giovedì 22 novembre 2018

VIOLENZA E POLITICA: L'IPOCRISIA DI CARL SCHMITT di Bazaar

[ 22 novembre 2018 ]

Con questo nuovo articolo Bazaar prende a bersaglio il pensiero di Carl Schmitt. Ce ne eravamo occupati, di Schimitt QUI, QUI, QUI, e QUI. Dibattito che è destinato e proseguire...


Carl Schmitt è un autore notoriamente controverso, per cui, in tutta la sua opera, non emerge una chiara e coerente dottrina dalle considerazioni di filosofia politica, filosofia del diritto o filosofia morale.

Qualche breve considerazione, però, con un po’ di strumenti filologi, la si può fare.

L’indubbio contributo di Kelsen nel promuovere il positivismo giuridico è interessante per acquisire un principio fondamentale per chiarire le idee su come orientare la lotta nell’arena politica delimitata dalle costituzioni democratiche moderne.

Engels scriveva: 
«L’ironia della storia del mondo trasforma tutto sottosopra. Noi i “rivoluzionari”, i “rovesciatori” — stiamo crescendo molto più coi metodi legali rispetto che coi metodi illegali ed i colpi di stato. I partiti dell’Ordine costituito, come si definiscono, stanno morendo sotto le condizioni legali create da loro stessi. Piangono disperatamente [...] “la legalitàè la nostra morte”; mentre noi, sotto questa legalità, ci facciamo muscoli solidi, le guance rosee e sembriamo acquisire vita eterna. E se non siamo così pazzi da lasciarci guidare verso la guerriglia urbana per accontentarli, allora, alla fine, non è rimasto nulla da fare per loro tranne che abbattere loro stessi questa fatale legalità».
Schmitt nota che il positivismo ha fatto dimenticare quali fossero i contenuti sostanziali della decisione posta a fondamento della legalità liberale e borghese: ovvero i contenuti polemici verso l’assolutismo monarchico, e — tutt’altro che neutrali — i contenuti relativi alla difesa della libertà e della proprietà attraverso regole di pura condotta (cfr. Hayek). Questi contenuti, secondo Schmitt, vengono sacrificati ad un concetto «puramente formale» di legge: 
«Una equiparazione priva di quel presupposto fra il diritto e il risultato di qualsivoglia procedura formale sarebbe solo una soggezione priva di presupposto e quindi cieca alla pura decisione — svincolata da ogni rapporto con il diritto e la giustizia [sic!] — da parte della autorità cui spetta la legislazione: sarebbe una rinuncia immotivata a ogni opposizione [ovvero a ogni rottura della legalità, ndR]: sarebbe il sic volo sic iubeo nella sua forma più ingenua, comprensibile solo in termini psicologici, sulla base dei rudimenti di qualche superstizione o dei residui di una più antica e più giustificata religione della legge». [C. Schmitt, Le categorie del politico, pag. 228]
Chiaro? Se volessimo esserlo ancora di più:

«Come nota giustamente Trotzkij contro il democratico Kautsky: nella coscienza delle relatività non si trova il coraggio di usare la violenza e di spargere sangue». [C. Schmitt, La condizione storico-spirituale dell’odierno parlamentarismo]
Carl Schmitt
Ovvero la superstizione sarebbe quella di non sopprimere fisicamente il nemico politico (ovvero, il nemico di classe).

