Il filosofo marxista tedesco Ernst Bloch Ludwigshafen, 8 luglio 1885 – Tubinga, 4 agosto 1977 |
Ernst Bloch e l’ontologia
del non-ancora
Dall'utopia alla scienza andata e ritorno
di Piemme
Nel momento in cui il marxismo sembrava toccare il suo apogeo come “movimento reale che distrugge lo stato di cose esistenti”, quando le armate di Stalin dilagavano in Europa e la rivoluzione vinceva in Cina e Iugoslavia, esso conosceva sul piano teoretico, una seconda crisi, ancor più profonda di quella della fine dell’800, inizi ‘900. Era il periodo in cui il Diamat si affermava come “scienza delle scienze”, come ideologia di legittimazione del “socialismo reale”.
Ma proprio in quel periodo, segnato dalla sterile contrapposizione dottrinaria sul mero piano della politica tra stalinismo e trotzkysmo, venivano gettati i semi per la rinascita del pensiero marxista, una rinascita a tutt’oggi incompiuta, anche perché, paradossalmente, l’illusione ottica rappresentata dal ‘68, contribuì a quello che è stato un sostanziale congelamento.
Dal punto di vista della decostruzione-ricostruzione di un’organica teoria rivoluzionaria,
Enst Bloch rappresenta senz’altro uno dei più grandi pensatori marxisti di questo secolo. Il suo è senza dubbio un pensiero radicale, più precisamente la forma più estrema di umanesimo, un umanesimo integrale. In Italia Bloch ha avuto poca fortuna, e ciò si spiega con l’egemonia indiscussa dello storicismo (falso umanesimo sotto forma di provvidenzialismo storico) da una parte e, dall’altra, per il fatto che il solo antagonista a quella corrente fosse stato il dellavolpismo (antiumanesimo sotto forma di scientismo soggettivizzante). Oggi che camminiamo sulle macerie di entrambi è possibile, anzi doveroso recuperare a acquisire il discorso teorico di Bloch, poiché esso ci offre non solo una chiave di lettura sulla natura del marxismo, ma una possibile via d’uscita dalle secche della crisi in cui esso è ancora impantanato.
La chiave di volta del pensiero blochiano è la “filosofia della speranza” o, per essere più precisi, l’ontologia del non-ancora. Se la natura è “materia in fermento”, un processo sempre incipiente e teso a realizzare la propria compiutezza; nell’uomo questa cosmica spinta-in-avanti si esprime come desiderio, speranza, ovvero come tensione e lotta verso il possibile, il futuro, ciò che non-é-ancora. In questo senso il sogno, l’attesa e l’utopia non rappresentano solo una delle modalità dell’essere umano, esse sono la dimensione fondamentale dell’essere medesimo. L’uomo è, ontologicamente, un animale utopico per eccellenza. Ad un secolo dal passaggio del socialismo “dall’utopia alla scienza”, e visti i crimini compiuti sotto questa fallace bandiera del realismo politico, Bloch ha provato a rovesciare il discorso, ponendo la necessità, solo apparentemente idealistica, dell’inversione del socialismo: dalla scienza all'utopia.
E per questo si è tanto discettato sulla plausibilità del marxismo blochiano. Noi pensiamo che Bloch non abbia solo colto correttamente il costitutivo umanesimo del discorso di Marx; egli ha sottolineato un aspetto non meno decisivo: l’elemento trascendente nella teoria rivoluzionaria, non solo in quanto il pensare è sempre “varcare le frontiere”: l’intera realtà, in quanto divenire in atto, è infatti costitutivamente proiettata oltre l’esistente, quindi verso l’utopia. Né questo impediva a Bloch di sottolineare la centralità della prassi sociale e politica, anzi, in quanto proprio la prassi rivoluzionaria ha il compito di attuare la possibile pienezza che si cela nel caos e nelle contraddizioni del presente.
