[ 20 febbraio 2019 ]
In altri tempi si sarebbe detto che la situazione in Sardegna è "rivoluzionaria". E se non lo è, poco ci manca. Molti pastori non condividono la proposta di accordo proposto alle controparti dall'assemblea dei pastori svoltasi a Tramatza (80 centesimi il litro) e sono quindi tornati sulle strade, bloccando i camion che trasportavano il latte. Nel Sulcis un gruppo di incappucciati ha bloccato un autotrasportatore costringendolo a sversare in strada migliaia di litri.
Non è questione di centesimi, non lo è più.
La rivolta dei pastori, sostenuta dalla grande maggioranza de sardi (ahinoi tra l'indifferenza del resto degli italiani) ha oramai assunto una dimensione politica, poiché pone in discussione il dogma del "libero" mercato, della "libera" circolazione delle merci e dei capitali (i caseifici sardi importano latte dall'estero a più basso costo per produrre i formaggi per poi venderli come prodotti sardi e italiani Dop), lo strapotere della grande distribuzione. In buona sostanza i pastori contestano, mettendo di mezzo i loro corpi, la globalizzazione e le regole liberiste dell'Unione europea. Insomma: un'intero modello economico e sociale che condanna la Sardegna e tutto il Mezzogiorno al degrado e alla miseria senza scampo.
Di più: stanno mettendo con le spalle al muro il governo giallo-verde che su questa vicenda deve mostrare la sua vera dose di "sovranismo", e con esso Salvini, che non potrà tenere ancora due parti in commedia: Ministro "populista" che dice sta coi pastori, e Ministro degli interni che allerta i questori a riportare l’ “ordine pubblico” — o ordine della fame.
I pastori hanno promesso che se le loro richieste non saranno esaudite, se l’incontro previsto a Roma per il 21 febbraio, boicotteranno con ogni mezzo le elezioni regionali sarde del 24. Un ordigno è stato trovato a Torpè in un seggio elettorale.
Così, proprio oggi, si sono riuniti ad Abbasanta, in un vertice blindatissimo, i quattro questori dell’isola. Scrive un quotidiano sardo:
Ove la lotta continuerà la repressione, vedrete, sarà implacabile.
E noi in continente che facciamo? Ci giriamo dall’altra parte?
In altri tempi si sarebbe detto che la situazione in Sardegna è "rivoluzionaria". E se non lo è, poco ci manca. Molti pastori non condividono la proposta di accordo proposto alle controparti dall'assemblea dei pastori svoltasi a Tramatza (80 centesimi il litro) e sono quindi tornati sulle strade, bloccando i camion che trasportavano il latte. Nel Sulcis un gruppo di incappucciati ha bloccato un autotrasportatore costringendolo a sversare in strada migliaia di litri.
Non è questione di centesimi, non lo è più.
La rivolta dei pastori, sostenuta dalla grande maggioranza de sardi (ahinoi tra l'indifferenza del resto degli italiani) ha oramai assunto una dimensione politica, poiché pone in discussione il dogma del "libero" mercato, della "libera" circolazione delle merci e dei capitali (i caseifici sardi importano latte dall'estero a più basso costo per produrre i formaggi per poi venderli come prodotti sardi e italiani Dop), lo strapotere della grande distribuzione. In buona sostanza i pastori contestano, mettendo di mezzo i loro corpi, la globalizzazione e le regole liberiste dell'Unione europea. Insomma: un'intero modello economico e sociale che condanna la Sardegna e tutto il Mezzogiorno al degrado e alla miseria senza scampo.
Di più: stanno mettendo con le spalle al muro il governo giallo-verde che su questa vicenda deve mostrare la sua vera dose di "sovranismo", e con esso Salvini, che non potrà tenere ancora due parti in commedia: Ministro "populista" che dice sta coi pastori, e Ministro degli interni che allerta i questori a riportare l’ “ordine pubblico” — o ordine della fame.
I pastori hanno promesso che se le loro richieste non saranno esaudite, se l’incontro previsto a Roma per il 21 febbraio, boicotteranno con ogni mezzo le elezioni regionali sarde del 24. Un ordigno è stato trovato a Torpè in un seggio elettorale.
Così, proprio oggi, si sono riuniti ad Abbasanta, in un vertice blindatissimo, i quattro questori dell’isola. Scrive un quotidiano sardo:
«Oltre ai presidi, le forze dell'ordine temono che un'eventuale rottura del tavolo di confronto di Roma, previsto per il 21 febbraio, possa alimentare nuove tensioni. Come già annunciato i pastori non si fermeranno ed hanno confermato che boicotteranno le elezioni regionali con picchetti a ridosso dei seggi elettorali. Diverse dichiarazioni in tal senso stanno continuando a moltiplicarsi da ogni parte dell'isola».Contestualmente macchina della repressione si è già messa in moto. “Massima allerta per la sicurezza”…. Diverse procure, polizia e carabinieri, stanno indagando sugli episodi di lotta dei giorni scorsi.
Ove la lotta continuerà la repressione, vedrete, sarà implacabile.
E noi in continente che facciamo? Ci giriamo dall’altra parte?
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2 commenti:
Mi sembra inevitabile, a questo punto, non sfidare l'altreuropeismo di Salvini, dopo essere andati a sfidare quello di Macron.francesco
La lotta dei pastori sardi rappresenta una triplice sfida al sovranismo di destra: 1) non si accontentano di qualche centesimo, ma vogliono una paga reale fissa (di fatto chiedono di essere riconosciuti come oggettivamente proletari, soggetti che lottano per rosicchiare quote di plusvalore agli industriali). Bene! Assecondare questa richiesta significa uscire dal mercato mondiale quindi dal liberismo; 2) mettono in crisi il delirio securitario di Salvini con pratiche che a partire dal blocco del traffico sono precisamente le pratiche che il decreto sicurezza voleva colpire; 3) se dovessero muovere verso una insurrezione per l'indipendenza nazionale, sbatterebbero in faccia ai nazionalismi la loro crisi ombellicale (c'è sempre una nazionalità oppressa in ogni sintesi nazionale che ti smonta dall'interno).
Se davvero faranno saltare le lezioni si aprirebbe una fase nuova. Salvini può ancora cavalcarla e uscirne da dominus assoluto della politica italiana e coloniale (visto che si parla di Sardegna). Ma se Salvini fallisce cominciano i dolori che inizia l'irresistibile crollo del secondo Matteo di cui parlava Mazzei
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