[ 26 maggio 2017]
Raccomandiamo ai lettori di leggere un'inchiesta di tempo addietro sulla GRANDE FUGA DALL'UNIVERSITÀ. Il crollo delle immatricolazioni è un sintomo dello sfascio sociale che vive l'Italia, del suo declino.
L'introduzione del numero chiuso alla Statale di Milano segna un passaggio di fase che ricorderemo. Si dice infatti spesso che l'Italia in questi ultimi anni ha negato il futuro ai propri figli. È vero solo in parte.
Da un lato ha infatti permesso una ristrutturazione selvaggia della propria base produttiva, accettando sostanzialmente di uscire dalla fascia alta del mondo globalizzato, per posizionarsi su una più comoda fascia intermedia. Questo significa aver meno bisogno di capitale finanziario e umano, essere inseriti in condizioni subordinate nella catena di produzione di valore, avere la necessità di manodopera a basso costo, dover ridurre il peso del welfare.
Dall'altro ha continuato, seppur fra difficoltà crescenti, a garantire ai giovani la possibilità di accedere a costi relativamente contenuti a un'istruzione di livello universitario di buona qualità, poco spendibile sul territorio nazionale, ma certamente non all'estero.
Mentre si creava il deserto in Italia, si continuava a garantire un buon passaporto a chi volesse lasciarla. Se ce la fai, studia e vattene: questo è stato il vero patto generazionale degli ultimi anni, e ha funzionato, perlomeno sotto il profilo della stabilità sociale e politica.
È un fatto noto che la nostra vera classe dirigente viva e lavori prevalentemente all'estero, costretta a disinteressarsi del destino collettivo del paese d'origine.
Il problema di questo sistema è che non può protrarsi all'infinito, perché una base improduttiva impoverita in regime di mercato globale non regge lo sforzo fiscale necessario ad alimentare un sistema di istruzione e ricerca che le è sostanzialmente inutile. D'altra parte anche l'importazione dall'estero di lavoratori a basso costo e media scolarizzazione prima o poi incontra un limite sia interno che esterno.
Si arriva quindi alla doppia necessità di rilanciare l'istruzione tecnico-professionale superiore e tagliare drasticamente l'accesso all'Università. Quello appunto che sta accadendo, sotto la copertura retorica insopportabile del "saper fare".
Le ragioni del merito, evidentemente, non sono minimamente dirimenti, se non nella retorica di politica e apparati mediatico-accademici che farebbero un altro mestiere secondo qualsiasi concezione meritocratica.
Il punto è strettamente politico e attiene al modello di società che abbiamo in mente, alla distribuzione del potere, al rapporto fra classi e ceti sociali. Le attuali classi dirigenti non hanno alcun obiettivo collettivo, se non la perpetuazione della rendita per chi ne possiede una e la valorizzazione delle singole eccellenze produttive nel sistema della concorrenza globale.
Non ci si può aspettare niente da loro e niente ci daranno, se non il peggioramento continuo delle condizioni di vita. Dovrebbero emergerne di nuove, che ripartano dal desiderio di ribaltamento del capitalismo all'italiana, recuperando la necessità di una direzione politica dell'economia e quindi dell'intervento diretto dello Stato, come condizione di una nuova via alta allo sviluppo. Questo tuttavia comporta la necessità di un vecchio arnese: il partito.
Consiglio a tutti e a me stesso di rileggere Gramsci nelle prossime settimane, per farne uso nei prossimi mesi.
* Deputato di Sinistra Italiana
** Fonte: Huffington Post
Raccomandiamo ai lettori di leggere un'inchiesta di tempo addietro sulla GRANDE FUGA DALL'UNIVERSITÀ. Il crollo delle immatricolazioni è un sintomo dello sfascio sociale che vive l'Italia, del suo declino.
In questo contesto viene introdotto il NUMERO CHIUSO. Ecco qual è il disegno "folle" che c'è dietro...
L'introduzione del numero chiuso alla Statale di Milano segna un passaggio di fase che ricorderemo. Si dice infatti spesso che l'Italia in questi ultimi anni ha negato il futuro ai propri figli. È vero solo in parte.
Da un lato ha infatti permesso una ristrutturazione selvaggia della propria base produttiva, accettando sostanzialmente di uscire dalla fascia alta del mondo globalizzato, per posizionarsi su una più comoda fascia intermedia. Questo significa aver meno bisogno di capitale finanziario e umano, essere inseriti in condizioni subordinate nella catena di produzione di valore, avere la necessità di manodopera a basso costo, dover ridurre il peso del welfare.
Dall'altro ha continuato, seppur fra difficoltà crescenti, a garantire ai giovani la possibilità di accedere a costi relativamente contenuti a un'istruzione di livello universitario di buona qualità, poco spendibile sul territorio nazionale, ma certamente non all'estero.
Mentre si creava il deserto in Italia, si continuava a garantire un buon passaporto a chi volesse lasciarla. Se ce la fai, studia e vattene: questo è stato il vero patto generazionale degli ultimi anni, e ha funzionato, perlomeno sotto il profilo della stabilità sociale e politica.
È un fatto noto che la nostra vera classe dirigente viva e lavori prevalentemente all'estero, costretta a disinteressarsi del destino collettivo del paese d'origine.
Il problema di questo sistema è che non può protrarsi all'infinito, perché una base improduttiva impoverita in regime di mercato globale non regge lo sforzo fiscale necessario ad alimentare un sistema di istruzione e ricerca che le è sostanzialmente inutile. D'altra parte anche l'importazione dall'estero di lavoratori a basso costo e media scolarizzazione prima o poi incontra un limite sia interno che esterno.
Si arriva quindi alla doppia necessità di rilanciare l'istruzione tecnico-professionale superiore e tagliare drasticamente l'accesso all'Università. Quello appunto che sta accadendo, sotto la copertura retorica insopportabile del "saper fare".
Le ragioni del merito, evidentemente, non sono minimamente dirimenti, se non nella retorica di politica e apparati mediatico-accademici che farebbero un altro mestiere secondo qualsiasi concezione meritocratica.
Il punto è strettamente politico e attiene al modello di società che abbiamo in mente, alla distribuzione del potere, al rapporto fra classi e ceti sociali. Le attuali classi dirigenti non hanno alcun obiettivo collettivo, se non la perpetuazione della rendita per chi ne possiede una e la valorizzazione delle singole eccellenze produttive nel sistema della concorrenza globale.
Non ci si può aspettare niente da loro e niente ci daranno, se non il peggioramento continuo delle condizioni di vita. Dovrebbero emergerne di nuove, che ripartano dal desiderio di ribaltamento del capitalismo all'italiana, recuperando la necessità di una direzione politica dell'economia e quindi dell'intervento diretto dello Stato, come condizione di una nuova via alta allo sviluppo. Questo tuttavia comporta la necessità di un vecchio arnese: il partito.
Consiglio a tutti e a me stesso di rileggere Gramsci nelle prossime settimane, per farne uso nei prossimi mesi.
** Fonte: Huffington Post
1 commento:
Questo pezzo venendo da uno di sinistra italiana non poteva non concludere con un inno implicito al capitalismo tedesco.
Quando si dice che i laureati vanno via. Quando si dice che bisogna ribaltare il capitalismo italiano...come se il processo in atto in italia non fosse in atto in molti altri parsi. Quando non si fa una critica una al capitalismo in generale e non si menziona neanche la UE in tutto ciò.
L unica conclusione può essere "facciamo come la Germania".
Spero che la redazione ne sia consapevole. Questi di SI sonp peggio della peste.
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