4 aprile. Per capire il "grillismo" certi intellettuali hanno ripescato le categorie del "diciannovismo" e/o del congenito "sovversivismo delle classi dominanti" italiane. Una cortina fumogena per nascondere che Napolitano, sulla carta il primo garante delle Costituzione, è il suo primo scardinatore. Ce lo spiega bene il D'Albergo. In questa luce appare imperdonabile l'errore di Grillo, che si è complimentato con Napolitano per la sua decisione di istituire la Commissione dei dieci saggi e di prorogare come niente fosse il suo Governo tecnico dimissionario dal dicembre scorso. Il secondo passo verso un oscuro regime presidenzialistico che, per nome e per conto dell'eurocrazia, pone il paese in amministrazione controllata.
Dalla trappola europea al trauma istituzionale
di Salvatore D’Albergo*
Dal groviglio dei rapporti economici, politici e istituzionali che attanagliano l'Italia con la crisi dello stato sociale e con lo sbriciolamento delle forze politiche provocato dalle elezioni, invece di aprirsi una fase destinata alla credibilità "in extremis" di un sistema politico divenuto ingovernabile, si sta sviluppando un'involuzione patologica, favorita dall'incapacità del Presidente Napolitano di essere "garante" dell'unità nazionale e del funzionamento di una democrazia oggi trascinata, anziché alla formazione di un governo pur d'emergenza, fuori dalla rotta che dovrebbe seguire una corretta forma di governo parlamentare.
E ciò perché il capo dello Stato, che si era riservato di pilotare personalmente la ricerca dei presupposti dell'incarico di formazione del governo necessario a sostituire il governo dei "tecnici", ha inopinatamente portato l'escalation del suo protagonismo autoritario ad uno sbocco che non solo prescinde dalla legittimità imposta anche, e per certi versi soprattutto, al Presidente della Repubblica, ma, addirittura, ha aperto una voragine che rischia di travolgere - fuori da ogni modello di revisione costituzionale, fondato su regole elaborate e discusse - l'intero assetto dell'ordinamento della Repubblica.
Non solo, infatti, il presidente Napolitano non ha saputo svolgere il suo dovere istituzionale piegando l’inaffidabilità del pre-incarico consegnato alla vacua ambizione del leader della coalizione sorretta dal più arbitrario premio di maggioranza elettorale che la storia politica italiana abbia sin qui annoverato; ma lungi dal voler riconoscere la responsabilità che già si era accollato con la formazione del governo Monti, sorretto da quei gruppi di potere che si contendono senza costrutto la conquista della stanza dei bottoni, ha ora gettato la maschera di un potere che si pone fuori da ogni legittimità costituzionale, arrogandosi una competenza di tipo politico-organizzativo che spezza l'organicità di poteri legislativo ed esecutivo della forma di governo parlamentare italiana; invadendo così l'area dei rapporti di pertinenza delle sole forze politiche legittimate ad operare nella dialettica democratica; giungendo persino a incunearsi in quel più simbolico ambito di potere di revisione costituzionale che va oltre la stessa governabilità, in quanto attiene alla tenuta complessiva del sistema istituzionale.
Il gravissimo vulnus arrecato istituendo, senza un minimo fondamento due commissioni dotate del compito di formulare "precise proposte programmatiche su temi essenziali di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo", affinché possano divenire oggetto di condivisione da parte delle forze politiche, è l'irresponsabile esplicitazione di un disegno di sovvertimento dei principi fondanti la democrazia parlamentare imperniata sull’indefettibile autonomia dei partiti in attuazione della sovranità popolare, con un'arbitrarietà che va oltre la configurabilità della pretestuosa incarnazione di un presidenzialismo strisciante o, più propriamente, di una monarchia di marca ottocentesca come quella di un’Olanda abusivamente chiamata in campo.
Tanto più va denunciata tale invasione di campo, aperta con la nomina di tali commissioni come portatrici di un potere cui subordinare quello dei partiti e di un governo intravisto solo “in fieri" contro le procedure costituzionali vigenti, in quanto la struttura che connota le due commissioni implica a sua volta deviazioni da una anche elementare visione della separazione dei poteri, essendo del tutto anacronistico che il Presidente della Repubblica - attribuendosi una competenza inconferente con la nostra costituzione - includa in un organo di sua emanazione membri del Parlamento e membri del governo in carica "per gli affari correnti", a latere di soggetti o rappresentativi solo di se stessi, o titolari di istituti di più varia collocazione nel sistema politico-amministrativo.
