalismo-casinò) e della restaurazione del capitalismo nei paesi
cosiddetti “socialisti”. In più occasioni abbiamo sottolineato che non si è
trattato solo di aggiustamenti cosmetici, ma di mutamenti sostanziali. Uno di
questi, e qui convergono gli analisti delle scuole di pensiero le più
disparate, è che siamo oramai incapsulati in un contesto “post-democratico”. E’
cambiata l’architettura sistemica, e con essa sono mutati i meccanismi di
comando grazie ai quali i dominanti esercitano la loro supremazia.
Possiamo
essere più precisi e chiamare le cose col loro nome: i sistemi democratici si
sono progressivamente trasformati in regimi oligarchici.
Ma
cos’è un regime oligarchico? La storia ne ha conosciuti di vari tipi, a seconda
delle epoche e della natura delle formazioni sociali (ad esempio schiavistiche
e feudali) ma, in estrema sintesi, possiamo dirla così: abbiamo un regime
oligarchico quando il potere politico viene sequestrato da una minuscola aristocrazia
di milionari, che lo esercita nell’interesse proprio, ai danni della
maggioranza. E quando diciamo maggioranza non intendiamo soltanto le
tradizionale classi subalterne, ma anche la stessa borghesia-di-massa, cresciuta col “trentennio dorato” e che con l’avvento della
iper-finanziarizzazione prima e della crisi sistemica poi, sono state
emarginate, private di ogni leva di potere, defraudate, diseredate.
Non
è questa la sede per ricapitolare i complessi e tortuosi passaggi coi quali è
maturata questa metamorfosi dalla democrazia all’oligarchia. Basti dire che pur
in forme e misure diverse, quella verso l’oligarchia si è affermata come
tendenza inesorabile, schiacciante, dominante. Secondo alcuni, coi quali ci
troviamo d’accordo, questa tendenza (all’assoluto predominio del capitale
finanziario) non è accidentale ma connaturata alla natura stessa del
capitalismo contemporaneo, per l’esattezza alla sua fase suprema
oligopolistica. Cosa furono infatti il fascismo ed il nazismo se non le
modalità con cui, in un contesto di guerra civile europea, pur di togliere di
mezzo le forze antagoniste, i grandi monopoli usarono strumenti
extra-cosituzionali per sbarazzarsi dei regimi parlamentari stessi e della
democrazia in ogni sua forma?
Qui da noi
Nel
nostro Paese l’avvento del regime oligarchico ha corrisposto al passaggio dalla
“prima” alla “seconda” Repubblica. A dosi crescenti, dopo aver conquistato
alcune decisive piazzeforti politiche e sociali, partendo da apparentemente
“modeste” “riforme” delle leggi elettorali in senso anti-proporzionale e
bipartitico, si è passati a veri e propri scardinamenti dell’ordinamento
Costituzionale repubblicano. Siamo così precipitati da una Repubblica
parlamentare —contrassegnata dalla supremazia delle camere elettive e di cui il
governo è organo strumentale e subalterno— ad un regime inverso, nel quale il
Parlamento è subordinato all’Esecutivo. Il governo è diventato una protesi di
possenti conglomerati finanziari globali, i partiti principali sono diventati loro
comitati d’affari, ed i corpi intermedi della società civile neutralizzati e
ridotti all’impotenza. Ciò, appunto, in ottemperanza ai desiderata della casta
oligarchica la quale, ritenuti i Parlamenti elettivi e gli stati nazionali un
intralcio all’esercizio della propria supremazia, aveva la necessità di collocare
personale politico servile e acquiescente ai posti di comando e di sfasciare
gli stati stessi.
“Casta”
nel senso proprio del termine, di un ordine verticalizzato di tipo aristocratico,
di un’élite brahminica della quale si può far parte solo per cooptazione e non
per elezione, per comprovata osservanza dei precetti (liberisti), per
verificata abnegazione nel perseguire gli scopi della setta —quasi sempre
nascosti all’opinione pubblica.
Visto
che la maggioranza dei cittadini delle classi meno abbienti ha oramai smesso di
recarsi alle urne possiamo
affermare che da una sistema a suffragio universale siamo ritornati ad
un sistema censitario, per quanto camuffato. Nonostante le assemblee elettive
siano state svuotate di gran parte delle loro prerogative, diventate passacarte
e con poteri meramente consultivi, l’oligarchia è stata tuttavia caparbia nel
far sì che gli scranni parlamentari fossero occupati da propri lacchè. E’
evidente come questo sia potuto accadere: non si hanno speranze di venire
eletti senza ingenti risorse finanziare, contro o a prescindere dal possente e
capillare sistema mediatico quasi ovunque proprietà degli oligarchi medesimi.