Dall'utopia alla scienza andata e ritorno
di Piemme
Nel momento in cui il marxismo sembrava toccare il suo apogeo come “movimento reale che distrugge lo stato di cose esistenti”, quando le armate di Stalin dilagavano in Europa e la rivoluzione vinceva in Cina e Iugoslavia, esso conosceva sul piano teoretico, una seconda crisi, ancor più profonda di quella della fine dell’800, inizi ‘900. Era il periodo in cui il Diamat si affermava come “scienza delle scienze”, come ideologia di legittimazione del “socialismo reale”.
Ma proprio in quel periodo, segnato dalla sterile contrapposizione dottrinaria sul mero piano della politica tra stalinismo e trotzkysmo, venivano gettati i semi per la rinascita del pensiero marxista, una rinascita a tutt’oggi incompiuta, anche perché, paradossalmente, l’illusione ottica rappresentata dal ‘68, contribuì a quello che è stato un sostanziale congelamento.
Dal punto di vista della decostruzione-ricostruzione di un’organica teoria rivoluzionaria,
Enst Bloch rappresenta senz’altro uno dei più grandi pensatori marxisti di questo secolo. Il suo è senza dubbio un pensiero radicale, più precisamente la forma più estrema di umanesimo, un umanesimo integrale. In Italia Bloch ha avuto poca fortuna, e ciò si spiega con l’egemonia indiscussa dello storicismo (falso umanesimo sotto forma di provvidenzialismo storico) da una parte e, dall’altra, per il fatto che il solo antagonista a quella corrente fosse stato il dellavolpismo (antiumanesimo sotto forma di scientismo soggettivizzante). Oggi che camminiamo sulle macerie di entrambi è possibile, anzi doveroso recuperare a acquisire il discorso teorico di Bloch, poiché esso ci offre non solo una chiave di lettura sulla natura del marxismo, ma una possibile via d’uscita dalle secche della crisi in cui esso è ancora impantanato.
La chiave di volta del pensiero blochiano è la “filosofia della speranza” o, per essere più precisi, l’ontologia del non-ancora. Se la natura è “materia in fermento”, un processo sempre incipiente e teso a realizzare la propria compiutezza; nell’uomo questa cosmica spinta-in-avanti si esprime come desiderio, speranza, ovvero come tensione e lotta verso il possibile, il futuro, ciò che non-é-ancora. In questo senso il sogno, l’attesa e l’utopia non rappresentano solo una delle modalità dell’essere umano, esse sono la dimensione fondamentale dell’essere medesimo. L’uomo è, ontologicamente, un animale utopico per eccellenza. Ad un secolo dal passaggio del socialismo “dall’utopia alla scienza”, e visti i crimini compiuti sotto questa fallace bandiera del realismo politico, Bloch ha provato a rovesciare il discorso, ponendo la necessità, solo apparentemente idealistica, dell’inversione del socialismo: dalla scienza all'utopia.
E per questo si è tanto discettato sulla plausibilità del marxismo blochiano. Noi pensiamo che Bloch non abbia solo colto correttamente il costitutivo umanesimo del discorso di Marx; egli ha sottolineato un aspetto non meno decisivo: l’elemento trascendente nella teoria rivoluzionaria, non solo in quanto il pensare è sempre “varcare le frontiere”: l’intera realtà, in quanto divenire in atto, è infatti costitutivamente proiettata oltre l’esistente, quindi verso l’utopia. Né questo impediva a Bloch di sottolineare la centralità della prassi sociale e politica, anzi, in quanto proprio la prassi rivoluzionaria ha il compito di attuare la possibile pienezza che si cela nel caos e nelle contraddizioni del presente.
Il marxismo era per Bloch la forza concreta che avrebbe potuto condurre l’umanità a realizzare le aspirazioni universali alla libertà individuale e alla giustizia sociale. Questo utopismo Bloch lo chiamava “corrente calda” del movimento comunista, a distinguerla dalla “corrente fredda” del marxismo, quella votata all’analisi scientifica dei meccanismi della riproduzione sociale. Contrariamente ad una rozza interpretazione, Bloch non disprezzava affatto la “corrente fredda”, né sottovalutava la centralità dell’analisi scientifica, solo che egli faceva poggiare quest’ultima sulla base ontologica del telos, dell’utopia connaturata all’essere umano e al suo fare, dell’attesa: «L’azione del marxismo, analitica di una situazione, è intrecciata con quella che infiamma la prospettiva. (...) Proprio quest’analisi delle condizioni su tutto l’arco storico-situazionale, così come lo smascheramento dell’ideologia e il disincanto dello splendore metafisico, appartiene a quell’utilissima corrente fredda del marxismo» (E. Bloch, Il principio speranza).
