Il Re Idris, deposto da Gheddafi |
di Essere Comunisti*
Di seguito intervento di una delle correnti interne a Rifondazione, quella guidata da Claudio Grassi. Due domande: si può giudicare la natura di una sollevazione dalle bandiere che alcuni manifestanti espongono? Liquidarla quindi come essa fosse reazionaria? Seconda: possibile che tutte le forze di Resistenza arabe e persiane, compresi i vari partiti comunisti dell'area, che chiedono invece la fine della dittatura, si sbaglino tutti quanti?
Sarà. Ma veder sventolare il tricolore di re Idris non solo a Bengasi ma anche qui davanti alla sede dell’ambasciata libica a Roma, desta qualche stupore; rafforzato da articoli (Corriere della Sera, 1 marzo) che, riesumando «il ricordo del saggio e tollerante re Idris», si chiedono se, casomai, per la Libia, «l’opzione monarchica non fosse l’ultima via di uscita».Il saggio e tollerante re Idris. Tollerante, il primo re di Libia - il discendente della Confraternita dei Senussi e già emiro della Cirenaica per grazia di Sua Maestà Britannica - lo fu sicuramente. Soprattutto nei confronti delle potenze straniere, Inghilterra e Stati Uniti in special modo.
Un passato di lotta contro il colonialismo italiano; la guerra al fianco degli Alleati durante la Seconda guerra mondiale; l’insediamento del suo governo a Bengasi dopo la sconfitta di Rommel; l’unificazione e l’indipendenza del paese negoziate con il Regno Unito e l’Onu. E infine la proclamazione a re il 24 dicembre 1951: una storia l’ex re libico ce l’ha.
Fu però sempre un re a scartamento ridotto. E, la sua, una nazione “indipendente” ma a certe condizioni, vale a dire col benestare di ben note potenze straniere. Un re su mandato, rimasto tale per tutti i diciotto anni in cui ha regnato. La “sua” Libia era allora uno dei paesi più affamati e poveri del mondo, totalmente priva di risorse, con un’agricoltura ridotta ai minimi termini in terra pressochè desertica: la condizione perfetta, in sostanza, perché anche l’indipendenza e la riunificazione - alla fine graziosamente concesse - diventassero più simili a un cappio al collo che a una liberazione. Così fu; i Paesi forti lo tennero ben stretto, il re dei Senussi. E lui del resto ci si trovò a suo agio. Volonteroso collaboratore.
Quei poveri due milioni scarsi di libici delle tre province (Cirenaica, Tripolitania, Fezzan) ormai riunite, crepavano di miseria e malattie; ma subito dopo la sua incoronazione, nell’ambito del biennio 1952-1954, il signor Idris si affretta a firmare: 1)un Trattato di alleanza militare anglo-libico con base a El Adem (Tobruk); 2) un Accordo ventennale per la concessione della base aerea di Wheelus Field (Tripoli) agli Usa.
Semplice. In pratica, la Libia di Idris diventa una postazione di importanza strategica per gli Anglo-americani nel Mediterraneo. Postazione che rimane intoccabile anche durante la crisi di Suez. Il mondo arabo è bensì in fermento a fianco dell’Egitto e la stessa opinione pubblica libica è schierata contro l’attacco di Israele-Francia-Inghilterra, gli studenti scendono in piazza; ma le basi non vengono toccate. Idris deve sì, obtorto collo, dichiarare che esse non saranno mai usate per attaccare «uno stato arabo fratello»; ma nei fatti niente cambia. Gran Bretagna e Usa lì restano ottimamente.
Tanto più che nel 1959 c’è la scoperta del secolo: l’esistenza nel sottosuolo di Bir Zelten (Cirenaica) di un ricchissimo giacimento di petrolio, l’oil forsennatamente bramato dall’Occidente. A darne notizia al Dipartimento di Stato americano non a caso è la Standard Oil New Jersey, già prontamente sul campo. Petrolio in Libia, wonderful, mai più senza; c’è immediatamente un arrembaggio multiplo, Gran Bretagna e Usa in testa, per mettere le mani su quell’immenso bottino d’oro, celato in infima terra. A tal scopo, resta fondamentale - lo capirebbe chiunque - riuscire a mantenere in loco le basi militari e «a fare in modo che la Libia sia ancora più vicina al campo occidentale», costringendovela in varie maniere, (per esempio soggiogandola con gli “aiuti” economici, come ben dicono in proposito precisi documenti del Foreign Office).