La qual cosa ha accentuato la tendenza al distacco dei cittadini dalle nuove
istituzioni, all’apatia politica, al disincanto ed alla frustrazione sociale.
Da
noi la “casta” non sarebbe riuscita a vincere la partita ed a battere le
resistenze senza la complicità e l’appoggio diretto dei suoi soci in affari
stranieri. L’Unione europea non ha rappresentato solo un alibi o uno scudo per
la svolta oligarchica, è stata l’involucro che l’ha resa possibile. Ad ogni
passo avanti dell’Unione, in sostanziale simbiosi, corrispondeva qui da noi una
sterzata verso l’ordinamento oligarchico. La nostra “casta” oligarchica è
andata oltre. Quando con la tempesta finanziaria made in USA la crisi
dell’Unione è diventata manifesta e l’Italia è stata sull’orlo del default
(autunno 2011) essa ha accettato di porsi sotto la tutela esterna, svendendo
così gli ultimi scampoli di sovranita nazionale, cedendone gli ultimi pezzi ad
organismi oligarchici sovranazionali quali Bce, Commissione europea, FMI — la
famigerata “troika. Fenomeno che abbiamo chiamato già allora “compradorizzazione della grande
borghesia”, ovvero l’essere diventata, la grande borghesia italiana (col
pretesto del debito pubblico) cinghia di trasmissione della finanza predatoria globale,
della giugulazione ai danni della nazione.
“Populisti!”
Veniamo
al tema annunciato nel titolo.
Con
la grande recessione (che gli stessi Lorisgnori temono sia una “stagnazione
secolare”) le cose sono iniziate a cambiare. Con la crisi della struttura
economica del capitalismo iper-finanziarizzato vacilla la sua sovrastruttura,
il sistema oligarchico di dominio. Non solo nei cosiddetti paesi “periferici”
dell’Unione ma anche in quelli considerati “centrali”, la supremazia e
l’egemonia oligarchiche traballano. Pur in un contesto di conflitti sociali
decrescenti e nel campo da gioco di una democrazia truccata, come risultato
delle lacerazioni e delle sofferenze sociali e della diffusa sensazione che la
situazione è destinata a peggiorare, abbiamo assistito all’avanzata di nuovi
protagonisti politici, di diverso segno politico, che le grandi masse hanno
spinto sul proscenio a rappresentare la loro indignazione e la loro
insofferenza verso le élite
dominanti. Questo processo, già molto avanzato nei paesi dell’Unione senza euro
—dove cioè un barlume di sovranità nazionale è stato preservato— ha preso rapidamente piede nella stessa
euro-zona, cioè nei paesi ove la moneta unica rappresenta il “pilota
automatico” (Draghi docet), ovvero il potere gerarchicamente sovraordinato da
cui la sorte del resto dipende.
In
Grecia, nel paese dove la crisi è sfociata in una vera e propria catastrofe
sociale e umanitaria, un piccolo movimento della sinistra radicale è salito al
potere. In Italia, quasi dal nulla, il Movimento 5 Stelle è diventato il primo
partito. In Francia avanza inesorabile il Fronte Nazionale, in Spagna l’ascesa
di Podemos impedisce da mesi ai dominanti di formare un governo. In Portogallo
i cittadini hanno votato in massa per le sinistre radicali, col cui consenso è
stato formato un governo che dichiara di porre fine all’austerità —vedremo come
andrà a finire. Anche in Germania, crescono elettoralmente forze politiche come
AfD sorte fuori dal perimetro oligarchico. L’anatema lanciato contro tutte loro
è noto: “populisti!”. Questa scomunica, tuttavia, non sembra sortire più alcun
effetto dissuasivo.
La
domanda è: potranno queste forze, eventualmente conquistata la maggioranza
parlamentare e salite al governo, smantellare la macchina oligarchica di dominio
cacciando quindi le cricche oligarchiche dalle postazioni dalle quali
esercitano il loro potere reale e non solo? Potranno riuscirci senza spezzare le compatibilità
sistemiche, cioè limitandosi, dall’alto, in virtù della riconsegna ai
parlamenti delle loro potestà legislative? Potranno farcela senza ricorrere
alla mobilitazione attiva e consapevole dei popoli?
