30 aprile. IL GOVERNO LETTA SI È INSEDIATO. Mentre quello di Mario Monti nasceva sostenevamo che esso avrebbe miseramente fallito. Non perché non sarebbe riuscito a dissanguare il popolo lavoratore, non perché non avrebbe rispettato i soffocanti vincoli europei. Dicevamo che, proprio per l'ossequiosa accettazione di questi vincoli stringenti, non avrebbe centrato l'obbiettivo dichiarato di far uscire l'economia dalla più profonda depressione economia. Infatti l'ha accentuata. E siccome è ancora questo l'obbiettivo che si è pomposamente proposto Letta, non è difficile pronosticare un secondo, clamoroso fallimento.
Anche ove le misure prioritarie annunciate da Letta fossero effettivamente adottate esse non faranno uscire il paese dal disastro. Pannicelli caldi, che potranno allungare l'agonia del sistema capitalistico italiano. Avremo modo di tornare sull'aleatorietà delle misure economiche indicate da Letta nel suo discorsetto demagogico. Basti per ora dire poche cose essenziali.
Che il nuovo governo riesca a rianimare il collassato capitalismo italiano dipende anzitutto dalla misericordia dell'Unione europea, leggi della Merkel, non a caso la questua a Berlino è il primo atto politico del nuovo Presidente del consiglio. Otterrà il nuovo governo il semaforo verde affinché sia concesso a Roma lo slittamento del pareggio di bilancio? Vedremo, di certo la Merkel non vorrà mettere a repentaglio la sua terza vittoria elettorale.
Ottenendo l'allentamento dei vincoli alle politiche di bilancio il governo spera di reperire le risorse necessarie a sostenere alcune delle misure annunciate e dare una boccata d'ossigeno all'economia in asfissia. Ma siamo bel lontani sia dall'uscita dal tunnel che da coerenti politiche anti-cicliche anche solo di stampo keynesiano. E ne siamo lontani poiché, repetita juvant, queste non sono possibili al nostro paese finché non uscirà della gabbia dell'Unione europea, fino a quando, privato della sovranità monetaria (ci sono ancora in giro cretini che pensano che la moneta sia uno strumento neutrale) prenderà a prestito i quattrini da una banca privata qual è la Bce.
A buon intenditor poche parole. Letta non ha solo ribadito che la nascita di un super-Stato
europeo è l'obbligato punto d'approdo, ha solennemente indicato nell'euro e nella Bce le "due premesse macroeconomiche" imprescindibili che guideranno l'operato del suo governo.
Nessun accenno critico alle Tavole delle legge dei Trattati europei, sacro resta pure il Fiscal compact —per alimentare il quale solo quest'anno l'Italia dovrà sborsare 40 miliardi, circa il doppio delle risorse che Letta spera di stornare dallo sforamento del pareggio di bilancio.
Qual è dunque la recondita speranza del nuovo Primo ministro e dei suoi sodali bi/tri/partisan? Che duri ancora per qualche mese l'euforia dei mercati finanziari (determinata dalla enorme liquidità messa in circolazione dalle banche centrali americana, giapponese, inglese e in parte anche dalla Bce), quella disposizione al risk-on che spiega l'ondata di acquisti di titoli spazzatura, tra cui quelli di stato italiani —spread in calo a quota 271, tasso Btp a dieci anni al 3,84%, il livello prima dello scoppio della crisi greca. Che lo Stato possa continuare a finanziarsi a basso costo è infatti la premessa indispensabile perché esso possa, sia allentare la pressione fiscale sul capitale che aprire i cordoni della borsa per alleviare i costi sociali della crisi. Molto dipende dunque da quanto ancora durerà la pacchia sui mercati finanziari. Poco secondo alcuni analisti, che pronosticano lo scoppio imminenente di una nuova bolla finanziaria.
Non siamo quindi alle prese con una inversione di rotta rispetto alle direttive macroeconomiche deflazionistiche —che implicherebbero non solo piegare Berlino, ma stravolgere i Trattati e ridisegnare il ruolo e le funzioni della Bce—, siamo tuttavia davanti alla necessità, per partiti e notabili oramai moribondi, di lasciarsi alle spalle la famigerata "Agenda Monti" che la stragrande maggioranza dei cittadini ha sonoramente bocciato col voto di febbraio. Qui sta il miracolo, dando una botta al cerchio e una alla botte, che questo governo deve compiere se vuole riconsegnare ai partiti della maggioranza il consenso perduto. Lorsignori debbono riuscirci ad ogni costo, pena la fine rovinosa loro e della "seconda Repubblica".
E ci tocca segnalare, in questa sospensione della rissa teatrale tra le due cricche partitiche dominanti, che il dominus risulta proprio essere il morto-non-morto Berlusconi, la cui magnanimità ha salvato il PD da un nuovo e definitivo tracollo elettorale. Un salvagente, si capisce, che non è stato offerto a gratis, ma in cambio di un definitivo salvacondotto —anche dal rispetto di questo patto da parte di certa magistratura dipende quanto a lungo reggerà il cessate-il-fuoco.
