[ 22 marzo ]
Tutti sappiamo quanto la situazione del nostro paese sia grave.
La società è completamente sfilacciata e i partiti hanno perso credibilità, la disoccupazione giovanile è stabilmente al 45%, negli anni della crisi abbiamo perso tra 1/5 e 1/4 della nostra produzione industriale.
Oltre a questo assistiamo a quotidiani attacchi alla nostra democrazia e ai diritti dei ceti economicamente più deboli: privatizzazione dei servizi, taglio dei fondi a sanità e istruzione, una riforma costituzionale di segno bonapartista imposta da un governo eletto con una legge elettorale incostituzionale.
Avvenimenti simili stanno accadendo in tutti i paesi periferici dell'unione europea; le democrazie si stanno svuotando e stanno diventando simulacri, la crisi continua a peggiorare perchè le cause di fondo risiedono nella struttura stessa dell'UE, negli interessi oligarchici che la muovono.
Questa Unione Europea ordoliberista, del tutto integrata nel sistema della iper-finanziarizzazione parassitaria, è il problema.
Tutti noi, durante l'anno appena passato, abbiamo sperato che il nuovo Governo Greco resistesse ed avviasse un cambiamento di rotta, ma è diventato rapidamente chiaro che questa Unione Europea non può e non vuole cambiare e che la reale alternativa sul piatto non era tra quali riforme scegliere, ma tra abdicare e adeguarsi o resistere e quindi uscirne.
Purtroppo è mancata la volontà di resistere e ciò cui abbiamo assistito è stata una drammatica capitolazione.
La crisi di Cipro nel 2013 e ancor di più il ricatto alla Grecia del 2015, agli occhi dei popoli europei e di chiunque abbia occhi per vedere, son state il definitivo fallimento del "piano A" cioè del progetto di riforma e democratizzazione di questa Unione Europa.
Questo autentico trauma, che ha colpito anzitutto la sinistre europeiste, ha dato avvio di una tardiva ma profonda riflessione sulla necessità di un cosiddetto "piano B", di un’alternativa: se riformare è impossibile e non si vuole arrendersi all'esistente, occorrerà capire come uscirne.
Per essere però credibili, come sta ad esempio sforzandosi di essere Oskar Lafontaine, non si può girare intorno ai problemi e bisogna dire apertamente che non si può avere euro senza austerità, e non si può avere democrazia dentro questa Unione Europea.
Per questo motivo non è logico sostenere, come affermano Varoufakis e Diem25 che :
Non esistono prigioni dalle quali sia più difficile fuggire che le proprie stesse gabbie mentali.
Le sole sbarre più tenaci dell'acciaio sono quelle dei propri tabu.
Questo acritico ed utopistico europeismo, disposto a subordinare la democrazia reale ad un ideale tanto astratto quanto irrealizzabile, che induce oggi persone a credere che il "piano B" possa essere semplicemente la riproposizione di un già fallito "piano A" con nome cambiato, rischia di condurci verso una nuova catastrofica sconfitta storica.
L'euro non è sostenibile, l'UE non può essere democratizzata.
E’ sotto gli occhi di tutti che il Titanic eurista —costruito su progetto federalista vonhayekyano, liberoscambista e monetarista— sta affondando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Occorre, prima che sia troppo tardi, calare le scialuppe di salvataggio. Tragico sarebbe l’errore di restare a bordo. Così si consegnerebbero i ceti popolari alle destre sociali, xenofobe e scioviniste —come già accadde in Germania quando la socialdemocrazia non combatté le politiche di austerità di Brüning e von Papen e il risultato fu l'elezione di Hitler.
Come si sventa questa minaccia?
Spiegando che il bene comune viene prima del profitto; che il diritto al lavoro ha la priorità sugli interessi del capitale; che la democrazia ha la precedenza sulla “governabilità”; che sovranità nazionale non è nazionalismo; che adottare un protezionismo solidale non vuol dire guerra tra stati; che porre limiti alla circolazione di capitali e merci non significa autarchia; che l’emissione monetaria dev’essere monopolio pubblico; che nazionalizzare banche a aziende strategiche non equivale a inefficienza.
Chi abbia davvero a cuore gli interessi ed i diritti del popolo lavoratore, delle giovani generazioni condannate alla precarietà, è questi nodi che deve sciogliere.
Il 30 gennaio scorso davamo conto, esprimendo il nostro dissenso, della nuova impresa politica di Yanis Varoufakis, il lancio di DieM2025 ovvero il “Movimento Democrazia in Europa 2025”.
Dopo la presentazione avvenuta a Berlino il 9 febbraio, Varaoufakis ha iniziato un tour nelle diverse capitali europee. Domani sarà a Roma.
Qui sotto il volantino che P101 distribuirà ai partecipanti alla presentazione di Diem2025.
Dopo la presentazione avvenuta a Berlino il 9 febbraio, Varaoufakis ha iniziato un tour nelle diverse capitali europee. Domani sarà a Roma.
Qui sotto il volantino che P101 distribuirà ai partecipanti alla presentazione di Diem2025.