Impresa perfettamente riuscita, la corte di re Idris mantiene sempre la dovuta sincronia con il campo occidentale. Nonostante Nasser; nonostante gli oppositori interni. Nel gennaio 1964 le principali città libiche vedono infatti gli studenti scendere in piazza a sostegno del Vertice dei Paesi arabi in corso al Cairo, gli slogan gridano anche abbasso il governo Idris, abbasso la monarchia: la risposta sono le cariche della polizia e la destituzione del primo ministro del tempo considerato troppo poco filo-occidentale. Piuttosto di cedere sulle basi angloamericane, Idris preferisce fare la mossa dell’abdicazione (prontamente respinta); e nemmeno la Guerra dei Sei Giorni (1967) lo smuove, anche se ancora una volta un movimento di opposizione scuote il paese. Il re è però ormai in difficoltà; e a poco gli servono le dimissioni che ancora una volta impone al suo nuovo primo ministro, colpevole di essere troppo riformista; nell’esercito di lì a poco incominciano le proteste degli “ufficiali liberi”.
Allarme. Che fa il signor Idris? Siamo nel luglio 1969 e, d’accordo con gli inglesi, non trova di meglio che ampliare e rafforzare la Cydef (Cyrenaican Defence Force), il corpo di polizia militare da sempre fedele alla monarchia, dotandolo di armi pesanti in grado di far fronte a eventuli rivolte tra i militari. Il 4 agosto, visto la piega degli avvenimenti, cerca di salvare il salvabile, impegnandosi ad abdicare a favore del nipote. In data 5 settembre.
Fuori tempo. Il 1 settembre un certo Muammar Gheddafi coi suoi “ufficiali liberi” prende il potere, cogliendo tutti di sorpresa. Il re è ad Atene e, dalla Grecia, tramite il suo consigliere personale Omar Shelh, lancia un ultimo appello: non al suo popolo, bensì agli inglesi, perché intervengano «a ristabilire l’ordine».
Invano. Quell’“inopportuno” capitano, poi subito colonnello, ha già vinto; già entro la fine di quello stesso 1969 ha smantellato le basi anglo-americane. E non basta. Prende subito ad attaccare quelle rapaci compagnie petrolifere, le più grandi del mondo, che succhiano la ricchezza del paese; pretende percentuali sempre più remunerative; impone un nuovo prezzo del greggio; crea una inedita commissione governativa a sovrintendere sull’intera faccenda dell’oro nero libico e vi mette a capo quel maggiore Jallud che con i predatori occidentali non è proprio tenero.
Quell’infame di Gheddafi. Giugno 1973, quarto anno della Rivoluzione: la nazionalizzazione del petrolio libico ha raggiunto il 51 per cento. Il restante 49 è messo a segno l’anno dopo, febbraio 1974. Finito, la Libia non è più «a disposizione».
L’infame. E tutto in soli cinque anni (duro da mandar giù, vero, Usa&Company?). Non c’è dubbio, la inopinata ricomparsa di un re Idris (o facsimile) sarebbe fantastico: le basi anglo-americane -in una Libia magari oculatamente spezzettata - tornerebbero al loro posto. E le compagnie petrolifere pure.
Miracolo!
1 commento:
1) "si può giudicare la natura di una sollevazione dalle bandiere che alcuni manifestanti espongono?"
Non "alcuni", TUTTI.E comunque, la risposta è sì. perché, s evedeste manifestanti con la falce e il martello, non credete che la nostra valutazione sarebbe un tantino diversa?
2) "possibile che tutte le forze di Resistenza arabe e persiane, compresi i vari partiti comunisti dell'area, che chiedono invece la fine della dittatura, si sbaglino tutti quanti?"
E perché non sarebbe possibile? Non vorrei apparire cinico, ma le forze antimperialiste arabe le hanno cannate tutte in questi utlimi anni, mi pare. E poi: chi non chiederebbe "la fine della dittatura?" Qui non si tratta di sposare Qaddafi, ma di riflettere sull'alternativa. Non è lo stesso ragionamento che di solito su questo sito si applica all'Iran?
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