Naturalmente la citazione schmittiana di Trotskij — usata per poter accreditare la necessità di una sorta di attacco preventivo — è manipolata, e vale la pena vedere come
«Tuttavia, ascoltiamo ciò che Kautsky ha da dire in proposito.La giustificazione di questo sistema (vale a dire le repressioni in connessione con la Stampa) si riduce all'idea ingenua che esista una verità assoluta (!), e che solo i comunisti la possiedano (!). Allo stesso modo”, continua Kautsky, “ciò si riduce ad un altro punto di vista, ovvero che tutti gli autori sono per natura bugiardi (!) e che solo i comunisti sono fanatici della verità (!). In realtà, bugiardi e fanatici per ciò che viene considerata verità si trovano in tutti e due i campi”. E così via, e così via, e così via. (Pagina 176) 
In questo modo, negli occhi di Kautsky, la rivoluzione, nella sua fase più acuta, quando si tratta della vita e della morte delle classi, continua fino ad oggi a essere una discussione letteraria con l’obiettivo di stabilire ... la verità. Che profondità! ... La nostra “verità”, ovviamente, non è assoluta. Ma poiché nel suo nome stiamo, al momento, versando il nostro sangue, non abbiamo né la motivazione né la possibilità di portare avanti una discussione letteraria sulla relatività della verità con coloro che ci “criticano” con l'aiuto d’ogni forma d’arma »

Chiaro? Il sangue versato è il nostro, di noi rivoluzionari, sotto i colpi degli altri, dei difensori degli interessi costituiti… non si tratta di disconoscere il pregio della discussione in nome di una verità assoluta e indiscutibile che giustificherebbe l’assassinio dei dissidenti, ma di difendersi in una lotta mortale.

L’ipocrisia e la disonestà di Schmitt raggiungono qui vette sublimi.
Lev Trotsky

Questa analisi vuole mostrare la differenza tra il progressismo costituzionale (v. art.4  Cost. capoverso) e socialista, e quello della sinistra “nicciana”, “schmittiana” che — come si può facilmente dimostrare —  rimane de facto quinta colonna del paradigma neoliberale.

