[ 2 marzo ]
1. Ecchevelodicoaffa??
La Repubblica ci delizia con l'immancabile storia per cui, secondo imprecisati (e collettivamente parlanti) "economisti", gli immigrati non sono il problema ma la soluzione visto che "non si fanno più bambini" e quindi abbiamo bisogno di 42 milioni di "nuovi europei" entro il 2020 e, ancor più, di altri 250 milioni entro il 2060.
2. A proposito di crisi demografica, cioè del "perchè", prima gli italiani sono indotti a non fare figli e poi ciò gli viene imputato come colpa giustificatrice dell'obbligo (altamente "etico"?) di accettare l'immigrazione, ci pare giusto, preliminarmente, rammentare che tutto ciò:
"...presuppone l'avvenuto consolidamento del sistema di "costituzione materiale" neo-liberista globalizzato, che sancisca, (ordoliberisticamente in UEM):
a) la "durezza del vivere", (del cittadino, da privare delle sue parassitarie "sicurezze") come nuovo principio eticamente sano, da imporre extra e contra Constitutionem ai propri cittadini; non a caso tale durezza è implicitamente esaltata, come grund norm del nuovo "ordo", dalla corrente culturale €uropeista che discende da Ventotene.
Quindi smantellamento progressivo, e intensificabile, dello Stato sociale, mediante tetti al deficit e politiche monetarie deflazioniste, e, inevitabilmente, svuotamento del diritto al lavoro e all'abitazione, nonchè alla piena assistenza sanitaria pubblica, sanciti dalla Costituzione: artt.1, 4 32, e 47 Cost., elementi che non possono non essere alla base di una ben prevedibile crisi demografica,determinata dall'obiettivo scoraggiamento della natalità (che, infatti, inizia a manifestarsi proprio con l'affermarsi del vincolo esterno, all'inizio degli anni '80);
DA NOTARE COME L'INCREMENTO "RELATIVO" DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE, cioè NON DEI NATI DI CITTADINANZA ORIGINARIA ITALIANA, SI COLLOCHI IN PIENO IN TEMPI DI EURO, CIOE' DI VINCOLO ESTERNO €UROPEO INTENSIFICATO, E QUINDI DI ACCELERAZIONE DELLA DE-SOVRANIZZAZIONE DEMOCRATICA ITALIANA.
b) il senso di colpa per la non accettazione di quel grado di "durezza del vivere", mediante la comparazione ("tu sei un privilegiato, pensa a chi sta peggio di te") dello status di cittadino con la condizione deimigranti (cittadino, naturalmente, anche reso colpevole dell'invecchiamento e della crisi di denatalità, sulle cui cause ci si guarda bene dal fare la connessione con la spinta ideologica sovranazionale alla "migrazione di ricambio")".
3. Ma per La Repubblica, siamo di fronte al più classico dei TINA: cioè, ovviamente, accettare un indiscriminato reinsediamento da altri paesi di gente disperata, a vario titolo, e quindi naturalmente disposta a lavorare a qualsiasi livello retributivo, è l'UNICA soluzione senza alternative.
Altrimenti, dobbiamo dire addio al "generoso sistema pensionistico" europeo, questo gigantesco apparato parassitario, di gente, che, scandalosamente, non serve altro che ad "aspettare ogni mese...l'assegno dell'INPS".
Perciò: "O si tagliano le pensioni, o si aumentano i contributi in busta paga o si trova il modo di aumentare il numero di persone che pagano i contributi."
L'impressione è che tutto questo battage, alla fine, miri proprio al definitivo smantellamento del sistema pubblico pensionistico, divenuto un intollerabile parassitismo senza meriti, anzi decisamente "immorale". Che diamine!
E infatti, l'intero ragionamento si aggira a cercare di oggettivare con pseudo-dati "espertologicizzati" questa conclusione.