La
nostra risposta è no.
La rivoluzione democratica
Come
recita l’adagio: per fare la frittata occorre rompere le uova.
Non
solo i Parlamenti sono oggigiorno sotto-ordinati rispetto agli esecutivi,
questi ultimi non sono più gli organismi dove si prendono le decisioni
strategiche e che esercitano i poteri decisivi. Essi eseguono degli ordini, sono
terminali, per quanto importanti, di centrali che sfuggono ad ogni controllo
popolare. Salire al governo è un passo necessario, ma non sufficiente. Per
smantellare davvero l’ordinamento oligarchico occorre espugnare le loro
roccaforti strategiche. Quali sono queste roccaforti? Le casseforti in cui è
custodita la ricchezza delle nazioni: le banche centrali, le grandi banche, i colossi
finanziari e assicurativi; quindi i giganti strategici da cui dipende a cascata
l’economia dei diversi paesi; infine le grandi centrali mass-mediatiche di
intossicazione e manipolazione dell’opinione pubblica.
Supponiamo
ora che delle forze autenticamente democratiche salgano al governo, forze che
cioè si considerino veicoli della sovranità popolare e vogliano riprendersi la
piena sovranità nazionale, stracciando quindi i trattati europei di sudditanza
ed espugnare le roccaforti di cui sopra.
Bastano
pochi giorni, poche sedute del parlamento per prendere queste decisioni formali
e obbligare il governo ad applicarle e farle applicare. Il boicottaggio ed il
sabotaggio delle cricche oligarchiche interne, sostenuto da quelle esterne,
sarebbe immediato e implacabile. Come si pensa di potere vincere queste
resistenze che ove non fossero prontamente neutralizzate avrebbero effetti
devastanti? Ci si potrà fidare dei boiardi e dei burocrati di Stato? E dei
comandi delle forze dell’ordine e dei loro sottoposti?
No
che non ci si potrà fidare!
Occorrerà
avere alle spalle un potente movimento di massa, non esitare a chiamare il
popolo a sollevarsi a sostegno delle misure del governo. Quella che non si può
chiamare altrimenti che rivoluzione democratica: una sollevazione animata dai
settori più combattivi del popolo, in difesa non solo della volontà della
maggioranza dei cittadini ma di un governo e di un parlamento legittimati da
questa maggioranza.
Il
caso greco è la controprova fattuale di quanto sosteniamo. Il governo di Syriza
non voleva la luna, chiedeva anzi modeste riforme sociali e agli oligarchi
delle deroghe per fermare il massacro sociale. Lo spettacolo andato in onda ed
il suo epilogo tutti lo conoscono. Malgrado anche un referendum avesse detto a
Tsipras, “vai avanti!”, questi ha capitolato in modo ignominioso. E che han
fatto le élite oligarchiche per mettere in ginocchio Tsipras e mostrare chi
fosse davvero sovrano? Senza alcuna pietà, fottendosene dei risultati
elettorali e dell’esito del referendum, hanno adottato il provvedimento più
devastante che si potesse immaginare: hanno spinto la Bce a chiudere i
rubinetti della liquidità: banche chiuse, economia strangolata, una pistola
alla tempia del popolo con il colpo in canna. Come l’embargo, anzi l’assedio,
contro un paese in guerra. I dominanti non sono stati spietati per sbaglio:
hanno usato la Grecia per dare un esempio, per dimostrare fino a che punto
possono giungere pur di evitare ogni pur modesto mutamento di regime, per
avvertire e spaventare ogni altro popolo che, ove si azzardasse a superare la
linea rossa da essi tracciata, quella sarebbe la loro fine.
Chi
pensa, tanto più dopo il banco di prova della Grecia, di buttar giù il regime
oligarchico usando guanti di velluto, di sloggiare gli Dei dall’Olimpo solo per
via elettorale e parlamentare, o addirittura con il loro lasciapassare, vende
fumo, che sia in buona o malafede.
18 commenti:
Nessuno vuole sloggiare gli dei dall'Olimpo, questo è il problema.