Che questa critica a Schmitt non sia affatto peregrina ce lo conferma chi con il progressismo non ha mai avuto nulla a che fare, ovvero il conservatore Leo Strauss (si noti che gli studenti che contestavano Strauss per essere “illiberale” erano gli studenti che seguivano entusiasti i corsi del liberale Hayek):
 «L’ultima parola di Schmitt non ha a che fare con la teologia o con la base trascendente per l’umana serietà — la sua ultima parola consiste nell’eterna relazione tra protezione e obbedienza, il dominio senza limitazioni del forte sul debole come unica forma autentica di ordine implicita nell'universalità della lotta animale dell'uomo. Questo lotta porta i forti a cercare il dominio ed i deboli la protezione; il forte a depredare, e il debole a cercare di tenersi stretto ciò che possiede. La lotta animale dell'uomo è vista come buona o cattiva in base al fatto che si adotti la prospettiva del gruppo superiore di uomini dominanti o del gruppo inferiore di uomini che deve essere dominato».
Come i liberali, Schmitt non fa altro che proporre il solito darwinismo sociale naturalizzato.
 «Prima di tutto, poiché la decisione sul nemico è sempre esistenziale e concreta, essa preclude l’idea di una guerra combattuta per la giustizia, vale a dire nel nome di un principio universale. Qui Schmitt capovolge l'apparente idea liberale pacifista che nessuna motivazione, tuttavia, possa solo giustificare il comando di sacrificare la vita in battaglia. L’implicazione è che, se tutta la guerra è radicalmente ingiusta, quindi la tradizione della guerra giusta non può essere invocata per distinguere come giusta la guerra limitata e difensiva da una guerra aggressiva ed espansionistica che impiega il genocidio. Schmitt ribalta il pacifismo contro la legge naturale, la tradizione della guerra giusta per rimuovere *ogni* vincolo morale dalla condotta di guerra — così vediamo quanto poco il suo approccio sia davvero non-bellicoso».
«Strauss percepiva che c'era un'intenzione morale dietro l'apparente approccio scientifico di Schmitt: ciò che non riuscì a vedere fu che l’intenzione morale era la moralizzazione della volontà di potenza stessa, una moralizzazione che andava oltre le congetture su bene e male nel senso che la sua base è un fatto e non magari un fatto puramente umano. Questo fatto è la naturalità della lotta animale dell'uomo, delle sue passioni».
Strauss appare molto più vicino al socialismo di quello che non potrà mai apparire Schmitt:
«Secondo la prospettiva classica articolata da Strauss, la legittimazione dell'esercizio del potere deve iniziare con il riconoscimento della naturale socialità dell'uomo. Ciò che si intende per socialità naturale qui non è affine a ciò che Schmitt descrive come la premessa anarchica della bontà naturale dell’uomo o, ancor meno, dell'altruismo. L'uomo è naturalmente socievole perché quelle eccellenze di cui è capace per natura e su cui la sua realizzazione o prosperità come essere umano dipendono, può sorgere solo in una società e deve dipendere dal sostegno della società. “È così costituito che non può vivere, o non può vivere bene, se non vivendo con gli altri”.Allo stesso tempo questa socialità non è puramente strumentale, per ogni atto veramente “umano”, per ogni atto che è orientato verso le eccellenze distintive dell’uomo, è implicito l'uso comunicativo, non strumentale della parola (vale a dire, il suo uso non solo per persuadere gli altri a provvedere al proprio proprio piacere privato)».
Su questa riflessione di Strauss ci sarebbe profondamente da meditare, considerando che — citando George Bernard Shaw — il (neo)liberismo che ha totalizzato i nostri rapporti sociali consiste in nient’altro che in una dottrina volta a dare qualsiasi licenza, e ad eliminare qualsiasi scrupolo, al fine di «abbattere impudentemente il prossimo».
 «Capovolgendo coerentemente la retorica di Schmitt, la prospettiva classica di Strauss accetta l'importanza fondamentale dell’arte di governare nell’identificare correttamente l'eccezione, ma per la ragione opposta — cioè, per minimizzare quei casi in cui la sicurezza pubblica è la legge più alta e dove la decisione deve dimenticare di preoccuparsi di quei principi di giustizia che mirano alla perfezione umana».
Per chiudere e rimuovere qualsiasi interpretazione di Carl Schmitt in chiave progressista, al di là degli spunti di riflessione dovuti ad una sua certa virtuosità intellettuale, riportiamo C. Galli, Genealogia della politica, Il Mulino, Bologna, 1996, pag. 680:
 «Infatti, il fascismo è approvato da Schmitt in quanto supererebbe lo Stato liberale e la sua crisi, ma non lo Stato come unità politica attiva, e disapprovato in quanto non avrebbe sufficientemente a cuore il problema — che pure il fascismo ha posto, e al quale ha dato la soluzione, per Schmitt debole perché ancora economicistica, delle corporazioni — di approntare un forte comando politico unitario sull’economia: il problema, appunto, di realizzare una forma politica che sia una sorta di Stato oltre lo Stato separato dalla società. Insomma, il fascismo è “Stato totale”, nel senso di Schmitt, solo se e in quanto non ingloba tutto il sociale, ma lo spoliticizza e lo governa politicamente, senza essere passivamente attraversato da partiti e interessi».
Definizione estremamente apprezzabile per la chiarezza: per Schmitt si tratta di ribadire la separazione Stato-società civile, che la progressiva democratizzazione stava erodendo, con l’impiego della forza, reale e simbolica (il mito politico — qui Schmitt è attento lettore di Sorel —  e l’individuazione del nemico, interno ed esterno) della decisione.

Questa è esattamente la funzione del fascismo nell’ambito del conflitto sociale. 
 «Il fascismo italiano è così utilizzato da Schmitt come l’orizzonte e la prospettiva ancora formalmente statuale al cui interno pensare un concreto superamento in senso “totale” della crisi dello Stato. Nonostante le critiche (che nascono da una sopravvalutazione, nel regime fascista, del ruolo reale del corporativismo, peraltro non inconsueta nella cultura dell’epoca); nonostante la sostanziale incomprensione che la cultura fascista italiana dimostrò verso Schmitt; nonostante che Schmitt, nella successiva fase nazista, abbia espresso il proprio orientamento alla forma politica “totale” in termini che si sforzavano di essere ancora più decisamente post-statuali, almeno finché ha cercato di rimanere gradito al regime (ma nonostante il suo ricorso ai temi della razza, gli intellettuali organici del nazismo lo accusarono di essere ancora meccanicamente statualistico totalitario e non — come, secondo loro, avrebbe dovuto — “autoritario” in senso völhisch); nonostante soprattutto che l’apparato categoriale di Schmitt non nasca per ragioni ideologiche e non sia, in sé, ascrivibile a una parte politica; nondimeno il referente empirico storico-politico più vicino a Schmitt è il fascismo italiano, che totalitario si definì e volle essere, benché propriamente non lo sia stato, anche per il permanere, in esso, della forma-Stato».
Chiaro? 