Tutto ciò come aspetto di una più ingarbugliata architettura a sua volta incostituzionale, che implica la proroga a tempo indeterminabile della sopravvivenza del governo Monti, riconoscendogli addirittura una potestà di decretazione che trascende "l’ordinaria amministrazione”, pur di fornire soprattutto all'estero l'immagine di una forma di governo che è in grado di operare, mentre le due commissioni sono state istituite per consentire la nascita dell'unico governo legittimamente insediabile a coronamento delle elezioni, ma di cui si è omesso l'incarico con il pretesto di far maturare la data dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Ben oltre che premiare, quindi, tali oscure trame all'insegna di una "fantasia" come tale estranea ad una legittimazione di poteri in nome dell'unità nazionale, occorre prendere atto e denunciare in ogni sede di vita democratica ancora agibile nel nostro Paese, che l’inanellare di interventi che il capo dello Stato ancora in carica si è arrogato di compiere sino alla determinazione di questi giorni, solleva il fondamento di un esecrabile attentato alla Costituzione: attentato che va analiticamente decifrato e perseguito nei termini consentiti dalla nostra costituzione, e che mai prima d'ora si erano presentati in forma così eclatante contro l'esigenza di assicurare nel nostro paese quel rispetto dei principi dell'ordinamento repubblicano che è condizione di accettabilità della convivenza, proprio in quegli ambiti economico-sociali che più sono a rischio anche per l'irresponsabilità di chi male esercita le sue attribuzioni politico-istituzionali.
* Nato a Milano nel 1927, si laurea in Giurisprudenza a Roma. Dal 1959 ha insegnato a Pisa Diritto pubblico, Diritto amministrativo e Diritto pubblico dell’Economia. Dopo gli studi sulle partecipazioni statali e sul sistema degli enti pubblici in Italia, accompagnati da un’intensa attività politico-culturale nel “Centro per la Riforma dello Stato” e presso gli istituti formativi del Pci e della Cgil, ha svolto studi di Diritto pubblico, tra cui segnaliamo Costituzione e organizzazione del potere nell’ordinamento italiano, Giappichelli, Torino 1991, La Costituzione tra democratizzazione e modernizzazione, ETS, Pisa 1996, L’organizzazione del potere nei rapporti tra diritto e Stato, CEDAM, Padova 1997.
Dalla trappola europea al trauma istituzionale
di Salvatore D’Albergo*
Dal groviglio dei rapporti economici, politici e istituzionali che attanagliano l'Italia con la crisi dello stato sociale e con lo sbriciolamento delle forze politiche provocato dalle elezioni, invece di aprirsi una fase destinata alla credibilità "in extremis" di un sistema politico divenuto ingovernabile, si sta sviluppando un'involuzione patologica, favorita dall'incapacità del Presidente Napolitano di essere "garante" dell'unità nazionale e del funzionamento di una democrazia oggi trascinata, anziché alla formazione di un governo pur d'emergenza, fuori dalla rotta che dovrebbe seguire una corretta forma di governo parlamentare.
E ciò perché il capo dello Stato, che si era riservato di pilotare personalmente la ricerca dei presupposti dell'incarico di formazione del governo necessario a sostituire il governo dei "tecnici", ha inopinatamente portato l'escalation del suo protagonismo autoritario ad uno sbocco che non solo prescinde dalla legittimità imposta anche, e per certi versi soprattutto, al Presidente della Repubblica, ma, addirittura, ha aperto una voragine che rischia di travolgere - fuori da ogni modello di revisione costituzionale, fondato su regole elaborate e discusse - l'intero assetto dell'ordinamento della Repubblica.
