Benedetto Croce |
Riceviamo e volentieri pubblichiamo
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In riferimento al saggio filosofico politico pubblicato in questo sito — L’emigrazione e il dilemma etico-politico — si impongono talune brevi, speriamo sintetiche, riflessioni. Lo sforzo dell’autore sembra tutto intento nel programma della possibilità concreta dell’eticizzazione dell’azione politica, l’autore ritenendo in sostanza esistere un “fine buono” che possa eventualmente nobilitare l’uso, limitato e circoscritto, di mezzi amorali. Il suo bersaglio diretto è dunque la filosofia crociana neo-machiavelliana, che sarebbe troppo cinica col suo iper-realismo politicistico.
La filosofia dello Spirito crociano è la filosofia più radicalmente politica e storica che vi possa essere, ben oltre l’hegelismo e l’attualismo gentiliano, i quali non espellono dalla propria sostanza uno spiritualismo teologico trascendentistico di sostanza “provvidenzialistica” o deterministica, secondo i rispettivi punti di vista.
La stessa critica si potrebbe fare all’escatologismo
marxista, sebbene Marx, considerato da Croce “il Machiavelli del proletariato”, colui che nonostante tutto non
riuscirà mai a risolvere il suo debito con la teologia neo-luterana di Hegel,
pone però a cavallo dello spirito concreto del lavoratore, nella filosofia della prassi dunque, il
destino della storia. Croce, come dice giustamente Del Noce, è viceversa “un vichiano dopo Hegel”.
Sia secondo Croce, sia secondo Gentile la filosofia
moderna non si identifica affatto con l’Hegel neoriformatore luterano, ma nasce
in Italia col Rinascimento. Sia Kant sia Hegel sviluppano il pensiero di Bruno
e di Vico, riprendono per la loro concezione del mondo decisivi elementi
sostanziali dei filosofi italiani rinascimentali e Burckhardt non a caso
definì gli italiani il popolo più moderno e più evoluto d’Occidente. La
frattura tra Medioevo e modernità nasce dunque in Italia e questo ai fini
specifici del tema affrontato è fondamentale perché ne va della connessione tra
trascendenza ed immanenza e poi di quale immanenza si tratta di mettere in
campo.
Gentile e Croce, a differenza di Hegel, di Neumann e di
Weber, concepiscono l’Umanesimo italiano come ben più rivoluzionario della
Riforma tedesca: il fondatore dell’attualismo,
ad esempio, ritiene che per la prima volta nella storia, il pensiero pratico si
scinde totalmente dalla trascendenza teologico-religiosa medioevale e gli
umanisti, pur usando le armi del pensiero classico, aprono una nuova epoca
dello Spirito: il regnum hominis,
l’umanismo vero e proprio. L’Umanesimo gentiliano è però tutt’altra cosa da
quello crociano. L’Umanesimo di Gentile si risolverà definitivamente, dal 1937
sino alla morte del filosofo siciliano, in Umanesimo
del lavoro, un’altra forma di marxismo dunque, quella attualistica di
Gentile, quello crociano, nel momento più alto del filosofare crociano, che a
mio modesto avviso va dai primi anni del ‘900 ai primi anni Venti, si
concretizza invece come Umanesimo
storicistico che afferma la somma spiritualità dell’atto politico dello
statista o dell’eroe.
Quella di Croce, come quella vichiana, è una filosofia
assolutamente pratico-eroica. Lo spiritualismo più alto, storicamente causa di
maggiori effetti morali, è dunque per Croce quello dello statista, del politico
maestro di tattica o del guerriero che si sacrifica per l’ideale di Nazione o
di Stato. La differenza è sostanziale.
Croce non è dunque un rappresentante filosofico dell’homo sapiens, come sostiene erroneamente
Del Noce riprendendo l’interpretazione gentiliana, è invece un teorico della
filosofia delle Opere e lo spirito può vivere esclusivamente nell’azione
storica. La realtà è tutto Spirito, nello storicismo
assoluto, si invera perciò, nel divenire, la presenza immanentistica d’un
momento economico nella vita spirituale. Storia come realtà originaria d’una
pura Forza, che significa antagonismo assoluto sia all’empirismo sia
all’illuminismo massonico-borghese (il più grande nemico del Croce politico,
quest’ultimo, si ricorderanno le sue dure polemiche contro la “mentalità
massonica”), al giusnaturalismo e al contrattualismo razionalistico; storia
come campo di battaglia di interessi politici religiosi reali, che possono
essere espressione di una saggia politica, ove predomina la categorizzazione
spirituale dell’interesse e dell’utile, o di una cattiva politica, ove il
momento economico sommerge tutto il resto. L’humanitas crociana è tutta caratterizzata dal tentativo di
affermare storicamente la prassi umanistica come Volontà spirituale in atto
(politica pura). Scopo della filosofia pratica crociana non è dunque l’
“intelligere” (come dicono Gentile e, di seguito, Del Noce), ma è la salvezza
dello Stato facitore di Grosse
politik, come concreta opera storica, dalla democrazia parlamentaristica
(l’oligarchia demagogica di paretiana memoria), che degrada sistematicamente la
politica ad un astratto conflitto interno consacrato da una ideologia
legalitaria costituzionale di radice giacobina, giusnaturalista e umanitaria.
