20 aprile. Avevamo previsto che gli effetti del terremoto elettorale di febbraio, con relativo sfondamento elettorale di M5S, sarebbero stati devastanti. Neanche noi, tuttavia, ci aspettavamo che sarebbero giunti al punto da far squagliate tanto presto il Pd. In questo modo schianta il principale puntello delle classi dominanti e delle oligarchie euro-atlantiche. Una buona notizia per chi vuole cambiare da cima a fondo questo paese.
Ci siamo sbagliati: il Partito democratico era ancora più marcio di quel che pensavamo!
di Emmezeta
Un detonatore! Ancora più interessante del nome che alla fine uscirà dalle elezioni presidenziali, è lo sfacelo che questa votazione sta provocando nel Partito Democratico. E pensare che solo qualche mese fa erano in molti a pronosticare il facile successo della strana Arca di Noè che ha accolto, senza fonderli, ex democristiani ed ex-picisti.
Della facilità del trionfo era arciconvinto il pur mesto Bersani. Ma anche in settori politici a noi vicini c'era chi non vedeva quanto fragili fossero le basi del momentaneo vantaggio mediatico prodotto dalle primarie. A noi, viceversa, tre cose sul Pd erano chiare: il logoramento prodotto dal convinto appoggio al governo Monti, la riduzione del radicamento sociale indotto dalla crisi, l'assenza di proposte credibili e di una visione politica minimamente adeguata alla situazione.
Certo, si poteva magari pensare che nonostante tutto ciò il Pd (e con esso il centrosinistra) avrebbe comunque vinto le elezioni di febbraio in virtù della maggiore debolezza altrui. Le cose non sono andate così. Il successo del M5S ha scardinato anche questa ipotesi. E la verità è che, in termini di prospettiva politica, il Pd (e dunque il centrosinistra) ha perso le elezioni. Una verità amara che Bersani & C. cominciano forse ad elaborare soltanto ora.
Ieri sera, annunciando le sue dimissioni, Bersani ha rispolverato una parola desueta quanto illuminante. «Traditori!», ha gridato agli oltre 100 parlamentari del proprio partito che non hanno votato Prodi, dopo averlo candidato per acclamazione poche ore prima. Bene, quando il linguaggio si fa crudo vuol dire che la situazione si è fatta drammaticamente seria. Altro che la smacchiatina al giaguaro!
Al momento (ore 11 del 20 aprile) non sappiamo quali saranno le prossime mosse. E probabilmente non lo sanno neppure loro. Dopo aver bruciato Marini e Prodi, i dirigenti del Pd non sanno ancora a quale santo votarsi, e non è affatto detto che le parti più gustose dello psicodramma siano quelle alle nostre spalle.
Limitiamoci dunque ad alcune considerazioni sparse sui motivi e sulle conseguenze dell'implosione piddina:
1. Pur apparendo ancora come l'unico partito rimasto sulla piazza, il Pd non ha mai avuto una sua visione del mondo e della società. Nessuna sintesi politico-culturale è mai emersa dal confuso rimescolarsi di ex democristiani ed ex pcisti. Il Pd ha saputo solo presentarsi come partito della governance, cioè della mera amministrazione del presente. In altre parole, e più prosaicamente, il Pd è stato ed è un mero apparato di potere e per il potere.
2. Una simile creatura politica aveva in sé fin dal principio (cioè dai tempi dell'Ulivo, che del Pd è stata la prova generale) i germi della propria autodistruzione. Poco dannosi finché un relativo benessere garantiva la letargia di massa, essi hanno iniziato ad attivarsi quando il dramma sociale in atto ha quantomeno determinato una parziale ripresa dell'attenzione popolare ai fatti della politica. Ma quel che sta rendendo questi germi davvero distruttivi è la possibilità - tutt'altro che remota - che gli spazi e i posti di potere conquistati e/o ritenuti ormai acquisiti vadano a farsi benedire a breve.
3. Un partito che vive esclusivamente per il potere, morirebbe con la perdita di quel potere. Ed è bastato che i disegni di potere, elaborati in precedenza, venissero messi in discussione dal voto di febbraio, perché i vertici del partito perdessero la testa. Escludendo l'emersione di patologie personali, ci sembra questa l'unica spiegazione dello schizofrenico comportamento di Pierluigi Bersani.
4. Come tutti i partiti di potere il Pd aveva stretto un patto d'acciaio con le oligarchie economiche. E, vista la condizione di paese a sovranità limitata dell'Italia, i vertici piddini sono stati da sempre (cioè da ben prima che il Pd nascesse) sotto le ali dell'oligarchia europea. Pensavano che fosse un'assicurazione sulla vita. Ma oggi l'Europa non va più di moda, come ha dimostrato anche il formidabile flop elettorale di Monti, e quell'assicurazione non è più una garanzia assoluta.
