17 aprile. L'Italia non è ancora una repubblica presidenziale, ma la costituzione materiale va dirigendosi in quella direzione. E' un processo che viene da lontano, ma che ha trovato in Napolitano l'accelerazione decisiva verso un esercizio esorbitante del potere quirinalizio. Non sappiamo chi sarà il prossimo presidente, ma sappiamo cos'è diventata la presidenza della repubblica.
Dopo Napolitano: l'inciucio possibile
Dopo Napolitano: l'inciucio possibile
di Leonardo Mazzei*
Domani inizieranno le votazioni per eleggere il successore di Napolitano. Il quale ha concluso il settennato con due atti che dicono tutto. Prima la nomina di una commissione extra-istituzionale di «saggi», pur di imporre un esecutivo perfettamente allineato con quello uscente, alla faccia dei risultati elettorali di febbraio. Poi, la grazia gentilmente concessa ad uno dei sequestratori americani di Abu Omar, il colonnello Joseph Romano, tanto per ribadire il pieno asservimento ai banditi internazionali di Washington.
Certo, com'era scontato, nessuno si è accorto delle conclusioni dei «saggi». Conclusioni vuote e banali, che confermano come lo scopo fosse in realtà solo quello di prendere tempo, come ha candidamente confessato il «saggio» Onida, che nella sua saggezza ha comunque saggiamente deciso di partecipare ugualmente alla sceneggiata napolitana.
Al momento non sappiamo chi sarà il nuovo presidente della repubblica. Lo sconquasso del sistema politico è grande e la confusione regna sovrana, come dimostra in abbondanza lo scontro interno al Pd. Sappiamo però una cosa: chiunque verrà eletto si ritroverà con un potere ben più ampio di quello previsto dalla Costituzione.
L'Italia non è ancora una repubblica presidenziale, ma la costituzione materiale va dirigendosi in quella direzione. E' un processo che viene da lontano, ma che ha trovato in Napolitano l'accelerazione decisiva verso un esercizio esorbitante del potere quirinalizio.
Tutto cominciò con Cossiga, che ebbe la ventura di trovarsi al Colle al momento giusto, cioè nel decisivo biennio 1989-1991 (crollo del blocco dell'est e della stessa Urss), che terremotò il sistema politico della prima repubblica, aprendo la strada all'attacco del principio democratico della rappresentanza da sostituirsi con quello della «governabilità». Da qui la corsa all'aumento dei poteri esecutivi a tutti i livelli: dai sindaci podestà, ai presidenti di regione divenuti governatori, fino al riconoscimento de facto al Quirinale di poteri prima sconosciuti.
I giustificazionisti di questa corsa verso il presidenzialismo amano parlare di un «ruolo di supplenza» che Napolitano avrebbe esercitato per rimediare ai guasti di un sistema politico impallato. Ma è davvero così? A noi sembra proprio di no, basti pensare al ruolo decisivo avuto dal Quirinale nel marzo 2011 per portare l'Italia ad unirsi all'aggressione occidentale alla Libia. Altro che «ruolo di supplenza» dovuto alle beghe della politica italiana!
Per questi motivi, la scelta del successore di Napolitano è assai più importante di quanto poteva essere in passato un'elezione presidenziale. E poiché, specie negli ultimi anni, Napolitano è stato il garante verso l'Unione Europea della fedele applicazione delle ricette draconiane imposte dal dogma eurista, è evidente l'attenzione di Bruxelles, Berlino e Francoforte verso le scelte che verranno prese dai cosiddetti «grandi elettori».
Dato per scontato il necessario servilismo atlantista, sarà la fedeltà eurista il requisito essenziale per partecipare alla corsa al Colle. I nomi che circolano sono lì a dimostrarlo. Le biografie di Prodi, Amato e D'Alema sono troppo note perché vi sia bisogno di illustrarle. In un quadro come l'attuale le sorprese sono sempre possibili, ma è assai improbabile che si esca da questa triade. E qualora se ne uscisse per scegliere un personaggio di seconda fascia al posto di una di queste tre «punte» (ad esempio Violante al posto di D'Alema), il ragionamento non cambierebbe.
