[ 15 febbraio 2019 ]
«La rivoluzione è definitivamente compiuta ma
solo nella sua testa»
Se ci occupiamo ancora del
Negri-pensiero [l'ultima volta lo abbiamo fatto criticando le analisi
negriane del movimento dei Gilet gialli, ndr] è perché abbiamo
ancora a cuore K. Marx e vogliamo fare i conti teorici con la sua titanica
prospettiva filosofica e rivoluzionaria. Negri rappresenta il possibile approdo
deterministico e astrattamente indeterminato (in quanto privo di determinazioni)
del pensiero di Marx. Egli stiracchia il pensiero del genio di Treviri in un
senso ancora più positivistico, teologico, storicistico di quanto questi
caratteri non siano già presenti in esso — come da me già evidenziato in Andare
oltre Marx Prima parte,Seconda
parte e Terza parte.
Individueremo nel pensiero di Negri tre criticità: il determinismo evoluzionistico, l’astrattezza, l’uso disinvolto della categoria della totalità.
Se per Marx il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente, per Negri il comunismo sarebbe già presente nel “Comune”, ma nessuno ahimé se n'e’ accorto. Il comune diventa il bruco che attende di erompere nella storia come farfalla, squarciando la crisalide dei limiti innaturali ed antistorici imposti dal modo di produzione capitalistico.
Se per Marx nel concetto di capitale è immanente la contraddizione tra molti capitali (contraddizione che spesso diventa antagonistica nella forma della guerra), nella categoria di Impero, Negri, come un prestigiatore, fa evaporare i conflitti intercapitalistici e prefigura un sistema-mondo dove svanisce la dimensione conflittuale insita nel capitale, ovvero la divisione tra capitali, e l’unica linea di frattura si realizzerebbe tra impero e moltitudine. Il sistema-mondo sembra palesarsi come una immensa ed unica società per azioni che si alimenta col lavoro sfruttato della moltitudine ma non conosce più antagonismo tra frazioni del capitale e tra stati-nazione, destinati ad essere assorbiti nell’indistinto della totalità capitalistica.
L’impero sarebbe caratterizzato da un nuova forma di sovranità, differente da quella dei vecchi stati nazione imperialistici. Essa si manifesta nel comando imposto da organismi sovranazionali come il FMI, la Banca mondiale, la Trilaterale, Bieldelberg, nei quali si configura una nuova governance mondiale, una sorta di capitalista politico collettivo sovranazionale, che rappresenta non più stati o gruppi egemoni ma flussi indifferenziati, reti interconnesse e comunicanti di capitali senza patria. Una versione sofisticata della tesi kautskyana del super-imperialismo.
«L’imperialismo fu una vera e propria proiezione della sovranita’ degli stati nazione europei al di la’ dei loro confini mentre al contrario dell’imperialismo, l’impero non stabilisce alcun centro di potere e non poggia su confini e barriere fisse”…..”l’imperialismo e’ finito. Nessuna nazione sara’ leader mondiale, nel modo in cui lo furono le nazioni europee moderne». [Impero, ed Rizzoli pag. 14]
Ora io dico: la forza di una teoria è nella sua capacità di formulare valide categorie interpretative del presente, di svelare concettualmente le tendenze e le leggi di sviluppo del reale. Lascio a voi decidere quale sia, tra Impero ed Imperialismo la categoria più pertinente a descrivere gli eventi mondiali degli ultimi 17 anni, il tempo che è trascorso dalla stesura del libro-best-seller di Negri. Dalla guerra in Iraq fino al tentativo di colpo di Stato in Venezuela con tanto di dichiarazione di aggressione imminente di questi giorni, non è stato forse l’imperialismo americano con le sue barriere e i suoi confini territoriali (che ora Trump vuole pure rafforzare con muri e nuovo protezionismo) a dettare le danze della politica mondiale? Il centro di potere dell’Occidente è ubiquitario o è ancora a New York? Gli organismi sovranazionali non hanno come socio di maggioranza proprio l’imperialismo statunitense?