Sovvertire l'ordine dei dominanti, a qualsiasi livello si effettui il tentativo, comporta la necessità di allearsi con chi sta sotto nella scala sociale il che è per definizione e per costruzione inaccettabile. La rivoluzione di cui parlate è egualitaria, prevede sia una condivisione del potere da parte dei vari ceti della società che, soprattutto, nuovi criteri di redistribuzione della ricchezza.
Non solo sono contrari i benestanti - nei confronti dei subalterni meno abbienti - ma lo sono anche coloro che vivono appena al di sopra del livello di sussistenza i quali concepiscono la loro identità sociale solo in funziome della percezione che esista qualcuno che sta peggio di loro (vedi la reazione popolare alla questione immigrati).
In altre parole ciò che davvero unisce la comunità umana è il contrario della solidarietà e cioè è la possibilità di stare meglio di qualcun altro accettando per questo anche una posizione di subalternità.
Condivido le vostre idee e vi seguo ma il punto di cui sopra è ciò che fino adesso è realmente accaduto al di là degli ideali o delle speranze e la realtà purtroppo è sempre ineludibile.
caro Maldoror,
quindi Hobbes aveva ragione? Homo homini lupus?
Di cui la Thatcher: "la società non esiste, esistono solo individui".
Noi pensiamo che l'essere umano è per sua natura un essere comunitario, condannato a vivere in comunità, quindi a convivere con gli altri. Ciò non vuol dire che esso è "buono" o "cattivo". Sono le circostanze sociali, la posizione sociale, gli interessi, i bisogni ed i sogni, le idee, gli obbiettivi che si pongono, che spingono gli uomini a combattersi o a cooperare.
Certo il capitalismo, per il suo stesso modus essendi (e operandi), insiste nel tenerli divisi in base alla posizione che occupano nella scala sociale. Finché c'è questo sistema sembra che abbia valore solo ascendere in questa scala, salendo sulle spalle di chi sta sotto.
Finché il capitalismo riesce a funzionare, ovvero a permettere ad un gran numero di salire la scala, sarebbe illusorio pensare che una maggioranza sia disposta a voltare le spalle all'ordine sociale esistente.
La situazione si rovescia quando il sistema s'inceppa, quando entra in crisi, e invece di far salire un gran numero, ne fa scendere un gran numero, aumentando la massa di coloro per cui vivere è un soffrire, un penare...
Siamo appena entrati in questa fase e si avvertono i primi scricchiolii sistemici.
Sono rivoluzionari quelli che con pazienza e tenacia si attivano affinché questi scricchiolii diventano crepe sempre più grosse.
Moreno Pasquinelli
"Da noi la “casta” non sarebbe riuscita a vincere la partita ed a battere le resistenze senza la complicità e l’appoggio diretto dei suoi soci in affari stranieri."
Secondo me il punto non è tanto che chi sta appena sopra concepisce la sua identità sociale nel confronto con chi sta sotto, magari ci sta pure ma non credo sia la cosa determinante.
Il punto mi sembra piuttosto che quando "La situazione si rovescia quando il sistema s'inceppa" chi ancora ha qualcosa teme di scivolare sotto perdendo il potere d'acquisto e le tutele che ancora ha.
Chi è, o pensa di essere, dentro il bunker antiatomico chiuderà le porte nel timore che l'eccessivo affollamento comprometta la funzionalità del bunker stesso. Questo fin tanto che il bunker gli apparirà sicuro.
Ricordo (ma non trovo più link) il caso di una ditta in "ristrutturazione" in cui i lavoratori stabili si opponevano alla stabilizzazione dei precari perché sarebbero stati altri concorrenti nella successiva discussione sugli esuberi.
La lotta fra persone in incipiente stato di povertà in un sistema in progressiva disgregazione.
Caro Moreno, mettiamo un momento da parte Hobbes e la Thatcher, per cortesia.
Il punto centrale del tuo discorso è questo.
"Finché il capitalismo riesce a funzionare, ovvero a permettere ad un gran numero di salire la scala, sarebbe illusorio pensare che una maggioranza sia disposta a voltare le spalle all'ordine sociale esistente.
La situazione si rovescia quando il sistema s'inceppa, quando entra in crisi"
E quindi tu stai dicendo esattamente la stessa cosa che ho detto io ossia che non solo la ricchezza ma anche soltanto il meschino benessere privato e la coercizione/persuasione esercitata dal potere sono più forti degli ideali che, a parole, tutti consideriamo il vero fine dell'esistenza dell'uomo e della società nel suo insieme.