La lotta democratica in senso socialista trova nella legalità costituzionale e nel perimetro dello Stato-nazione la sua leva massima contro l’oppressione delle classi egemoni al fine di rivoluzionare l’ordine sociale classista.

La lotta consiste quindi nello spasmodico tentativo di realizzare la partecipazione della società civile nell’attività politica dello Stato: e questo si può realizzare solo tramite la partecipazione di massa dei lavoratori in quelle associazioni non riconosciute chiamate partiti (da cui l’art.49 Cost.).

(Insomma, astenersi guerriglieri urbani: la regola a cui è difficile trovare eccezioni è quella per cui, chi opera al di là della Stato di diritto, viene strumentalizzato ed usato come utile idiota. Schmitt, se letto correttamente, docet...)

19 commenti:

Anonimo ha detto...

Si tratta di una ricostruzione selettiva e decontestualizzata del pensiero schmittiano (ad es. non vi si fa parola di tutta la sua valorizzazione della forma politica della chiesa romana) e collegata ad hoc colle peculiari nozioni marxiste della lotta di classe come atto politico per eccellenza, e del fascismo come univoco strumento repressivo della medesima.

Bazaar non cerca di capire Schmitt. Prende di peso dal suo pensiero quel che può accomodarsi alla sua forma mentis marxista e lo usa per costruirsi una figura polemica ad hoc. Nel far questo si dimostra molto schmittiano: l'individuazione del nemico si realizza tramite la costruzione di miti polemologici.

Anonimo ha detto...

L’autore non fa menzione dello Schmitt rieducato dagli imperialisti americani dal 45 in poi. Peccato. Si veda Ex captivitate Salus

Anonimo ha detto...

L’autore non fa menzione dello Schmitt rieducato dagli imperialisti americani dal 45 in poi. Peccato. Si veda Ex captivitate Salus

Rodolfo ha detto...

Utile articolo per capire Schmitt.

Tuttavia mi sa di socialdemocratica, di riformistica, di kautskyana, la proposta finale:

-----La lotta democratica in senso socialista trova nella legalità costituzionale e nel perimetro dello Stato-nazione la sua leva massima contro l’oppressione delle classi egemoni al fine di rivoluzionare l’ordine sociale classista. La lotta consiste quindi nello spasmodico tentativo di realizzare la partecipazione della società civile nell’attività politica dello Stato: e questo si può realizzare solo tramite la partecipazione di massa dei lavoratori in quelle associazioni non riconosciute chiamate partiti (da cui l’art.49 Cost.). ----

forse mi sbaglio?

Bazaar ha detto...

@Rodolfo

Credo proprio di sì.

La nostra Costituzione si occupa in primis di sociostruttura, ovvero - a dispetto della realtà istituzionale in cui si muovevano i democratici dell'epoca - non è una Carta puramente formale: si contrappone in modo dialetticamente antagonista ai rapporti di produzione esistenti che impediscono la realizzazione dei diritti formali a cui si rifacevano liberali e democratici.

Il punto fondamentale del post non è una semplice critica a Schmitt, ma - una volta evidenziata la sua posizione a favore delle élite e dell'ordine sociale classista - è volta a prendere il suo pensiero e ribaltarlo mettendone i piedi per terra: se egli promuove la possibilità di rompere l'ordinamento per raggiungere determinati (e vaghi, non di classe...) obiettivi politici, una lettura in un paradigma sociologico che prevede la prospettiva del conflitto in una dialettica tra classi - considerata come contraddizione ineliminabile nel modo di produzione capitalista - prevede che il massimo del risultato della lotta politica delle classi subalterne (come appunto faceva già notare Engels sotto lo Stato liberale) sia ottenibile all'interno dell'ordinamento e, quindi, della legalità costituzionale.