Al di la dei rituali e retorici discorsi che caratterizzano la cerimonia battesimale di ogni nuovo governo, tutto si riduce a questo: partiti e notabili hanno accettato di unirsi more uxorio per tirare a campare. Costretti controvoglia a fare fronte comune dopo i rovesci subiti con le ultime elezioni, essi sanno che questa è la loro ultima chance per tenere salde nelle loro mani, per nome e per conto delle classi dominanti, le redini del potere.
Il loro obbiettivo vero è dunque tutto politico: sterilizzare, con alcune concessioni tattiche, l'ondata d'indignazione popolare, ed al contempo erigere più robuste paratie strategiche per contenere l'eventuale sollevazione —la paura fa novanta: i reiterati ringraziamenti alle Forze di polizia sono stati i passaggi più applauditi del discorso di Letta.
Concessioni sui "costi della politica" che faranno velo alla "riforma" elettorale, ovvero un sistema ancor più truffaldino per consegnare a delle minoranze il bastone del comando nonché, e questo è forse il disegno loro più ambizioso, scardinare definitivamente la Costituzione per passare da un regime ancora formalmente parlamentare ad uno presidenziale.
Questo sì, l'edificare una "Terza Repubblica", è un disegno davvero grande. I demiurghi-nani vorrebbero infatti che quella appena iniziata sia una Legislazione costituente. Le forze dell'opposizione, a partire dal M5S (e su questo verificheremo la sua effettiva consistenza e caratura democratica), debbono anzitutto stare ben attente alle trappole e quindi impedirlo. Si illudono se pensano che basti opporre una guerra di posizione dall'alto, nelle aule parlamentari. Si dovrà ricorrere ad una guerra di movimento dal basso, il cui teatro è la società tutta.
Letta l'ha detto apertamente, più ancora che dal versante della recessione, il pericolo per Lorsignori viene dal rischio di un'esplosione del conflitto sociale. Tra i due fattori c'è tuttavia una correlazione oramai stringente. La prima alimenta il secondo, fermo restando che solo scardinando alle fondamenta questo sistema oramai in putrefazione sarà possibile al popolo lavoratore aprirsi una strada verso un futuro, se non radioso, almeno dignitoso.
Un'opposizione che dovrà lottare accrescendo forza e consensi.
Tenendo bene a mente che:
Anche ove le misure prioritarie annunciate da Letta fossero effettivamente adottate esse non faranno uscire il paese dal disastro. Pannicelli caldi, che potranno allungare l'agonia del sistema capitalistico italiano. Avremo modo di tornare sull'aleatorietà delle misure economiche indicate da Letta nel suo discorsetto demagogico. Basti per ora dire poche cose essenziali.
Che il nuovo governo riesca a rianimare il collassato capitalismo italiano dipende anzitutto dalla misericordia dell'Unione europea, leggi della Merkel, non a caso la questua a Berlino è il primo atto politico del nuovo Presidente del consiglio. Otterrà il nuovo governo il semaforo verde affinché sia concesso a Roma lo slittamento del pareggio di bilancio? Vedremo, di certo la Merkel non vorrà mettere a repentaglio la sua terza vittoria elettorale.
Ottenendo l'allentamento dei vincoli alle politiche di bilancio il governo spera di reperire le risorse necessarie a sostenere alcune delle misure annunciate e dare una boccata d'ossigeno all'economia in asfissia. Ma siamo bel lontani sia dall'uscita dal tunnel che da coerenti politiche anti-cicliche anche solo di stampo keynesiano. E ne siamo lontani poiché, repetita juvant, queste non sono possibili al nostro paese finché non uscirà della gabbia dell'Unione europea, fino a quando, privato della sovranità monetaria (ci sono ancora in giro cretini che pensano che la moneta sia uno strumento neutrale) prenderà a prestito i quattrini da una banca privata qual è la Bce.
A buon intenditor poche parole. Letta non ha solo ribadito che la nascita di un super-Stato
europeo è l'obbligato punto d'approdo, ha solennemente indicato nell'euro e nella Bce le "due premesse macroeconomiche" imprescindibili che guideranno l'operato del suo governo.
Nessun accenno critico alle Tavole delle legge dei Trattati europei, sacro resta pure il Fiscal compact —per alimentare il quale solo quest'anno l'Italia dovrà sborsare 40 miliardi, circa il doppio delle risorse che Letta spera di stornare dallo sforamento del pareggio di bilancio.