Chi crede davvero in quegli ideali è un'anomalia, il che non vuol dire che abbia torto o che sia del tutto al di fuori della storia.
Se ci sarà questo crollo sistemico, che personalmente mi auguro ma che ritengo non proprio sicurissimo, le prospettive cambieranno per tutti ma senza di quello - e qui è la chiave del mio discorso ma evidentemente anche del tuo - la presa di coscienza politica del popolo non avverrà mai.
Hanno ragione Hobbes e la Thatcher? Non esattamente, perché le loro conclusioni pretendono di stabilire delle regole immutabili della natura umana, ma certamente la realtà storica ci dice che se esiste una natura umana purtroppo non è quella che ci auspichiamo noi. Tutt'al più possiamo sperare che ne esista una "variegata" e che noi siamo fra i pochi che credono in ciò che è giusto il che però per uno che la pensa in un certo modo, se permetti, equivale a una triste smentita di molti, forse troppi presupposti ideali e anche di prassi politica.
Chiedo scusa alla Redazione se vado completamente fuori tema. Ma segnalo che in Fiom è successo un fatto gravissimo con il licanziamento politico di Sergio Bellavita. Noi del "Sindacato è un'altra cosa"-Opposizione CGIL stiamo cercando di denunciare ovunque la notizia. Spero che anche questo ottimo blog si occuperà della questione. Vi ringrazio anticipatamente e mi scuso ancora per aver utilizzato impropriamente lo spazio dei commenti.
Cito Giovanni:
"Ricordo (ma non trovo più link) il caso di una ditta in "ristrutturazione" in cui i lavoratori stabili si opponevano alla stabilizzazione dei precari perché sarebbero stati altri concorrenti nella successiva discussione sugli esuberi."
Appunto e non c'è bisogno che trovi "un" link, è stato ovunque così dove si è presentato il caso.
Se serve qualche esempio...
E' giusto avere la fede incrollabile di Moreno ma sarebbe opportuno riconsiderare alcuni concetti che sono stati smentiti dalla storia.
Caro Maldoror,
proviamo a metterla in questo modo.
Procedo schematicamante.
(1) La storia è un alternarsi di rivoluzioni e controrivoluzioni, guerre civili e guerre nazionali. Tutte inframmezzate da brevi o lunghi periodi di pace (sociale e nazionale) in cui si accumulano le contraddizioni che conducono a nuove guerre e nuiove rivoluzioni.
... ça va sans dire.
(2) Fukuyama ha torto marcio: la storia non è affatto finita e le rivoluzioni restano (Marx docet) le locomotive della storia.
Se non siamo d'accordo su questi due punti sarebbe del tutto vano procedere oltre.
Voglio immaginare che d'accordo lo siamo e vengo al punto sulla natura dell'uomo.
I russi che nell'ottobre del 1917 erano forse diversi in natura da quelli di un anno prima? Erano forse diversi in natura quelli che fino al 19143 se ne stavano in ginocchio e poi son diventati partigiani? No che non lo erano.
E quindi?
(1) le rivoluzioni sociali non c'entrano con la natura umana, ma piuttosto con le condizioni sociali, le circostanze storiche, le contraddizioni sistemiche, la debolezza dei dominanti e la presenza di un potente movimento rivoluzionario.
SI fanno le rivoluzioni (sociali) per creare le condizioni di una trasformazione degli uomini, ciò che richiede, non solo avere i mezzi (il potere dello Stato) ma un'intera epoca storica.
(2) Poi bisogna intendersi sulla "natura" umana. Marx non a caso non parlò più di "essenza", come nella tradizione metafisica. Pur respingendo certo storicismo, la natura umana è essa stessa un processo, un oggetto cangiante, è, se vogliamo, coodeterminata da molteplici fattori. Ferme restando pulsioni biochimiche primarie, la natura umana è quella che viene plasmata dalla società, dai suoi rapporti economici e politici, dalla consuetudini e dai costumi sociali, dalle scosse che questi subiscono come risultato, appunto, di rivoluzioni sociali e politiche, oppure di mutamenti spesso molto lenti ma decisivi.