5. Da qui la tendenza a vivacchiare, le spinte al governicchio. Controbilanciate, però - ecco un nodo che si aggiunge agli altri e che renderà l'ipotesi del governicchio quasi impraticabile - dal riemergere di un antiberlusconismo d'antan. Esso torna a galla non solo perché il Caimano è sempre lì, ma soprattutto perché è l'unica àncora identitaria rimasta a disposizione.
6. Alla luce di quanto detto è chiaro che anche noi abbiamo sopravvalutato il Pd, ritenendolo l'unica forza politica che poteva in qualche modo sorreggere l'intero sistema politico. Evidentemente, invece, il Pd non era più un partito da tempo. Ma come aggregato di potere si era abbondantemente balcanizzato, con correnti, lobby, cupole e cricche di ogni genere al proprio interno. Tutto ciò era noto ed ampiamente visibile, ma la portata del fenomeno e le sue conseguenze sono andate ben oltre ogni previsione.
7. Per il sistema politico italiano l'implosione del Pd è una botta pesantissima. Si tratta in definitiva dell'effetto politico più rilevante prodotto dal sisma elettorale del 24/25 febbraio. La scossa di ieri, con la caduta di Prodi causa «fuoco amico», è un secondo devastante terremoto che forse ne preannuncia altri. Certo, i dalemiani e gli ex democristiani che ieri hanno pugnalato Prodi riprenderanno i loro giochini per arrivare al governicchio. Con quale forza, credibilità e prospettiva ognuno è in grado di capirlo da solo.
8. Appena un mese fa, i soliti commentatori politici italiani ci avevano descritto la straordinaria abilità tattica di Bersani nel dividere i parlamentari del M5S per l'elezione dei presidenti di Camera e Senato. Oggi le parti si sono invertite. Il M5S non solo non ha ceduto sul nome di Prodi (come i soliti complottisti ipotizzavano), ma la candidatura di Rodotà (che pure non ci entusiasma) ha contribuito anch'essa a mandare in frantumi l'unità del Pd.
9. Ed a questo proposito, qualche riga va spesa sulla pittoresca schizofrenia di certa sinistra. Prima a descrivere Grillo come un mezzo fascista, oggi tentata di aggrapparsi al M5S pur di salvare in qualche modo se stessa. Nossignori, diciamo noi. «Tutti a casa!» non ha da essere uno slogan propagandistico, ma un vero programma per rovesciare l'intero sistema politico. Programma troppo ambizioso? Lo vedremo. A giudicare da come stanno andando le cose non si direbbe.
Ci siamo sbagliati: il Partito democratico era ancora più marcio di quel che pensavamo!
di Emmezeta
Un detonatore! Ancora più interessante del nome che alla fine uscirà dalle elezioni presidenziali, è lo sfacelo che questa votazione sta provocando nel Partito Democratico. E pensare che solo qualche mese fa erano in molti a pronosticare il facile successo della strana Arca di Noè che ha accolto, senza fonderli, ex democristiani ed ex-picisti.
Della facilità del trionfo era arciconvinto il pur mesto Bersani. Ma anche in settori politici a noi vicini c'era chi non vedeva quanto fragili fossero le basi del momentaneo vantaggio mediatico prodotto dalle primarie. A noi, viceversa, tre cose sul Pd erano chiare: il logoramento prodotto dal convinto appoggio al governo Monti, la riduzione del radicamento sociale indotto dalla crisi, l'assenza di proposte credibili e di una visione politica minimamente adeguata alla situazione.
Certo, si poteva magari pensare che nonostante tutto ciò il Pd (e con esso il centrosinistra) avrebbe comunque vinto le elezioni di febbraio in virtù della maggiore debolezza altrui. Le cose non sono andate così. Il successo del M5S ha scardinato anche questa ipotesi. E la verità è che, in termini di prospettiva politica, il Pd (e dunque il centrosinistra) ha perso le elezioni. Una verità amara che Bersani & C. cominciano forse ad elaborare soltanto ora.
Ieri sera, annunciando le sue dimissioni, Bersani ha rispolverato una parola desueta quanto illuminante. «Traditori!», ha gridato agli oltre 100 parlamentari del proprio partito che non hanno votato Prodi, dopo averlo candidato per acclamazione poche ore prima. Bene, quando il linguaggio si fa crudo vuol dire che la situazione si è fatta drammaticamente seria. Altro che la smacchiatina al giaguaro!
Al momento (ore 11 del 20 aprile) non sappiamo quali saranno le prossime mosse. E probabilmente non lo sanno neppure loro. Dopo aver bruciato Marini e Prodi, i dirigenti del Pd non sanno ancora a quale santo votarsi, e non è affatto detto che le parti più gustose dello psicodramma siano quelle alle nostre spalle.
Limitiamoci dunque ad alcune considerazioni sparse sui motivi e sulle conseguenze dell'implosione piddina:
1. Pur apparendo ancora come l'unico partito rimasto sulla piazza, il Pd non ha mai avuto una sua visione del mondo e della società. Nessuna sintesi politico-culturale è mai emersa dal confuso rimescolarsi di ex democristiani ed ex pcisti. Il Pd ha saputo solo presentarsi come partito della governance, cioè della mera amministrazione del presente. In altre parole, e più prosaicamente, il Pd è stato ed è un mero apparato di potere e per il potere.