Nelle tempestose acque della politica italiana, di fronte ad una catastrofe economica sempre più grande che la classe dirigente non sa proprio come affrontare, l'Europa vuole comunque un garante che assicuri la prosecuzione dei sacrifici per l'euro. Fino ad ora questo garante è stato Napolitano, assai più dello stesso Monti, la cui inconsistenza politica si è ben misurata nelle vicende degli ultimi mesi. Ora tenteranno il passaggio del testimone ad un personaggio, inevitabilmente diverso, ma dotato dello stesso grado di fedeltà e di internità al blocco oligarchico continentale che ha legato le proprie fortune alla tenuta dell'eurozona.
In questo quadro, troviamo la tattica del M5S del tutto sbagliata. Già candidare alle cosiddette «quirinarie», personaggi come Prodi, Bonino e Caselli la dice assai lunga sulla composizione della platea elettorale telematica del movimento. E' vero che la graduatoria della votazione ha visto poi sul podio Gabanelli, Strada e Rodotà, ma resta il rischio di un segnale sbagliato: quello di un M5S che inizia a farsi impastare nei giochi trita-tutto del Palazzo.
Il blocco oligarchico secondo-repubblichino litiga su tutto, ma non si lascerà certo dividere da una candidatura di Rodotà. La «casta», se vogliamo usare il linguaggio in voga, non voterà mai contro se stessa. Tanto meno lo farà sapendo di fare un favore al movimento di Grillo, ad oggi ritenuto non a torto il principale pericolo per la propria sopravvivenza.
Anche qualora saltasse l'accordo Pd-Pdl - ipotesi che chi scrive considera tutt'altro che irrealistica - resterebbe comunque una maggioranza Pd-Sel-montiani sufficiente ad eleggere un presidente, a quel punto verosimilmente nella persona di Romano Prodi, uno dei maggiori responsabili delle privatizzazioni e della scelta di entrare nell'euro, nonché presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004.
Alla triade, alla politica ed agli interessi che rappresenta, occorre contrapporre un candidato veramente alternativo. Un nome di rottura, che evidenzi fin dal primo voto l'opposizione ad un presidente in continuità con il piccolo golpista che ha intronizzato Monti come premier. Ogni altra scelta sarebbe suicida.
Certo, com'era scontato, nessuno si è accorto delle conclusioni dei «saggi». Conclusioni vuote e banali, che confermano come lo scopo fosse in realtà solo quello di prendere tempo, come ha candidamente confessato il «saggio» Onida, che nella sua saggezza ha comunque saggiamente deciso di partecipare ugualmente alla sceneggiata napolitana.
Al momento non sappiamo chi sarà il nuovo presidente della repubblica. Lo sconquasso del sistema politico è grande e la confusione regna sovrana, come dimostra in abbondanza lo scontro interno al Pd. Sappiamo però una cosa: chiunque verrà eletto si ritroverà con un potere ben più ampio di quello previsto dalla Costituzione.
L'Italia non è ancora una repubblica presidenziale, ma la costituzione materiale va dirigendosi in quella direzione. E' un processo che viene da lontano, ma che ha trovato in Napolitano l'accelerazione decisiva verso un esercizio esorbitante del potere quirinalizio.
Tutto cominciò con Cossiga, che ebbe la ventura di trovarsi al Colle al momento giusto, cioè nel decisivo biennio 1989-1991 (crollo del blocco dell'est e della stessa Urss), che terremotò il sistema politico della prima repubblica, aprendo la strada all'attacco del principio democratico della rappresentanza da sostituirsi con quello della «governabilità». Da qui la corsa all'aumento dei poteri esecutivi a tutti i livelli: dai sindaci podestà, ai presidenti di regione divenuti governatori, fino al riconoscimento de facto al Quirinale di poteri prima sconosciuti.