(3) Gli uomini si dividono così in svariate categorie. Quella che ci interessa, adesso, è che esistono i rivoluzionari e quelli che preferiscono il quieto vivere. Rivoluzionari che dedicano la loro vita alla rivoluzione, non fancazzisti che nulla fanno e nessun esempio offrono. Quando arriva il vento della rivoluzione, molti abbandoneranno il quieto vivere (che evidentemente già non potevano permettersi più) si getteranno nella mischia, e raggiungeranno quelli che quella rivoluzione hanno contribuito a preparare.
E' di rivoluzionari, in questo Paese, che abbiamo vitale bisogno. Il resto è fuffa.
Moreno Pasquinelli
Caro Moreno,
spero che sia come dici tu. Bisogna continuare a crederci e su questo siamo d'accordo. Probabilmente, dal mio punto di vista, occorrerebbe riconsiderare alcuni concetti ma eventualmente se ne parlerà alle prossime riunioni del P101.
Un segnale concreto potrebbe essere il risultato del referendum costituzionale.
Credo che stiamo dicendo tutti la stessa cosa. Siamo nella fase del "si salvi chi può", il problema è quanto durerà.
Ho visto il caso del sindacalista espulso. Ecco, eventi gravi come questo dovrebbero essere occasione per le varie forze popolari frammentate cominciare tutte a formare un qualche coordinamento permanente sul programma minimo di ridare forza ai lavoratori da troppo tempo immolati sull'altare del liberismo.
Non è certo una critica, ma solo un auspicio.
Scrive Moreno:
"E’ cambiata l’architettura sistemica, e con essa sono mutati i meccanismi di comando grazie ai quali i dominanti esercitano la loro supremazia... non si hanno speranze di venire eletti senza ingenti risorse finanziare, contro o a prescindere dal possente e capillare sistema mediatico quasi ovunque proprietà degli oligarchi medesimi."
Però "Non solo nei cosiddetti paesi “periferici” dell’Unione ma anche in quelli considerati “centrali”, la supremazia e l’egemonia oligarchiche traballano". Quindi "Salire al governo è un passo necessario, ma non sufficiente. Per smantellare davvero l’ordinamento oligarchico occorre espugnare le loro roccaforti strategiche....le banche centrali, le grandi banche, i colossi finanziari e assicurativi". Per raggiungere tale scopo "Occorrerà avere alle spalle un potente movimento di massa, non esitare a chiamare il popolo a sollevarsi a sostegno delle misure del governo."
In questa analisi si è persa per strada ciò che Chomsky chiama "la fabbrica del consenso", strettamente legata a ciò che Moreno sottolineava all'inizio dell'articolo, ovvero quel "capillare sistema mediatico di proprietà degli oligarchi".
Tolta questa variabile, il gioco (ben illustrato nei commenti) si riduce a un "ci credi o non ci credi"? Il che è quanto più distante ci sia da un'analisi materialista.
Sia chiaro che crederci è la conditio sine qua non possono avvenire i cambiamenti. Ma cosa porta un "movimento di massa" a diventare la sabbia invasiva e letale che blocca i meccanismi delle oligarchie, e non il sostegno pratico attraverso il quale le medesime consolidano il loro ruolo egemone? Fabbricare il consenso è esattamente ciò che viene richiesto come precondizione per potere portare avanti non lo status quo, ma i cambiamenti invasivi che sottraggono sempre più potere ai cittadini, consegnandolo nelle mani delle elites.
L'attuale quadro post-democratico ci dice chiaramente come il processo democratico sia esso stesso un'inutile orpello se non viene stemperato da una solida dialettica. Cioè da un confronto su basi paritarie. Ora se le masse ottengono "informazioni" (eufemismo) dai media, ed i media sono in mano alle oligarchie, qualcuno mi vuole spiegare dove sarebbe la democrazia dell'informazione? Chomsky ha correttamente denunciato questo stato di cose, che ci porta dritti dritti a quanto affermava Marx ben prima del famoso linguista: "la cultura dominante è la cultura della classe dominante".
Pensate forse che vent'anni di berlusconesimo (giusto per fare un esempio) non abbiano lasciato trace indelebili in termini di arroganza, supponenza, egocentrismo e tecniche di sgomitate e sgambetti? Ce la prendiamo giustamente con gli stabilizzati che fanno a pugni con i precari, ma tanti i primi che i secondi sono i gladiatori dei circenses postmoderni. Il Panem nel frattempo è stato mangiato tutto dalle elites.