Il leninismo (e in particolare lo schmittianesimo de sinistra) deve fare i conti - come già Gramsci intuì - sul fatto che non esiste né lo zarismo né il fascismo: l'oppressione nazionale e di classe si realizza proprio con la rottura della legalità costituzionale (tramite, ad es., i vincoli europei, tramite il liberoscambismo neoliberale).

Schmitt "usato da sinistra" direbbe: «non è importante il conflitto tra classi, l'importante è distinguere la dialettica amico/nemico, produrre e propagandare un'Idea, e abbandonare qualsiasi codice etico (e legale) funzionale alla sopraffazione del nemico».

Questa istanza non prende in considerazione che i rapporti di forza primigeni che sono motore di ogni contraddizione, sono proprio quelli tra le classi generate dai rapporti di produzione; il risultato sarebbe quindi - in un'arena priva delle istituzioni e delle limitazioni della legalità costituzionale - la sconfitta delle classi subalterne assicurata, in balia delle forze svincolate da qualsiasi freno delle élite, NEANCHE RICONOSCIUTE COME TALI PERCHÉ PERTINENTI ED INDIVIDUATE COME SOGGETTO STORICO ESCLUSIVAMENTE DAL PARADIGMA SOCIOLOGICO MARXIANO.

Questi rapporti di forza primigeni si possono ribaltate esclusivamente nell'arena delimitata dalla legalità costituzionale usata come un'arma dalle classi subordinate che acquistano coscienza politica.

Ovvero coscienza nazionale e di classe.

Bazaar ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Bazaar ha detto...

All'@anonimo del primo commento faccio notare che il "socialdemocratico" Galli non ha propriamente una "forma mentis marxista", e a quelle considerazioni ci arriva dopo 900 pagine di dissertazione su tutta l'opera di Schmitt.

Se poi si dà del "marxista" a Leo Strauss... be'... chi non vuol capire non pare essere l'autore del post.

Anonimo ha detto...

Penso l'autore cada in errore nella sua lettura della durissima polemica di Trotsky contro Kautsky.
Se non vado sbagliato ci si riferisce al testo "Terrorismo e comunismo".
Mi chiedo se l'autore lo abbia letto davvero.
Qui la questione non è quanto schmittismo ci sia in quel Trotsky, bensì quanto trotskysmo ci sia in Schmitt.
Ricordo che in quegli anni durissimi di guerra civile in Russia, Kautsky esprimeva una condanna durissima dei bolscevichi.
E contro il "rinnegato Kautsky" scese in campo pure il Lenin.
No caro Bazaar, non mi sembra che lo Schmitt abbia distorto il Trotsky, che spiegava come, nella situazione estrema della guerra civile la dittatura proletaria non poteva che essere la dittatura (per lui comunque momentanea) della sua avanguardia di partito bolscevica, giustificata, in quelle tremende circostanze a ricorre al terrore per schiacciare i nemici della rivoluzione.
Il rispetto della democrazia formale era un lusso che il partito di Lenin non poteva permettersi, in barba ai lamenti, non solo di Kautsky ma pure di Rosa Luxemburg.
Per stare a Schmitt: i bolscevichi, accerchiati da ogni parte (c'erano anche truppe italiane a dare manforte ai "bianchi") fecero un vero e proprio "miracolo": dichiararono lo stato d'eccezione e dimostrarono quale fosse il potere sovrano e quindi vinsero.
In un quadro del tutto diverso, ovvero in condizioni non così terribili, anche nell'Italia del 1943-45 si doveva decidere chi fosse sovrano, e lo si decisi armi in pugno. Non ci fosse stata la vittoria militare sul nazifascismo ce la sognavamo la "costituzione più bella del mondo".
Nando

Anonimo ha detto...

