[ 6 aprile ]
«Il no – ha dichiarato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker – aprirebbe la porta a una grave crisi continentale».
Un antipasto del referendum su Brexit, in programma a giugno, con i sostenitori dell’uscita di Londra dall’Unione europea che riceverebbero dal voto olandese una spinta non trascurabile.
Non sarà un referendum della portata di quello del 2005, con cui gli olandesi bocciarono la nuova Costituzione europea. Anche quello di oggi sull’accordo di associazione Ue-Ucraina rischia però di dare una spallata all’Europa.
Si tratta di una consultazione non vincolante in cui si chiede di approvare o respingere l’intesa, entrata in vigore in via provvisoria il 1° gennaio dopo il via libera dell’Europarlamento e del Parlamento ucraino. L’accordo - che nel 2014 rappresentò il casus belli della rivolta ucraina contro l’allora presidente Yanukovich e diede inizio alla crisi con Mosca - prevede innanzi tutto la creazione di un’area di libero scambio tra Unione europea e Ucraina, in seconda battuta un rafforzamento dei legami politici (ma non, almeno a breve termine, l’ingresso nell’Unione europea). Nella percezione degli elettori è diventato però un referendum per aprire le porte della comunità europea a Kiev, come dimostra un sondaggio Ipsos reso noto ieri: il 48% degli interpellati ritiene che la consultazione (e l’eventuale vittoria del “sì”) sia l’anticamera dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue; solo il 17% pensa che l’accordo sia prima di tutto commerciale.
Da qui a trasformare poi il referendum in voto su un’Europa che impone ai cittadini le sue decisioni (dall’allargamento alle politiche migratorie), senza tener conto della loro opinione, il passo è breve, tanto più se si tiene conto che l’euroscetticismo in Olanda è un sentimento crescente e ha il suo portabandiera in Geert Wilders, di nuovo dato in testa nei sondaggi. Non a caso il controverso leader del Partito della libertà ha dichiarato che «questo referendum può forse riguardare l’Ucraina ma è anche un voto per dire se vogliamo più o meno Europa».
Alla consultazione si è arrivati per effetto di una legge approvata l’anno scorso, che obbliga a indire referendum consultivi su misure legislative o trattati già ratificati dal Parlamento olandese quando a chiederlo sono almeno 300mila cittadini. In questo caso le firme raccolte sono state circa 450mila. Per essere valido il referendum richiede un’affluenza minima del 30% degli aventi diritto, un quorum che – secondo i sondaggi – dovrebbe essere superato appena; se così sarà, il “no” all’intesa è dato in vantaggio.
Che succederebbe a quel punto? Per il governo Rutte sarebbe un brutto colpo, non solo a livello di immagine considerando che l’Olanda è presidente di turno della Ue. Sul piano pratico, l’esecutivo potrebbe approvare una nuova legge per annullare la ratifica dell’accordo, ma non è obbligato a farlo; potrebbe però decidere di tenere conto della volontà degli elettori per ragioni di calcolo, a meno di un anno dalle elezioni politiche e incalzato appunto dagli euroscettici. Anche se l’Olanda facesse dietrofront, peraltro, non sarebbe semplice rivedere un accordo già approvato da tutti gli Stati membri.
Il “no” avrebbe però ricadute esterne: non solo sulle posizioni di Ucraina e Russia, che uscirebbero rispettivamente indebolite e rafforzate, ma anche sulla sempre più traballante architettura europea. «Il no – ha dichiarato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker – aprirebbe la porta a una grave crisi continentale». Un antipasto del referendum su Brexit, in programma a giugno, con i sostenitori dell’uscita di Londra dall’Unione europea che riceverebbero dal voto olandese una spinta non trascurabile.
Non sarà un referendum della portata di quello del 2005, con cui gli olandesi bocciarono la nuova Costituzione europea. Anche quello di oggi sull’accordo di associazione Ue-Ucraina rischia però di dare una spallata all’Europa.
Si tratta di una consultazione non vincolante in cui si chiede di approvare o respingere l’intesa, entrata in vigore in via provvisoria il 1° gennaio dopo il via libera dell’Europarlamento e del Parlamento ucraino. L’accordo - che nel 2014 rappresentò il casus belli della rivolta ucraina contro l’allora presidente Yanukovich e diede inizio alla crisi con Mosca - prevede innanzi tutto la creazione di un’area di libero scambio tra Unione europea e Ucraina, in seconda battuta un rafforzamento dei legami politici (ma non, almeno a breve termine, l’ingresso nell’Unione europea). Nella percezione degli elettori è diventato però un referendum per aprire le porte della comunità europea a Kiev, come dimostra un sondaggio Ipsos reso noto ieri: il 48% degli interpellati ritiene che la consultazione (e l’eventuale vittoria del “sì”) sia l’anticamera dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue; solo il 17% pensa che l’accordo sia prima di tutto commerciale.
Da qui a trasformare poi il referendum in voto su un’Europa che impone ai cittadini le sue decisioni (dall’allargamento alle politiche migratorie), senza tener conto della loro opinione, il passo è breve, tanto più se si tiene conto che l’euroscetticismo in Olanda è un sentimento crescente e ha il suo portabandiera in Geert Wilders, di nuovo dato in testa nei sondaggi. Non a caso il controverso leader del Partito della libertà ha dichiarato che «questo referendum può forse riguardare l’Ucraina ma è anche un voto per dire se vogliamo più o meno Europa».
Alla consultazione si è arrivati per effetto di una legge approvata l’anno scorso, che obbliga a indire referendum consultivi su misure legislative o trattati già ratificati dal Parlamento olandese quando a chiederlo sono almeno 300mila cittadini. In questo caso le firme raccolte sono state circa 450mila. Per essere valido il referendum richiede un’affluenza minima del 30% degli aventi diritto, un quorum che – secondo i sondaggi – dovrebbe essere superato appena; se così sarà, il “no” all’intesa è dato in vantaggio.
Che succederebbe a quel punto? Per il governo Rutte sarebbe un brutto colpo, non solo a livello di immagine considerando che l’Olanda è presidente di turno della Ue. Sul piano pratico, l’esecutivo potrebbe approvare una nuova legge per annullare la ratifica dell’accordo, ma non è obbligato a farlo; potrebbe però decidere di tenere conto della volontà degli elettori per ragioni di calcolo, a meno di un anno dalle elezioni politiche e incalzato appunto dagli euroscettici. Anche se l’Olanda facesse dietrofront, peraltro, non sarebbe semplice rivedere un accordo già approvato da tutti gli Stati membri.
Il “no” avrebbe però ricadute esterne: non solo sulle posizioni di Ucraina e Russia, che uscirebbero rispettivamente indebolite e rafforzate, ma anche sulla sempre più traballante architettura europea. «Il no – ha dichiarato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker – aprirebbe la porta a una grave crisi continentale». Un antipasto del referendum su Brexit, in programma a giugno, con i sostenitori dell’uscita di Londra dall’Unione europea che riceverebbero dal voto olandese una spinta non trascurabile.
* Fonte: Il Sole 24 Ore
1 commento:
Finalmente una buona notizia.
E La Stampa scrive che sono "prove di brexit".
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