2. Una simile creatura politica aveva in sé fin dal principio (cioè dai tempi dell'Ulivo, che del Pd è stata la prova generale) i germi della propria autodistruzione. Poco dannosi finché un relativo benessere garantiva la letargia di massa, essi hanno iniziato ad attivarsi quando il dramma sociale in atto ha quantomeno determinato una parziale ripresa dell'attenzione popolare ai fatti della politica. Ma quel che sta rendendo questi germi davvero distruttivi è la possibilità - tutt'altro che remota - che gli spazi e i posti di potere conquistati e/o ritenuti ormai acquisiti vadano a farsi benedire a breve.
3. Un partito che vive esclusivamente per il potere, morirebbe con la perdita di quel potere. Ed è bastato che i disegni di potere, elaborati in precedenza, venissero messi in discussione dal voto di febbraio, perché i vertici del partito perdessero la testa. Escludendo l'emersione di patologie personali, ci sembra questa l'unica spiegazione dello schizofrenico comportamento di Pierluigi Bersani.
4. Come tutti i partiti di potere il Pd aveva stretto un patto d'acciaio con le oligarchie economiche. E, vista la condizione di paese a sovranità limitata dell'Italia, i vertici piddini sono stati da sempre (cioè da ben prima che il Pd nascesse) sotto le ali dell'oligarchia europea. Pensavano che fosse un'assicurazione sulla vita. Ma oggi l'Europa non va più di moda, come ha dimostrato anche il formidabile flop elettorale di Monti, e quell'assicurazione non è più una garanzia assoluta.
5. Da qui la tendenza a vivacchiare, le spinte al governicchio. Controbilanciate, però - ecco un nodo che si aggiunge agli altri e che renderà l'ipotesi del governicchio quasi impraticabile - dal riemergere di un antiberlusconismo d'antan. Esso torna a galla non solo perché il Caimano è sempre lì, ma soprattutto perché è l'unica àncora identitaria rimasta a disposizione.
6. Alla luce di quanto detto è chiaro che anche noi abbiamo sopravvalutato il Pd, ritenendolo l'unica forza politica che poteva in qualche modo sorreggere l'intero sistema politico. Evidentemente, invece, il Pd non era più un partito da tempo. Ma come aggregato di potere si era abbondantemente balcanizzato, con correnti, lobby, cupole e cricche di ogni genere al proprio interno. Tutto ciò era noto ed ampiamente visibile, ma la portata del fenomeno e le sue conseguenze sono andate ben oltre ogni previsione.
7. Per il sistema politico italiano l'implosione del Pd è una botta pesantissima. Si tratta in definitiva dell'effetto politico più rilevante prodotto dal sisma elettorale del 24/25 febbraio. La scossa di ieri, con la caduta di Prodi causa «fuoco amico», è un secondo devastante terremoto che forse ne preannuncia altri. Certo, i dalemiani e gli ex democristiani che ieri hanno pugnalato Prodi riprenderanno i loro giochini per arrivare al governicchio. Con quale forza, credibilità e prospettiva ognuno è in grado di capirlo da solo.
8. Appena un mese fa, i soliti commentatori politici italiani ci avevano descritto la straordinaria abilità tattica di Bersani nel dividere i parlamentari del M5S per l'elezione dei presidenti di Camera e Senato. Oggi le parti si sono invertite. Il M5S non solo non ha ceduto sul nome di Prodi (come i soliti complottisti ipotizzavano), ma la candidatura di Rodotà (che pure non ci entusiasma) ha contribuito anch'essa a mandare in frantumi l'unità del Pd.
9. Ed a questo proposito, qualche riga va spesa sulla pittoresca schizofrenia di certa sinistra. Prima a descrivere Grillo come un mezzo fascista, oggi tentata di aggrapparsi al M5S pur di salvare in qualche modo se stessa. Nossignori, diciamo noi. «Tutti a casa!» non ha da essere uno slogan propagandistico, ma un vero programma per rovesciare l'intero sistema politico. Programma troppo ambizioso? Lo vedremo. A giudicare da come stanno andando le cose non si direbbe.
2 commenti:
E ve ne siete accorti solo adesso?
E ve ne siete accorti solo adesso e cioè quando il bubbone è scoppiato e gli schizzi di pus ci hanno imbrattato dalla testa ai piedi ?
Che cosa c'era da aspettarsi da un branco di mascalzoni scalzati a furor di popolo dalle loro tane distrutte dalle inchieste giudiziarie ?
C'era proprio bisogno "tanto per fare numero" accoglierli in un assieme di persone che ritengono ancora che gli interessi primari dell'umanità debbano essere il rispetto della dignità dell'individuo e dei suoi valori umani e sociali ?
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