Ciò ci conduce ad un altro prezioso contributo di Bloch, relativo all’ideologia e alla critica dell’ideologia. Egli sviluppa il classico discorso marxiano sull’ideologia come coscienza falsa e deformata della realtà. Similmente a Gramsci per Bloch questo è certamente vero, ma solo se specifichiamo che l’ideologia è propria di chi rifiuta di guardare al presente alla luce delle possibilità future, ipostatizza l’esistente e lo scambia per la realtà definitiva, precludendosi così la conoscenza effettiva della realtà. E dunque non è vero che la filosofia sia un una mera forma ideologica mentre: «La filosofia o avrà coscienza del domani e sarà sapienza della speranza, prendendo partito per il futuro, o non avrà più alcuna conoscenza» (ibidem).
La comprensione dell’ideologia ci avvicina al profondo ragionamento blochiano sulla religione, alla sua critica dell’ateismo triviale e falsamente rivoluzionario.
Bloch non si limita a porre l’istanza del rivoluzionamento delle strutture sociali. Il suo radicale umanesimo lo spinge a concepire la rivoluzione come un evento escatologico, l’annuncio messianico del mondo nuovo. Da questa angolatura egli riconsidera la religione, che non è solo alienazione, estraniazione, fuga dal mondo. Accanto alla religione come instrumentum regni che addormenta le coscienze e che incatena gli uomini ad un ordine nel quale i potenti esercitano il loro dominio in nome di Dio; c’è un lato sovversivo della religione medesima, la spinta a trascendere la situazione esistente nella direzione del “regno della libertà”.
Ciò ci conduce ad un altro prezioso contributo di Bloch, relativo all’ideologia e alla critica dell’ideologia. Egli sviluppa il classico discorso marxiano sull’ideologia come coscienza falsa e deformata della realtà. Similmente a Gramsci per Bloch questo è certamente vero, ma solo se specifichiamo che l’ideologia è propria di chi rifiuta di guardare al presente alla luce delle possibilità future, ipostatizza l’esistente e lo scambia per la realtà definitiva, precludendosi così la conoscenza effettiva della realtà. E dunque non è vero che la filosofia sia un una mera forma ideologica mentre: «La filosofia o avrà coscienza del domani e sarà sapienza della speranza, prendendo partito per il futuro, o non avrà più alcuna conoscenza» (ibidem).
La comprensione dell’ideologia ci avvicina al profondo ragionamento blochiano sulla religione, alla sua critica dell’ateismo triviale e falsamente rivoluzionario.
Bloch non si limita a porre l’istanza del rivoluzionamento delle strutture sociali. Il suo radicale umanesimo lo spinge a concepire la rivoluzione come un evento escatologico, l’annuncio messianico del mondo nuovo. Da questa angolatura egli riconsidera la religione, che non è solo alienazione, estraniazione, fuga dal mondo. Accanto alla religione come instrumentum regni che addormenta le coscienze e che incatena gli uomini ad un ordine nel quale i potenti esercitano il loro dominio in nome di Dio; c’è un lato sovversivo della religione medesima, la spinta a trascendere la situazione esistente nella direzione del “regno della libertà”.
