19 aprile. Il blocco dominante è allo sbando, ma imploderà soltanto nell'impatto con una potente sollevazione popolare, alla quale è ragionevole credere e doveroso lavorare. E lo spettacolare spettacolo di una classe dirigente impallata come mai fino ad oggi, dovrebbe semmai incoraggiare i dubbiosi, i pessimisti e gli incerti.
Impallinato il "lupo marsicano. E adesso?
di Leonardo Mazzei
Spettacolare spettacolo quello odierno. Mai si era vista una cosa del genere. Ma la sagacia tattica dello smacchiatore di giaguari non conosce limiti. E' arrivato così al punto di far scegliere al maculato felino il candidato preferito. Con il brillante risultato di spaccare tanto la coalizione, che il partito che in teoria dovrebbe dirigere. Peraltro fallendo nello storico obiettivo di riportare un democristiano storico al Quirinale. Ammettiamolo: di più non si poteva fare. Perlomeno non in sole 24 ore, per il futuro vedremo.
Insomma, uno spasso. Ma uno spasso istruttivo, che ci dice quanto sia grave la crisi della classe dirigente. Eh già, perché qui non si tratta del solo Bersani. C'è qualcosa di più grave e profondo dietro l'odierno smacco. C'è l'incapacità di affrontare la crisi sistemica, ed anche quella di proporre non diciamo un programma, che sarebbe davvero pretendere troppo, e neppure un'idea, ma almeno un'ideuzza. Almeno quella... E invece no. Niente, zero assoluto, come si è visto in campagna elettorale.
Galleggiare è l'unico verbo che sanno coniugare. E siccome l'accordicchio quirinalizio preludeva al governicchio per tirare a campare, ecco che avevano pensato di convenire su un vecchio arnese del sindacalismo di regime, ribattezzandolo per l'occasione «lupo marsicano». Non che Marini fosse peggio di chi andrà verosimilmente al Colle (vedi La triade), ma è il quadro successivo che prefigurava la sua elezione ad aver fatto flop.
Ed il modo in cui si è arrivati alla sua designazione, che un tempo avremmo definito «bipolare» (ma oggi il bipolarismo non c'è più), ci parla come meglio non si potrebbe dello sbando di un'intera classe dirigente. Mi limito ad un solo esempio, perché basta ed avanza. Ieri sera i gruppi parlamentari del centrosinistra hanno di fatto bocciato la candidatura di Marini, che ha avuto il sì di soli 220 «grandi elettori» su 490. Ora, il lupetto della favola, che è un uomo della Prima Repubblica, sa perfettamente che in simili circostanze altro non si può fare che un fermo ed immediato passo indietro.
Invece, testardo come un mulo, non solo non ha ritirato la sua candidatura, ma dopo la sonora bocciatura dell'aula vorrebbe addirittura ritentare il colpaccio alla quarta votazione, quando basterà la maggioranza semplice. Insomma, il presidente «largamente condiviso» si accontenterebbe di un 50%+1! Non penso proprio che andrà così, dato che a tutto c'è (o dovrebbe esserci, vedremo) un limite. In ogni caso il comportamento dell'ex presidente del Senato si commenta da solo.
Ma cosa c'era dietro l'accordicchio per ora saltato? Come già detto c'era un governicchio per prendere tempo. Ma presieduto da chi? Secondo la beninformata Repubblica da Letta, il nipote. Con l'appoggio del Cavaliere, opportunamente consigliato da Letta, lo zio. Ecco in quali famiglie vanno a giocarsi le scelte e le sorti della democrazia parlamentare nell'epoca del pensiero unico, figlio di quel capitalismo-casinò che sta gettando sul lastrico interi popoli del continente.
Bene, questo giochino è saltato. Non per questo ci sarà troppo da gioire. La casta è allo sbando, ma non mollerà. Anzi, proprio la consapevolezza del pericolo produrrà verosimilmente soluzioni ancora peggiori. Già si riaffacciano i nomi di D'Alema e Prodi, dietro ai quali si intravede la corsa verso Palazzo Chigi del peggiore (e più pericoloso) di tutti: Renzi, l'americano.
E senza dubbio, nella partita del Quirinale, il bombardatore della Jugoslavia e il re delle privatizzazioni low cost sono i più amati dalle oligarchie europee. Le quali amerebbero anche il piccolo sorcio di tante vignette del tempo che fu, ma le tracce del formaggio ingurgitato sono forse troppe per rimetterlo in pista.
Vedremo. Ma cerchiamo di non prendere abbagli. Il blocco dominante è allo sbando, ma non deraglierà di certo sulla strada del Quirinale. Esso imploderà soltanto nell'impatto con una potente sollevazione popolare, alla quale è ragionevole credere e doveroso lavorare. E lo spettacolare spettacolo di una classe dirigente impallata come mai fino ad oggi, dovrebbe semmai incoraggiare i dubbiosi, i pessimisti e gli incerti. Un vecchio mondo sta finendo, guai a noi se non saremo capaci di costruire quello nuovo.
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