Qual è dunque la recondita speranza del nuovo Primo ministro e dei suoi sodali bi/tri/partisan? Che duri ancora per qualche mese l'euforia dei mercati finanziari (determinata dalla enorme liquidità messa in circolazione dalle banche centrali americana, giapponese, inglese e in parte anche dalla Bce), quella disposizione al risk-on che spiega l'ondata di acquisti di titoli spazzatura, tra cui quelli di stato italiani —spread in calo a quota 271, tasso Btp a dieci anni al 3,84%, il livello prima dello scoppio della crisi greca. Che lo Stato possa continuare a finanziarsi a basso costo è infatti la premessa indispensabile perché esso possa, sia allentare la pressione fiscale sul capitale che aprire i cordoni della borsa per alleviare i costi sociali della crisi. Molto dipende dunque da quanto ancora durerà la pacchia sui mercati finanziari. Poco secondo alcuni analisti, che pronosticano lo scoppio imminenente di una nuova bolla finanziaria.
Non siamo quindi alle prese con una inversione di rotta rispetto alle direttive macroeconomiche deflazionistiche —che implicherebbero non solo piegare Berlino, ma stravolgere i Trattati e ridisegnare il ruolo e le funzioni della Bce—, siamo tuttavia davanti alla necessità, per partiti e notabili oramai moribondi, di lasciarsi alle spalle la famigerata "Agenda Monti" che la stragrande maggioranza dei cittadini ha sonoramente bocciato col voto di febbraio. Qui sta il miracolo, dando una botta al cerchio e una alla botte, che questo governo deve compiere se vuole riconsegnare ai partiti della maggioranza il consenso perduto. Lorsignori debbono riuscirci ad ogni costo, pena la fine rovinosa loro e della "seconda Repubblica".
E ci tocca segnalare, in questa sospensione della rissa teatrale tra le due cricche partitiche dominanti, che il dominus risulta proprio essere il morto-non-morto Berlusconi, la cui magnanimità ha salvato il PD da un nuovo e definitivo tracollo elettorale. Un salvagente, si capisce, che non è stato offerto a gratis, ma in cambio di un definitivo salvacondotto —anche dal rispetto di questo patto da parte di certa magistratura dipende quanto a lungo reggerà il cessate-il-fuoco.
Al di la dei rituali e retorici discorsi che caratterizzano la cerimonia battesimale di ogni nuovo governo, tutto si riduce a questo: partiti e notabili hanno accettato di unirsi more uxorio per tirare a campare. Costretti controvoglia a fare fronte comune dopo i rovesci subiti con le ultime elezioni, essi sanno che questa è la loro ultima chance per tenere salde nelle loro mani, per nome e per conto delle classi dominanti, le redini del potere.
Il loro obbiettivo vero è dunque tutto politico: sterilizzare, con alcune concessioni tattiche, l'ondata d'indignazione popolare, ed al contempo erigere più robuste paratie strategiche per contenere l'eventuale sollevazione —la paura fa novanta: i reiterati ringraziamenti alle Forze di polizia sono stati i passaggi più applauditi del discorso di Letta.
I costi della "politica": ma che che parliamo? |
Concessioni sui "costi della politica" che faranno velo alla "riforma" elettorale, ovvero un sistema ancor più truffaldino per consegnare a delle minoranze il bastone del comando nonché, e questo è forse il disegno loro più ambizioso, scardinare definitivamente la Costituzione per passare da un regime ancora formalmente parlamentare ad uno presidenziale.
Questo sì, l'edificare una "Terza Repubblica", è un disegno davvero grande. I demiurghi-nani vorrebbero infatti che quella appena iniziata sia una Legislazione costituente. Le forze dell'opposizione, a partire dal M5S (e su questo verificheremo la sua effettiva consistenza e caratura democratica), debbono anzitutto stare ben attente alle trappole e quindi impedirlo. Si illudono se pensano che basti opporre una guerra di posizione dall'alto, nelle aule parlamentari. Si dovrà ricorrere ad una guerra di movimento dal basso, il cui teatro è la società tutta.
Letta l'ha detto apertamente, più ancora che dal versante della recessione, il pericolo per Lorsignori viene dal rischio di un'esplosione del conflitto sociale. Tra i due fattori c'è tuttavia una correlazione oramai stringente. La prima alimenta il secondo, fermo restando che solo scardinando alle fondamenta questo sistema oramai in putrefazione sarà possibile al popolo lavoratore aprirsi una strada verso un futuro, se non radioso, almeno dignitoso.
Un'opposizione che dovrà lottare accrescendo forza e consensi.
Tenendo bene a mente che:
«Non nel dolce mormorio delle lodi,
ma nelle urla selvagge del furore
sentiamo le note del consenso».
1 commento:
So che l'attuale governo Merkel ha grossi problemi interni - alla Bundesrat. E le elezioni a settembre che non promettono bene. Dunque potrà decidere ben poco in merito a Letta. A livello UE invece Merkel è scaduta da ottobre. Adesso decidono Hollande, Schulz, Dijsselbloem e quelli che la pensano come loro. Anche molti che non sono di sinsitra come Draghi e perfino Olli Rehn. I veri interlocutori di Letta sono loro.
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