In particolare Bloch legge, nella Bibbia e specialmente nel cristianesimo, una volta abbandonata l’interpretazione clericale, la storia del cammino dell’umanità verso la sua “identità nascosta”, verso la sua propria liberazione e realizzazione. Cristo è il simbolo dell’uomo che reclama il proprio carattere divino, liberando gli oppressi dall’idea di un Signore del cielo che delega ai signori di questo mondo di dominarli. Non deve stupire dunque che Bloch affermi che la religione, e soprattutto la Bibbia e i Vangeli, debbano essere presi in eredità dai comunisti, in quanto portatrici di una radicale esigenza di felicità e di ricerca di sé da parte dell’uomo. Bloch interpreta infine la natura umana di Cristo trasmessaci dai Vangeli come una negazione del Dio trascendente e in questo scorge l’ateismo di fondo implicito nel cristianesimo. Di più: « Dove c’è speranza c’è religione. (...) Solo un ateo può essere un buon cristiano, ed anche: solo un cristiano può essere un buon ateo. (...) L’ateismo è il presupposto dell’utopia concreta, così come la concreta utopia è l’irrinunciabile implicazione dell’ateismo. L’ateismo e la concreta utopia sono insieme, nello stesso atto fondamentale, l’annientamento della religione e la sua speranza eretica che cammina su piedi umani». (E. Bloch, Ateismo e nel cristianesimo).
Di contro alle semplificazioni di certi critici volgari Bloch, resta dunque solidamente nel solco dell’ateismo materialistico, certo, in particolare quello di Feuerbach, ma sempre nel quadro del riferimento al marxismo come guida per la prassi rivoluzionaria degli oppressi.
Dobbiamo quindi dire grazie a Bloch se oggi noi possiamo sbarazzarci senza esitazioni del senso di colpa che una certa critica liberale borghese ci ha appiccicato addosso, la critica, lanciataci come se fosse uno sfregio, per cui il marxismo sarebbe figlio dell’escatologismo cristiano. Si, il marxismo non ha solo “tre fonti e tre parti integranti”; noi siamo anche eredi della speranza biblica, ma trasposta ereticamente, materialisticamente messa sui propri piedi. In questo non c’è nulla di spregevole, anzi, fa del comunismo qualcosa di imbattibile, perché punto d’approdo di un lungo cammino, la realizzazione dell’utopia più alta e tenace che l’umanità abbia serbato in seno: quella della liberazione dalla catene irragionevoli dello sfruttamento e dell'oppressione.
Infine: è anche grazie a Bloch se oggi possiamo capire, interpretare e dialogare con l’Islam, che non è solo un fattore imprescindibile della realtà mondiale, ma la cui spinta sovversiva, nonostante tutti i limiti, è uno degli elementi vivificanti della lotta antimperialista mondiale.
Di contro alle semplificazioni di certi critici volgari Bloch, resta dunque solidamente nel solco dell’ateismo materialistico, certo, in particolare quello di Feuerbach, ma sempre nel quadro del riferimento al marxismo come guida per la prassi rivoluzionaria degli oppressi.
Dobbiamo quindi dire grazie a Bloch se oggi noi possiamo sbarazzarci senza esitazioni del senso di colpa che una certa critica liberale borghese ci ha appiccicato addosso, la critica, lanciataci come se fosse uno sfregio, per cui il marxismo sarebbe figlio dell’escatologismo cristiano. Si, il marxismo non ha solo “tre fonti e tre parti integranti”; noi siamo anche eredi della speranza biblica, ma trasposta ereticamente, materialisticamente messa sui propri piedi. In questo non c’è nulla di spregevole, anzi, fa del comunismo qualcosa di imbattibile, perché punto d’approdo di un lungo cammino, la realizzazione dell’utopia più alta e tenace che l’umanità abbia serbato in seno: quella della liberazione dalla catene irragionevoli dello sfruttamento e dell'oppressione.
Infine: è anche grazie a Bloch se oggi possiamo capire, interpretare e dialogare con l’Islam, che non è solo un fattore imprescindibile della realtà mondiale, ma la cui spinta sovversiva, nonostante tutti i limiti, è uno degli elementi vivificanti della lotta antimperialista mondiale.
1 commento:
Il "non ancora" impegna concretamente l'opera umana, nel recepire non un'ideale che sfugge alla storia, ma accoglienza il farsi della forza della speranza nell'esperienza umanizzante che coinvolge ogni uomo, al di là del pregiudizio e del preconcetto di sè. In questo senso, l'ateismo è la vera religione, e sta alla base delle ulteriori scelte dell'umanità. Senza questa garanzia, il "non ancora" che anima il muoverso del progresso umano non avviene, e si resta semplicemente nell'illusione del "già dato", che diventa così l'"oppio del popolo".
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