4. E insomma, gli immigrati "non tolgono posti agli italiani" (o a qualsiasi altro €uropeo).
Viene inevitabilmente ripetuta la solita storia che gli immigrati prevalentemente svolgono i lavori che gli italiani tendono ad abbandonare (peraltro, proprio perchè la presenza degli immigrati attesta le retribuzioni a livelli tali che gli italiani non sarebbero in grado di mantenersi a livelli accettabili se non peggiorando notevolmente il proprio tenore di vita...); insomma, appunto, italiani choosy e per di più ostinatamente dediti a non fare figli.
A riprova incontestabile, ci viene dato in pasto, da Repubblica, l'inevitabile studio OCSE per cui il contributo in tasse e contributi versati dagli immigrati è superiore a quanto ricevono in prestazioni sociale e spesa pubblica.
5. Ma sarà poi vero?
Parliamo degli immigrati che, pagando tasse e contributi, sono quindi già insediati regolarmente in Italia: questi, secondo i dati 2014 combinati con quelli precedenti, risulterebbero in circa 2,5 milioni di lavoratori (attenzione: non di "residenti", come vedremo), cioè poco più del 10% degli occupati totali.
L'articolo in commento ci racconta trionfalmente che questo insieme di lavoratori "regolari" (altrimenti non pagherebbero tasse e contributi...), versa circa 6,8 miliardi di imposte. Una "fondazione Leone Moressa" sostiene che tra tasse e contributi gli immigrati danno allo Stato 4 miliardi più di quanto ricevono (!)
6. Facciamo una serie di verifiche, (sempre avvertendo che, se si tenesse conto degli immigrati irregolari coinvolti nel lavoro in nero, i risultati cambierebbero in peggio): il gettito medio pro-capite, a titolo di imposta sul reddito, dei lavoratori - beninteso regolari- immigrati sarebbe dunque pari a 2720 euro (6,8 miliardi/2,5 milioni di lavoratori-contribuenti).
La spesa pubblica media pro-capite italiana (ce lo dice l'Eurostat, non la stampa italiana ordoliberista unificata), pur essendo tra le più basse di Europa (al contrario della tassazione) è, invece, di euro 13.479.
Anche se aggiungessimo i contributi versati da tali lavoratori, non ci saremmo: mancherebbero all'appello molti euro pro-capite. Di certo non è evidente come possano gli immigrati, rispetto al bilancio statale italiano, essere contribuenti netti...
7. Il ragionamento, che fa sogghignare in trionfo gli espertoni ital-mediatici, è chequesti lavoratori in minima parte percepiscono una pensione; il che è ovvio, dato che sono ancora lontani, in gran parte, dall'aver maturato i requisiti di età e di contribuzione per percepirla.
Questo elemento del tutto contingente, fa dimenticare che, in qualche modo, se gli immigrati non torneranno a casa loro, saranno anch'essi futuri pensionati: se rimarrano in tale condizione in Italia, graveranno sulla spesa pensionistica in base a un profilo retributivo e contributivo molto basso, come attesta il gettito medio e la tipologia di lavoro che, (fieramente), viene ad essi attribuito(come merito della...disperazione, laddove è solo la costrizione che li fa "scalzare" gli italiani, che avrebbero l'assurda pretesa di paghe minimamente dignitose per quegli stessi lavori).
8. Ma i pensionati immigrati, sarebbero (divenuti) ovviamente (e badate parliamo sempre di quelli regolari) degli "anziani", nella gran parte, obiettivamente poveri: ergo, dovrebbero necessariamente essere destinatari in pieno della spesa pubblica sanitaria, di assistenza agli anziani, di soccorso nell'abitazione per la fasce di popolazione più povere.
Quindi se già oggi, non essendo - non potendo essere-, destinatari di pensioni pubbliche, la loro contribuzione "regolare" per imposte e contributi è largamente inferiore alla spesa pubblica media, in futuro, col mero passare del tempo, la situazione è destinata ad aggravarsi e di molto.