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Tutti sappiamo quanto la situazione del nostro paese sia grave.
La società è completamente sfilacciata e i partiti hanno perso credibilità, la disoccupazione giovanile è stabilmente al 45%, negli anni della crisi abbiamo perso tra 1/5 e 1/4 della nostra produzione industriale.
Oltre a questo assistiamo a quotidiani attacchi alla nostra democrazia e ai diritti dei ceti economicamente più deboli: privatizzazione dei servizi, taglio dei fondi a sanità e istruzione, una riforma costituzionale di segno bonapartista imposta da un governo eletto con una legge elettorale incostituzionale.
Avvenimenti simili stanno accadendo in tutti i paesi periferici dell'unione europea; le democrazie si stanno svuotando e stanno diventando simulacri, la crisi continua a peggiorare perchè le cause di fondo risiedono nella struttura stessa dell'UE, negli interessi oligarchici che la muovono.
Questa Unione Europea ordoliberista, del tutto integrata nel sistema della iper-finanziarizzazione parassitaria, è il problema.
Tutti noi, durante l'anno appena passato, abbiamo sperato che il nuovo Governo Greco resistesse ed avviasse un cambiamento di rotta, ma è diventato rapidamente chiaro che questa Unione Europea non può e non vuole cambiare e che la reale alternativa sul piatto non era tra quali riforme scegliere, ma tra abdicare e adeguarsi o resistere e quindi uscirne.
Purtroppo è mancata la volontà di resistere e ciò cui abbiamo assistito è stata una drammatica capitolazione.
La crisi di Cipro nel 2013 e ancor di più il ricatto alla Grecia del 2015, agli occhi dei popoli europei e di chiunque abbia occhi per vedere, son state il definitivo fallimento del "piano A" cioè del progetto di riforma e democratizzazione di questa Unione Europa.
Questo autentico trauma, che ha colpito anzitutto la sinistre europeiste, ha dato avvio di una tardiva ma profonda riflessione sulla necessità di un cosiddetto "piano B", di un’alternativa: se riformare è impossibile e non si vuole arrendersi all'esistente, occorrerà capire come uscirne.
Per essere però credibili, come sta ad esempio sforzandosi di essere Oskar Lafontaine, non si può girare intorno ai problemi e bisogna dire apertamente che non si può avere euro senza austerità, e non si può avere democrazia dentro questa Unione Europea.
Per questo motivo non è logico sostenere, come affermano Varoufakis e Diem25 che :
«Troppo spesso siamo posti di fronte a una falsa scelta: abbandonare il progetto europeo e tornare a rifugiarci nei confini dello stato-nazione, oppure accettare uno status quo fallimentare. Rifiutiamo questa scelta perché sappiamo che un’alternativa esiste, ed è per questo che lavoriamo per un’Europa più giusta, democratica, e uguale».Questa affermazione equivale a una dichiarazione di assoluta impotenza.
Non esistono prigioni dalle quali sia più difficile fuggire che le proprie stesse gabbie mentali.
Le sole sbarre più tenaci dell'acciaio sono quelle dei propri tabu.
Questo acritico ed utopistico europeismo, disposto a subordinare la democrazia reale ad un ideale tanto astratto quanto irrealizzabile, che induce oggi persone a credere che il "piano B" possa essere semplicemente la riproposizione di un già fallito "piano A" con nome cambiato, rischia di condurci verso una nuova catastrofica sconfitta storica.
L'euro non è sostenibile, l'UE non può essere democratizzata.
E’ sotto gli occhi di tutti che il Titanic eurista —costruito su progetto federalista vonhayekyano, liberoscambista e monetarista— sta affondando sotto il peso delle sue stesse contraddizioni. Occorre, prima che sia troppo tardi, calare le scialuppe di salvataggio. Tragico sarebbe l’errore di restare a bordo. Così si consegnerebbero i ceti popolari alle destre sociali, xenofobe e scioviniste —come già accadde in Germania quando la socialdemocrazia non combatté le politiche di austerità di Brüning e von Papen e il risultato fu l'elezione di Hitler.
Come si sventa questa minaccia?
Spiegando che il bene comune viene prima del profitto; che il diritto al lavoro ha la priorità sugli interessi del capitale; che la democrazia ha la precedenza sulla “governabilità”; che sovranità nazionale non è nazionalismo; che adottare un protezionismo solidale non vuol dire guerra tra stati; che porre limiti alla circolazione di capitali e merci non significa autarchia; che l’emissione monetaria dev’essere monopolio pubblico; che nazionalizzare banche a aziende strategiche non equivale a inefficienza.
Chi abbia davvero a cuore gli interessi ed i diritti del popolo lavoratore, delle giovani generazioni condannate alla precarietà, è questi nodi che deve sciogliere.
P101. Movimento di Liberazione Popolare
1 commento:
Credo che possiamo senz'altro convenire che, avendo letto quel che pensa(?), Varoufakis o è un caso clinico o semplicemente un Gatekeeper.
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