Croce scrive a Douglas Ainslie il 22 ottobre 1917:
«Il Marx aveva tolto l’idea di potenza alla politica internazionale, e l’aveva trasportata alla lotta di classe. Criticando il marxismo, io restituii quella idea dalle classi alla grande politica di Stato».
Nel 1911 Croce dichiara la vittoria della sua filosofia
politica storicista e spirituale sul materialismo marxista. Dunque Machiavelli.
Dunque Vico. Ma che vuol dire allora autonomia della Politica? Che vuol dire
che il Rinascimento rivoluzionario italiano apre il grande ciclo storico della
pura humanitas? Vuol dire
veramente che il Machiavelli crociano distrugga ogni concetto e pratica etiche
dileguandole nella “Ragion di stato”? No affatto. Per quanto Croce ammiri
Bismarck e la Realpolitik dello
Stato di potenza prussiano, la meineckiana ragion di stato per lui non vuol
dire nulla, considerandolo un residuo pseudopolitico di teologismo
materialistico.
«la durezza e l’insidiosità, inevitabili nella politica e che il Machiavelli riconosceva e raccomandava pur provandone a volta ribrezzo morale, vengono spiegate dal Vico come parte del dramma dell’umanità, che in perpetuo si crea e si ricrea; e sono riguardate nel loro duplice aspetto di bene reale e male apparente, apparenza presa dal bene al lume del bene superiore, che dalle sue viscere stesse prorompe e si innalza».Il pessimismo antropologico machiavelliano si integra, nella filosofia crociana, con l'ansia di purificazione che l'avanguardia di politici illuminati può impugnare. Non per il bene assoluto, sia chiaro, la diversità con Marx e Gentile è irreversibile. Il bene ed il buono, sul piano del realismo filosofico-politico crociano, come in Machiavelli, non possono egualmente esistere, il bene non appartiene al piano conflittuale del regno umano, i principi democratici-borghesi dell'89 francese - libertà, eguaglianza, fraternità - sono solo "alcinesche seduzioni", grosse realtà passionali, è l'ideologia paretiana di una minoranza che si accordi con la massa, portandola dalla propria parte, che potrà se non altro, come male minore, arrestare il caos democratico e materialistico avanzante che corrompe i popoli nelle fondamenta ontologiche del vivere e morire. Croce, nei primi anni Venti, contro l’elite liberale saluta in Mussolini e nel movimento fascista l’avvento della salutare barbarie che rialzerà l’Italia ad una "Machtpolitik globale". Nella Storia d’Italia, sebbene ormai ufficialmente antifascista, Croce continuerà a lodare Mussolini come grande politico decisionista che ha abbattuto il positivismo, il neoilluminismo e il contrattualismo, autorappresentandosi peraltro come l'artefice teorico del distacco di Mussolini dal socialismo materialistico al fascismo. Lo stesso Gentile, nel marzo 1925 scrive che i fascisti sono discendenti politici della filosofia crociana, massimamente antidemocratica, teorica dell'elite politica, paretiana, antiplutocratica.
Sia scavando a fondo nel sorelismo fascista mussoliniano,
sia nel comunismo gramsciano, troviamo la grande filosofia politica di Croce.
Furono entrambi forme di teoria politica neo-machiavellica, declinata in senso
soreliano ed elitista quella fascista, in senso democratico-giacobina (ben
prima che marxista) quella gramsciana. In entrambi i casi, e ci si trova di
fronte ad esempi storici concreti, vi fu la produzione effettiva di una
strategia politica assolutamente etica; condivisibile o meno, ma di quello si
trattava. Sia l’elite fascista, sia l’elite gramsciana neocomunista, figlie
dello spirito politico realista crociano, dettero vita ad un preciso modello di
civilizzazione.
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