9. Ed infatti entrano in gioco due fattori:
a) se, come sarebbe per loro stessi ben più ragionevole (potendo), tornassero nei paesi di provenienza per godersi la magra pensione, questi trasferimenti di spesa pubblica diverrebbero trasferimenti di reddito all'estero(sottraendosi al PIL e alla base imponibile italiana);
b) la spesa pubblica pro-capite è calcolata su tutta la popolazione residente e non solo sui lavoratori attivi (cioè tralasciamo il problema della forte disoccupazione che, negli ultimi anni, ha inevitabilmente colpito pure gli immigrati...che, anche se meno, hanno perso il lavoro).
Ma i residenti "non italiani" sono 5 milioni e tutti, in forza di tale residenza, hanno diritto alle prestazioni sanitarie ma non solo: e sono anche utenti dei vari servizi pubblici, a pagamento o meno che siano (pagamento che, quando dovuto, di fatto, anche un "regolare", dati i livelli di reddito, potebbe non essere in grado materialmente di effettuare).
Parliamo di pubblici servizi e pubbliche funzioni quali trasporti (che dovrebbero essere pagati), viabilità e sua manutenzione, illuminazione, pubblica, pubblica istruzione e edilizia scolastica e "ricreativa" in generale, servizi e funzioni generali di tipo pubblicistico quali l'attività di polizia e ordine pubblico, quella giudiziaria, quella, persino, e non va purtroppo sottovalutato, di mantenimento del sistema carcerario.
Persino la spesa per la difesa, che la si può detestare quanto si vuole ma è una utilità pubblica generale i cui costi si spalmano indifferenziatamente su tutti i residenti (a meno che non siano al servizio di potenze straniere ostili all'Italia e lavorino contro la tutela della indipendenza e sovranità italiane...).
10. Dunque, la spesa pubblica media pro-capite per gli immigrati, tutti e 5 milioni, lavoratori o meno, e in futuro, divenendo anziani, destinatari di basse pensioni contributive (su basi retributive evidentemente ai livelli più bassi), ovvero, comunque, di pensioni sociali al minimo (comunque, date le inevitabili ricadute degli evidenziati aggregati di spesa), può obiettivamente essere ascritta, interamente e a pieno titolo, a ciascuno dei residenti (sempre "regolari") di cittadinanza non italiana (se non altro, come prevede la Costituzione democratica, madri e bambini, anche se non occupati e non italiani, ma residenti, saranno certamente coinvolti nella dovuta assistenza sanitaria in modo consono a tali condizioni "sensibili", come pure nell'istruzione scolastica).
Quindi, una decina di miliardi tra versamenti di imposte sul reddito e contributi, non potrebbero mai pareggiare il conto con la spesa pubblica procapite in media loro ascrivibile a pieno titolo: nel senso che la "media" potrebbe essere un criterio di calcolo per difetto date le condizioni di disagio sociale che determina proprio la condizione di lavoro, e di reddito, in cui sono per lo più relegati.
E, ripetiamo, la mancata attuale percezione di pensioni è solo una condizione transitoria rispetto ad una traiettoria che, agli attuali trend di programmata disattivazione della spesa sociale, potrebbe in un futuro non lontanorivelarsi socialmente destabilizzante e, comunque, socialmente drammatica.
11. Il calcolo è presto fatto: 10 milardi di "contribuzione", forse elevabili a qualcosa di più, - calcolando il pagamento di IVA e altre imposte indirette, in funzione di consumi che, peraltro, non possono essere molto elevati, dati i redditi, e ignorando il problema dell'evasione dell'IVA e di altre imposte in certe condizioni di semi-miseria prevalente-, si contrappongono a 67,395 miliardi di spesa pubblica corrispondenti (5 milioni x €13.479), in base ad un prudente apprezzamento, alla condizione di "residente".
E sempre senza calcolare le "rimesse" che gli immigranti fanno nel paese di origine, sottraendo spesa (privata) effettuata in Italia in base al (magro) reddito disponibile, e quindi sottraendo spesa (privata) e base imponibile, e quindi copertura fiscale, per la stessa spesa pubblica di cui pure hanno fruito nei modi inevitabili che si sono visti.
E poi abbiamo gli studi OCSE che si raccontano il contrario.
Da non crederci! Appunto...
* Fonte: Orizzonte 48
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