@NANDO

Bravo Nando, molto politico e saggio il tuo commento.
Una sola cosa sbagliata. I partigiani italiani, a differenza dei maoisti cinesi, non dichiararono nessuno stato d'eccezione. Anzi, misero il potere in Italia nelle mani degli angloamericani. Da allora a oggi abbiamo 59 basi NATO in Italia. Altro che stato d'eccezione e democrazia costituzionale. Tirannia occidentale!

Bazaar ha detto...

@NANDO

In realtà la citazione mostra come in Trotzskij non ci fosse nulla di schmittiano, ed è per questo che è stato riportato il pezzo completo tradotto (oltre che linkato) della polemica con Kautsky a cui Schmitt si rifà manipolandola.

(La capacità di chiamare lo stato d'eccezione, poi, è un dato di fatto, non un'astuzia politica: ora chi lo chiama è il "mercato". Provi a chiamarlo un qualsiasi movimento rivoluzionario oggi esistente)

Inoltre nel pezzo (e ce n'è sicuramente da discutere in merito, soprattutto in riferimento alla nostra attuale situazione) si fa riferimento allo Stato di diritto liberal/borghese e a quello democratico-costituzionale moderno: non mi pare che né durante la Russia zarista né durante la guerra civile russa, né durante quella antifascista fosse in vigore quest'ordine di legalità formale.

Tra l'altro è noto che Rosa cambiò idea sulla prassi bolscevica proprio in relazione al momento geostorico.

Bazaar ha detto...

Per comprendere come i Principi fondamentali dell'ETICA SOCIALISTA non cambino, ma le concrete situazioni geostoriche invece sono sempre diverse e interpretabili diversamente, qui, a pag.12 un'analisi lucidissima di Lelio Basso:

Domanda: «Ma può avere allora ancora attualità il leninismo?»

Risposta: «Io credo che sia ancora oggi valido per i paesi non sviluppati. Una società precapitalistica ha veramente un potere centrale da conquistare. Quindi un partito fatto di rivoluzionari professionali, inquadrati quasi militarmente che si preparano per l'assalto al potere e poi dall'alto cercano di costruire il socialismo può essere in questi casi una formula valida ma nelle società capitalistiche avanzate non può esistere. Le interconnessioni fra stato e società sono tali che non si configura più un potere staccato da conquistare, non c'è un Palazzo d'Inverno. Senza contare che la classe operaia è talmente integrata da non essere disponibile per un salto radicale. Ci vuole quindi un altro tipo di rivoluzione nel lungo periodo, che si realizza nella società civile, nei rapporti umani, nei valori, nella coscienza dell'uomo. Sono formule generiche, certo, ma nessun uomo può avere la ricetta in tasca. Spetta ai partiti muoversi in questa direzione.»

Anonimo ha detto...

Gentile Bazaar,

qui casca l'asino...
Sostenere con L.Basso che il leninismo è roba da straccioni arretrati, giudizio che non a caso unisce liberali, socialdemocratici, anarchici, spontaneisti, negriani e sinistra radicale, è la più plastica dimostrazione di un pensiero che della rivoluzione e di come va la storia non ha capito e non riuscirà a capire niente.
Per quanto riguarda l'anonimo la guerra partigiana ecc.
L'Italia, entrata in guerra non sovrana come satellite della potenza germanica usciva sconfitta ed è finita satellite di una delle due potenze vincitrici, ie gli USA....
Da una sudditanza all'altra...
Non ho detto che la resistenza partigiana essa fu sovrana, ho scritto:
"In un quadro del tutto diverso, ovvero in condizioni non così terribili, anche nell'Italia del 1943-45 si doveva decidere chi fosse sovrano, e lo si decisi armi in pugno. Non ci fosse stata la vittoria militare sul nazifascismo ce la sognavamo la "costituzione più bella del mondo".
In critica alla visione formalistico-giuridica di Baazar ho scritto che con le armi in pugno, a conferma quindi del pensiero di Schimtt, venne stabilito chi fosse effettivamente sovrano.
Nando

Anonimo ha detto...