I giustificazionisti di questa corsa verso il presidenzialismo amano parlare di un «ruolo di supplenza» che Napolitano avrebbe esercitato per rimediare ai guasti di un sistema politico impallato. Ma è davvero così? A noi sembra proprio di no, basti pensare al ruolo decisivo avuto dal Quirinale nel marzo 2011 per portare l'Italia ad unirsi all'aggressione occidentale alla Libia. Altro che «ruolo di supplenza» dovuto alle beghe della politica italiana!
Per questi motivi, la scelta del successore di Napolitano è assai più importante di quanto poteva essere in passato un'elezione presidenziale. E poiché, specie negli ultimi anni, Napolitano è stato il garante verso l'Unione Europea della fedele applicazione delle ricette draconiane imposte dal dogma eurista, è evidente l'attenzione di Bruxelles, Berlino e Francoforte verso le scelte che verranno prese dai cosiddetti «grandi elettori».
Dato per scontato il necessario servilismo atlantista, sarà la fedeltà eurista il requisito essenziale per partecipare alla corsa al Colle. I nomi che circolano sono lì a dimostrarlo. Le biografie di Prodi, Amato e D'Alema sono troppo note perché vi sia bisogno di illustrarle. In un quadro come l'attuale le sorprese sono sempre possibili, ma è assai improbabile che si esca da questa triade. E qualora se ne uscisse per scegliere un personaggio di seconda fascia al posto di una di queste tre «punte» (ad esempio Violante al posto di D'Alema), il ragionamento non cambierebbe.
Nelle tempestose acque della politica italiana, di fronte ad una catastrofe economica sempre più grande che la classe dirigente non sa proprio come affrontare, l'Europa vuole comunque un garante che assicuri la prosecuzione dei sacrifici per l'euro. Fino ad ora questo garante è stato Napolitano, assai più dello stesso Monti, la cui inconsistenza politica si è ben misurata nelle vicende degli ultimi mesi. Ora tenteranno il passaggio del testimone ad un personaggio, inevitabilmente diverso, ma dotato dello stesso grado di fedeltà e di internità al blocco oligarchico continentale che ha legato le proprie fortune alla tenuta dell'eurozona.
In questo quadro, troviamo la tattica del M5S del tutto sbagliata. Già candidare alle cosiddette «quirinarie», personaggi come Prodi, Bonino e Caselli la dice assai lunga sulla composizione della platea elettorale telematica del movimento. E' vero che la graduatoria della votazione ha visto poi sul podio Gabanelli, Strada e Rodotà, ma resta il rischio di un segnale sbagliato: quello di un M5S che inizia a farsi impastare nei giochi trita-tutto del Palazzo.
Il blocco oligarchico secondo-repubblichino litiga su tutto, ma non si lascerà certo dividere da una candidatura di Rodotà. La «casta», se vogliamo usare il linguaggio in voga, non voterà mai contro se stessa. Tanto meno lo farà sapendo di fare un favore al movimento di Grillo, ad oggi ritenuto non a torto il principale pericolo per la propria sopravvivenza.
Anche qualora saltasse l'accordo Pd-Pdl - ipotesi che chi scrive considera tutt'altro che irrealistica - resterebbe comunque una maggioranza Pd-Sel-montiani sufficiente ad eleggere un presidente, a quel punto verosimilmente nella persona di Romano Prodi, uno dei maggiori responsabili delle privatizzazioni e della scelta di entrare nell'euro, nonché presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004.
Alla triade, alla politica ed agli interessi che rappresenta, occorre contrapporre un candidato veramente alternativo. Un nome di rottura, che evidenzi fin dal primo voto l'opposizione ad un presidente in continuità con il piccolo golpista che ha intronizzato Monti come premier. Ogni altra scelta sarebbe suicida.
Fonte: Campo Antimperialista
1 commento:
Se Rodotà sarà il nostro prossimo presidente della repubblica cosa succede?
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