Non solo, infatti, il presidente Napolitano non ha saputo svolgere il suo dovere istituzionale piegando l’inaffidabilità del pre-incarico consegnato alla vacua ambizione del leader della coalizione sorretta dal più arbitrario premio di maggioranza elettorale che la storia politica italiana abbia sin qui annoverato; ma lungi dal voler riconoscere la responsabilità che già si era accollato con la formazione del governo Monti, sorretto da quei gruppi di potere che si contendono senza costrutto la conquista della stanza dei bottoni, ha ora gettato la maschera di un potere che si pone fuori da ogni legittimità costituzionale, arrogandosi una competenza di tipo politico-organizzativo che spezza l'organicità di poteri legislativo ed esecutivo della forma di governo parlamentare italiana; invadendo così l'area dei rapporti di pertinenza delle sole forze politiche legittimate ad operare nella dialettica democratica; giungendo persino a incunearsi in quel più simbolico ambito di potere di revisione costituzionale che va oltre la stessa governabilità, in quanto attiene alla tenuta complessiva del sistema istituzionale.
Il gravissimo vulnus arrecato istituendo, senza un minimo fondamento due commissioni dotate del compito di formulare "precise proposte programmatiche su temi essenziali di carattere istituzionale e di carattere economico-sociale ed europeo", affinché possano divenire oggetto di condivisione da parte delle forze politiche, è l'irresponsabile esplicitazione di un disegno di sovvertimento dei principi fondanti la democrazia parlamentare imperniata sull’indefettibile autonomia dei partiti in attuazione della sovranità popolare, con un'arbitrarietà che va oltre la configurabilità della pretestuosa incarnazione di un presidenzialismo strisciante o, più propriamente, di una monarchia di marca ottocentesca come quella di un’Olanda abusivamente chiamata in campo.
Tanto più va denunciata tale invasione di campo, aperta con la nomina di tali commissioni come portatrici di un potere cui subordinare quello dei partiti e di un governo intravisto solo “in fieri" contro le procedure costituzionali vigenti, in quanto la struttura che connota le due commissioni implica a sua volta deviazioni da una anche elementare visione della separazione dei poteri, essendo del tutto anacronistico che il Presidente della Repubblica - attribuendosi una competenza inconferente con la nostra costituzione - includa in un organo di sua emanazione membri del Parlamento e membri del governo in carica "per gli affari correnti", a latere di soggetti o rappresentativi solo di se stessi, o titolari di istituti di più varia collocazione nel sistema politico-amministrativo.
Tutto ciò come aspetto di una più ingarbugliata architettura a sua volta incostituzionale, che implica la proroga a tempo indeterminabile della sopravvivenza del governo Monti, riconoscendogli addirittura una potestà di decretazione che trascende "l’ordinaria amministrazione”, pur di fornire soprattutto all'estero l'immagine di una forma di governo che è in grado di operare, mentre le due commissioni sono state istituite per consentire la nascita dell'unico governo legittimamente insediabile a coronamento delle elezioni, ma di cui si è omesso l'incarico con il pretesto di far maturare la data dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Ben oltre che premiare, quindi, tali oscure trame all'insegna di una "fantasia" come tale estranea ad una legittimazione di poteri in nome dell'unità nazionale, occorre prendere atto e denunciare in ogni sede di vita democratica ancora agibile nel nostro Paese, che l’inanellare di interventi che il capo dello Stato ancora in carica si è arrogato di compiere sino alla determinazione di questi giorni, solleva il fondamento di un esecrabile attentato alla Costituzione: attentato che va analiticamente decifrato e perseguito nei termini consentiti dalla nostra costituzione, e che mai prima d'ora si erano presentati in forma così eclatante contro l'esigenza di assicurare nel nostro paese quel rispetto dei principi dell'ordinamento repubblicano che è condizione di accettabilità della convivenza, proprio in quegli ambiti economico-sociali che più sono a rischio anche per l'irresponsabilità di chi male esercita le sue attribuzioni politico-istituzionali.
* Nato a Milano nel 1927, si laurea in Giurisprudenza a Roma. Dal 1959 ha insegnato a Pisa Diritto pubblico, Diritto amministrativo e Diritto pubblico dell’Economia. Dopo gli studi sulle partecipazioni statali e sul sistema degli enti pubblici in Italia, accompagnati da un’intensa attività politico-culturale nel “Centro per la Riforma dello Stato” e presso gli istituti formativi del Pci e della Cgil, ha svolto studi di Diritto pubblico, tra cui segnaliamo Costituzione e organizzazione del potere nell’ordinamento italiano, Giappichelli, Torino 1991, La Costituzione tra democratizzazione e modernizzazione, ETS, Pisa 1996, L’organizzazione del potere nei rapporti tra diritto e Stato, CEDAM, Padova 1997.
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