Ma questo di Basso è antileninismo puro, che significa per i paesi non sviluppati? Per i paesi sviluppati usiamo la socialdemocrazia?

Anonimo ha detto...

Giusto, bravo Nando, hai delle ragioni in ciò che dici.

Anonimo ha detto...

Bazaar mi scusi ma devo leggere i suoi concetti almeno due volte per capire cosa lei voglia scrivere!! Ci sono molti errori di sintassi nella sua scrittura!! Inoltre il suo post e' troppo carico di citazioni per di piu' senza un nesso tra loro…...come la prima di Engels che centra come i cavoli a merenda!!

Bazaar ha detto...

@Nando

Non so che asini caschino ma è riuscito a non capire manco l'intervista di Basso.Ma dove è che Basso parla giudicante di "straccioni"? Lui che ha redatto la carta di Algeri. Ha letto l'intervista?

@Anonimo delle 19:46

Lei si preoccupi intanto dell'ortografia: di punti esclamativi ne bastano uno, di puntini di sospensione ne bastano tre, e le citazioni sono ovviamente tutte collegate.

Il post non è affatto facile, e non è per tutti se non per coloro che sono dotati di buona volontà.

La citazione di Engels è fondamentale ed è a supporto della prassi politica che vuole muoversi dentro l'ordinamento costituzionale nei contesti in cui il positivismo giuridico informa lo Stato di diritto liberale (o sociale, come il nostro).

Il senso è che in un'arena politica in cui vige lo Stato democratico sono le classi subalterne ad esserne avvantaggiate alla lunga: e saranno le classi egemoni a far saltare il banco e "proclamare lo stato d'eccezione" per rivendicare la propria sovranità anche formalmente.

Faccia domande di chiarimento piuttosto che asserire considerazioni che, queste sì, ci stanno come cavoli a merenda.

Domande per piacere, non asserzioni se non si è capito: sono spunti di riflessione e vorrebbero suscitare una discussione. Ma una discussione, per avere una dialettica fertile, deve essere fatta su punti chiari. Corretti o scorretti che siano. Grazie.

Anonimo ha detto...

Ecco la sostanza del riformismo marxismo cattedratico antileninista e antibolscevico qui esposta:

"Il senso è che in un'arena politica in cui vige lo Stato democratico sono le classi subalterne ad esserne avvantaggiate alla lunga: e saranno le classi egemoni a far saltare il banco e "proclamare lo stato d'eccezione" per rivendicare la propria sovranità anche formalmente".

Migliore dichiarazione di intenti non poteva venir fuori.

Giovanni

Anonimo ha detto...

Al netto della critica al pensiero di Schmitt, che certo non si può condividere in tutto e per tutto, la visione, oserei dire strategica, che ci propone Baazar, in linea con la visione di Orizzonte 48, mi pare sia questa qui:

"La citazione di Engels è fondamentale ed è a supporto della prassi politica che vuole muoversi dentro l'ordinamento costituzionale nei contesti in cui il positivismo giuridico informa lo Stato di diritto liberale (o sociale, come il nostro).
Il senso è che in un'arena politica in cui vige lo Stato democratico sono le classi subalterne ad esserne avvantaggiate alla lunga: e saranno le classi egemoni a far saltare il banco e "proclamare lo stato d'eccezione" per rivendicare la propria sovranità anche formalmente".

Ci sarebbe da discutere molto sull'ultimo Engels... Baazar mi perdonerà se definisco questa strategia riformistica, nel senso classico e nobile, certo, ma riformistica.

Nando

Bazaar ha detto...

@Nando&Giovanni

La Luxemburg e Gramsci avrebbero detto riformismo E rivoluzione.

E se Lenin fosse nato e avesse operato in Europa occidentale avrebbe probabilmente detto la medesima cosa.

Ne avremo ancora da discutere.

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