A chi gli fece notare queste aporie Negri rispose approssimativamente con queste parole:
«la politica americana di questi anni e’ un colpo di coda, un rinculo del vecchio imperialismo».
…….risate oceaniche …..
Se per Marx e ancora più per Lenin e per i pensatori terzomondisti, a fondamento dell’imperialismo c'era la divisione tra centri e periferie, l’accumulazione originaria delle roccaforti colonialiste che espropria con la violenza e il terrore le periferie di materie prime e forza-lavoro, per Negri lo spazio-tempo del capitale si uniforma nel piano inclinato dell’impero, la merce e il capitale si fanno merce e capitale mondiale, globale; il centro si sposta nelle periferie e le periferie nel centro creando un tutto omogeneo ed indistinto. E’ la notte hegeliana in cui le vacche diventano tutte nere. E’ pur vero che la verità è nel tutto ma sottilineo un tutto non indifferenziato bensì ricco di determinazioni, di conflitti, di antagonismi, di ineguale sviluppo-dipendenza. Dalla leniniana analisi concreta della situazione concreta, dal marxiano flusso concettuale astratto-concreto e concreto-astratto siamo passati in Negri all’astratto-astratto, all’astratto indifferenziato!
«tra gli Stati Uniti e il Brasile, tra la Gran Bretagna e l’India non ci sono differenze essenziali, ma soltanto differenze di grado». [Impero, Ibidem. Pag 311-31]
Avete capito bene? Differenze di grado! Negri, riprendendo e stirando un vecchio assunto (sbagliato) di Marx, quello per cui le aree più ricche e sviluppate del mondo avrebbero indicato a quelle più arretrate il loro futuro, giunge all'estrema conclusione che non ci sarebbe oramai più né asimmetria né sviluppo antagonistico tra aree, ma semmai solo ritardo nella corsa ad uniformarsi nell’indifferenziato. E’ la tesi liberale e marginalista alla base della fantomatica teoria dei “paesi in via di sviluppo” degli anni 50 a cui il pensiero marxista, con Samir Amin, Gunther Frank e poi Wallerstein, contrappose la teoria della dipendenza e del sottosviluppo.
Se Marx faceva intendere che le forze produttive, nella fase di decadenza storica del modo di produzione capitalistico, possono tramutarsi in forze distruttive, e lo scontro di classe rovesciarsi nella possibile “comune rovina della classi in lotta” (Nuovo Medioevo), Negri, afferrato da un inguaribile ottimismo antropologico, glorifica ogni passo in avanti della tecnica e si spinge scandalosamente fino ad esaltare la trionfale marcia della globalizzazione.
«Insistiamo a sostenere che la costruzione dell’impero rappresenta un passo in avanti, sosteniamo che l’impero è meglio di ciò che l’ha preceduto».
E’ un caso che in nessuno dei 4 libri (Impero, Moltitudine, Comune ed Assemblea) non si faccia mai riferimento alla catastrofe ecologica, alla uomo alienato e ad una dimensione, alle solitudini digitali, alle immense forze distruttive scatenate da uno sviluppo deforme e impazzito delle economie capitalistiche? No non e’ un caso! E’ una scelta premeditata, frutto della weltanschaung di un intellettuale oramai diventato coscienza critica dell’Impero...ops dell’imperialismo. Organico ad esso come organici agli oppressori sono sempre stati i preti di ogni religione, predicatori del paradisiaco benessere, ma solo nell’al di là.
Fasi di crescita, sviluppo e decadenza del modo di produzione non sono mai prese in considerazione da Tony Negri, che vede solo una ascesa ininterrotta, lineare e irresistibile del Comune, (delle forze produttive sociali biopolitiche, cooperative, cognitive ed immateriali), fino al punto di rottura rivoluzionario che spazza via il vampiro capitalista diventato rentier. Prigioniero nel perimetro di pensiero illuminista, positivista e idealista, Negri concepisce la storia umana come l’ineluttabile affermarsi, alle spalle delle volontà individuali, collettive e dei singoli stati-nazione, della mano invisibile della ragione-moltitudine-progresso!