Ritengo quindi prioritario inserire nell'analisi il fattore mediatico. A me, che da sempre sostengo battaglie culturali, interessa molto di più riappropriarmi dei media che delle banche. Se si rimettesse in moto la cultura del confronto, anche le banche sarebbero messe in discussione. Viceversa senza la cultura del confronto, qualsiasi riappropriazione sociale diventerebbe anticamera di un nuovo stalinismo, o fascismo.
" Ecco il programma nazionale di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario, perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole. Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti."
Questi erano i sansepolcrini, giusto per dire.
PS: evito di commentare la storia delle oligarchie e democrazie. L'antica Grecia ci ha consegnato visioni abbastanza precise. La Lega di Delo di Pericle era in realtà molto simile all'attuale BCE, e portò alla caduta di Atene e alla nascita delle oligarchie proprio a causa del fallimento della democrazia. Molte oligarchie antiche erano in realtà molto vicine alla popolazione.
Bisogna stare attenti col dire che la natura umana sia solo un processo cangiante perché se così fosse potrebbe darsi anche il caso di una nuova natura umana in cui potrebbero esistere anche esseri felici della schiavitù.
Un punto fermo deve esserci e secondo me c'è, ed è la visione di Aristotele che ci diceva che l'uomo è un animale politico, che tende/desidera vivere in comunità, è su questo che dobbiamo basarci per ripudiare la nuova natura umana proposta dalle oligarchie liberali.
Se questa natura umana aristotelica esiste allora è possibile promuovere cambiamenti che la favoriscano e questi cambiamenti essendo non contro-natura ma pro-natura dovrebbero incontrare il favore delle persone.
E che cosa dovrebbe essere una vera democrazia se non l'apotesi dell'uomo comunitario aristotelico ?
adriano ottaviani
CARO TONGUESSY,
mi citi, ma espungi dalla stessa frase (a proposito della centralità dei mezzi di informazione) la fine della frase.
te la riporto per intero:
«Per smantellare davvero l’ordinamento oligarchico occorre espugnare le loro roccaforti strategiche. Quali sono queste roccaforti? Le casseforti in cui è custodita la ricchezza delle nazioni: le banche centrali, le grandi banche, i colossi finanziari e assicurativi; quindi i giganti strategici da cui dipende a cascata l’economia dei diversi paesi; INFINE LE GRANDI CENTRALI MASS-MEDIATICHE di intossicazione e manipolazione dell’opinione pubblica».
Col che, tuttavia, siamo al punto dolens: come si pensa di educare politicamente le grandi masse, di dargli coscienza, senza disporre dei mezzi di comunicazione di massa. Essi sono tra le roccaforti che vanno ESPUGNATE.
O si pensa che prima di ESPUGNARE dette roccaforti dovremo avere GIA' PRIMA educato queste grandi masse?
La qual cosa mi riporta alla mente il prete che ai primi anni '70 ci obbiettava, a noi giovani rivoluzionari, che prima di fare la rivoluzione occorreva trasformare gli uomin — intendeva farne dei bravi cristiani, delle persone buone e consapevoli.
Noi gli si rispondeva che sono le rivoluzioni a cambiare gli uomini, non viceversa.
Una risposta forse un po' schematica, ma cento volte più vera di chi vede il mondo alla rovescia.
Marx diceva sì che l'ideologia dominante è sempre quella della classe dominante, ma diceva anche che solo con le rivoluzioni, cioè con mutazioni radicali della formazione sociale, allora cambiano d'appresso la loro coscienza, il loro senso comune.
Moreno Pasquinelli
* Per quanto concerne la "natura umana, ho già premesso che l'uomo è un essere anzitutto comunitario, condannato alla cooperazione, alla socialità.
Cito.
"Noi gli si rispondeva che sono le rivoluzioni a cambiare gli uomini, non viceversa."
Sì, ma il problema di coalizzare un consenso resta e su quello ci troviamo in difficoltà.
Ricito.
"Per quanto concerne la "natura umana, ho già premesso che l'uomo è un essere anzitutto comunitario, condannato alla cooperazione, alla socialità"
Questo lo diceva anche Preve criticando Foucault. E' vero ma non dice nulla su che tipo di cooperazione si possa o voglia mettere in atto. "Animale sociale" può tranquillamente implicare un sistema di dominio e di sfruttamento perenne.
Non è la natura umana sulla quale possiamo contare ma solo sulla nostra lotta. Non si vince se si ha ragione ma solo se si vince.