Ma cosa è questa Moltitudine? E’ il general intellect. Anche questo come l’Impero (ma lo vedremo nella seconda parte) è terreno e deposito concettuale dell’indifferenziato astratto. Ci basti solo dire, per concludere, che dei due colossi che si affrontano nella storia l’Impero e la moltitudine, il primo è destinato a soccombere alla forza impetuosa del secondo, che è la vera variabile indipendente della storia a cui tutto sarebbe destinato a soggiacere. Siamo ancora nel Tronti-pensiero di “Operai e capitale”, che Tronti, per inciso, per primo ha abbandonato: Il capitale sviluppa la tecnica come reazione alle lotte operaie, alla forza antagonista del capitale variabile che è la vera variabile indipendente e la sola forza motrice del progresso storico. La moltitudine avrebbe la capacità di organizzare autonomamente e orizzontalmente la produzione e la cooperazione ed essa possiede gli strumenti per una decisione politica collettiva, senza l’intervento di una direzione politica che la egemonizzi. Senza i famosi... leader. Di qui la viscerale opposizione di Negri al Populismo (di destra o di sinistra non ha importanza) a cui preferisce l’avanzare le “potenti forze progressive del globalismo”.
«mentre il popolo è forgiato come un soggetto unitario da un potere sovrano che sovrasta il sociale, la moltitudine si forma come un’articolazione su un piano di immanenza che non è sussunto da una egemonia» [ Comune, pag 174 ]
Nell’ultimo libro da poco uscito Assemblea, Negri sentenzia:
«La strategia ai movimenti, la tattica ai leader».
[ Assemblea, pag 39 ]
Mi viene da pensare: la rivoluzione è definitivamente compiuta ma solo nella sua testa.
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4 commenti:
Costanzo Preve contro Toni Negri
https://www.youtube.com/watch?v=v4j41lmuJ74
Si tratta di astrazioni, di teoria non supportata dalla prassi e totalmente scollegata dalla realtà concreta...Da un certo punto di vista, l'astrattismo di Negri gareggia con quello dei più grandi metafisici (nonchè degli idealisti...)...Le sue teorie sono una sorta di fenomenologia del suo pensiero...una sorta di visione escatologica impregnata di "progressismo" e "neo-positivismo" e naturalmente di fiducia illimitata, di fatto di tipo religioso anche se secolarizzata, nel progresso illimitato...Che dire...Mi viene appunto da dire "Beato lui". Non c'è molta differenza fra uno come lui e uno che crede ciecamente in Dio padre onnipotente...Lo dico seriamente, non è una battuta...
Fabrizio Marchi
Si tratta di astrazioni, di teoria non supportata dalla prassi e totalmente scollegata dalla realtà concreta...Da un certo punto di vista, l'astrattismo di Negri gareggia con quello dei più grandi metafisici (nonchè degli idealisti...)...Le sue teorie sono una sorta di fenomenologia del suo pensiero...una sorta di visione escatologica impregnata di "progressismo" e "neo-positivismo" e naturalmente di fiducia illimitata, di fatto di tipo religioso anche se secolarizzata, nel progresso illimitato...Che dire...Mi viene appunto da dire "Beato lui". Non c'è molta differenza fra uno come lui e uno che crede ciecamente in Dio padre onnipotente...Lo dico seriamente, non è una battuta...
Fabrizio Marchi
Bravissimo Fabrizio, mi sono sempre chiesto come abbiano fatto a dargli tanto credito teorico negli anni 70, la perìodizzazione storicistica della sussunzione dall'operaio massa alla moltitudine, passando per l'operaio sociale e' una cagata pazzesca come la battuta di Fantozzi sulla corazzata potemkin.
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