Caro Moreno,
purtroppo le ultime rivoluzioni sono state fatte in ASSENZA dei mass media. Anche l'ultima grande in ordine cronologico (quella russa) fu fatta da gente essenzialmente analfabeta. Oggi non è più così, e per potere incidere sul sociale occorre (stando a Debord) essere presenti nello spettacolo postmoderno. Cioè essere DENTRO i massmedia.
Sinceramente non vedo rivoluzioni possibili in assenza di un egemonia massmediatica.
Ci troviamo d'accordo sul punto dolens, ma la domanda (che ricorda molto la questione uovo-gallina) rimane: come pensi di espugnare le roccaforti massmediatiche senza l'appoggio (democratico, se preferisci) delle masse? Pensi che le masse saranno davvero felici di vedersi sottrarre i varietà, i reality ed i quiz per sottoporsi a cure intensive di economia e politica (e arte e qualsiasi altro programma ragionevole)? Perchè la questione cui accennavo è che o vediamo le masse come irresponsabili (vale il discorso stabilizzati contro precari) e allora abbiamo già perso in partenza oppure abbiamo un qualche barlume di speranza che così teleguidate non siano. Lascio a te l'ardua decisione.
Il fatto inequivocabile è che la postmodernità è spettacolo, ed appropriarsi dello spettacolo è l'operazione più temuta dalle elites, per le ovvie conseguenze che comporta. Quindi l'eventuale rivoluzione non potrebbe mai essere democratica, ma elitista. Cioè in linea col pensiero leninista: un'avanguardia che guida i processi dell'evoluzione sociale.
Credo che su questo punto bisognerebbe fare chiarezza.
Un abbraccio
T
Maldoror scrive:
«Non si vince se si ha ragione ma solo se si vince».
La più classica delle tautologie, come minimo un pleonasmo.
La domanda è: perché vince chi vince?
Vince nel campo sociale, tanto più in un larvato Stato d'eccezione, chi ha più forza, chi possiede più potenza politica.
E da che dipendono forza e potenza politica, tanto più se parliamo di movimenti che esprimono le classi sociali subalterne, sfruttate o anche solo oppresse?
Dal ruolo attivo ed egemonico di minoranze agguerrite che fungono da forza motrice della rivoluzione democratica ,
quindi dalla loro capacità di mobilitare masse più ampie, infine dalla capacità di neutralizzare il tentativo del nemico di costituire a sua volta un blocco reazionario di massa.
Che queste minoranze debbano essere non solo agguerrite e determinate, ma ben organizzate, ciò per me è ovvio.
PER QUESTO, E MI RIPETO, MERITANO DI ESSERE DEFINITI RIVOLUZIONARI COLORO CHE SI ATTREZZANO PER TEMPO ALLA BISOGNA.
Moreno Pasquinelli
Tonguessy scrive:
«Quindi l'eventuale rivoluzione non potrebbe mai essere democratica, ma elitista. Cioè in linea col pensiero leninista: un'avanguardia che guida i processi dell'evoluzione sociale».
Amico mio, mi pare che tu veda una antitesi che invece non c'è.
Ogni rivoluzione è stata e sarà guidata e preparata da una élite.
Essa merita di essere chiamata democratica non solo dal momento che avviene a nome e per conto della maggioranza contro minoranze oligarchiche, ma se, proprio come fecero i bolscevichi, fomenta, stimola e organizza la partecipazione attiva ed il protagonismo dei più ampi strati popolari.
con stima
Moreno Pasquinelli
Ps
Mi pare che il discorso sul ruolo che hanno oggi i mass media, sia fuorviante oltre che paralizzante. La classe dominante esercita la sua egemonia manipolando le coscienze. Questo vale sempre ed avviene con le modalità ed i mezzi consentiti dal tempo. fai l'esempio della Russia prerivoluzionaria. Ebbene, la campagna sciovinista e patriottica che venne orchestrata dai diversi regimi, zarista compreso, fu poderosa, ossessiva, devastante —così ci spieghiamo la capitolazione delle socialdemocrazia, e le defezioni in massa che colpirono lo stesso partito di Lenin così come tutte le sinistre internazionaliste e pacifiste, la cui influenza venne ridotta allo zero.
Che poi allora i russi fossero "analfabeti", quindi meno imbottiti di ideologia dei sudditi odierni, lasciami dire, è una sciocchezza.
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