sabato 17 dicembre 2016

PATRIOTTISMO SÌ, NAZIONALISMO NO di Moreno Pasquinelli

[ 17 dicembre ]

Pubblichiamo il testo dell'intervento che verrà pronunciato a nome di Programma 101 all'incontro di Bologna


Cari compagni,

non mi dilungherò sulla portata e sui significati che la massiccia vittoria del NO al referendum ha portato alla luce. Essi sono infatti, per chi voglia davvero vederli, espliciti, primo fra tutti che si va velocemente sfaldando la lunga supremazia delle élite dominanti, che nel Paese la larga maggioranza chiede una svolta profonda, sociale e politica. Il Paese non soffre solo una crisi economica e sociale la più drammatica, la maggioranza del popolo avverte che esso vive una vera e propria crisi esistenziale. Mettiamola così intanto: il Paese è diviso in due blocchi sociali eterogenei e contrapposti: quello della conservazione neoliberista, oligarchico e globalista, e quello antioligarchico e nazionale-popolare. Se nel primo è il Pd l’elemento portante, nel secondo è il M5S. La situazione è tuttavia fluida, nuovi spostamenti dentro questi du blocchi avverranno, e tutti e due, sotto la pressione degli eventi e del conflitto, sono destinati, prima o poi, a lasciare il posto a nuovi protagonisti. Sicché possiamo affermare che in entrambi questi campi è aperta la lotta per l’egemonia

Vorrei agganciare il mio ragionamento politico sull’IMPLICITO, sul segno anti-europeo e anti-globalista che il NO contiene e su ciò che ne consegue per tutti noi.
Dopo decenni di sbornia europeista l’ostilità all’ordine eurocratico è diventato senso comune, si esprime non solo in uno “stato d’animo” fuggente, bensì nella consapevolezza che la globalizzazione è insostenibile, quindi del carattere oligarchico, antipopolare, antidemocratico di quest’Unione matrigna. Il timore di ciò che potrebbe accadere dopo l’inevitabile implosione è il fattore che trattiene l’euroscetticismo diffuso del divenire ripudio deciso.

Questo spiega perché sia il Movimento 5 Stelle ad avere il vento in poppa. La ragione del suo successo è che si tratta di una forza che con grande abilità insegue l’umore delle masse colpite dalla crisi sistemica, che si limita a dare voce al senso comune, alimentando l’illusione di quella che potremmo chiamare “rivoluzione gentile”. Sappiamo che gli avvenimenti innanzi a noi faranno a pezzi certe illusioni, ma stiamo attenti a sottovalutare la questione Cinque Stelle. Proprio per questa loro capacità di mettersi in sintonia con le masse degli esclusi potrebbero essere costretti, e nel caso lo vedremo presto, ad alzare il tiro, passando da un frenetico attivismo istituzionale ad una funzione di stimolo della mobilitazione extra-parlamentare. Dio ce ne scampi quindi da ogni settarismo, più che mai dal lanciare l’anatema che M5S sia un movimento gatekeeper. Dobbiamo invece avere un approccio critico ma unitario perché se vogliamo costruire quello che noi di Programma 101 chiamiamo blocco anti-oligarchico o costituzionale pronto alla sfida del governo, è evidente che i Cinque Stelle sono, fino a prova contraria, nostri alleati. Che poi, nella temperie del conflitto i nemici di oggi possano diventare alleati domani, e viceversa, è una lezione che ci viene dalla storia.


Ugo Boghetta e Mimmo Porcaro ci segnalano la necessità di un’accelerazione, quella di costruire qui e ora un nuovo soggetto politico non minoritario. Ne descrivono i lineamenti essenziali: “un movimento popolare, costituzionale, per la sovranità e la riconquista dell’indipendenza nazionale”.

Siamo d’accordo, siamo d’accordo se intendiamo questo soggetto come un fronte, un polo, una casa in cui possano abitare, confederati sulla base di regole stringenti, le diverse e indipendenti corrrenti politiche sovraniste e democratiche. Immaginare una rapida reductio ad unum sarebbe velleitario, destinato al fallimento. In questa casa, posto l’accordo su un programma di misure imprescindibili per mettere in sicurezza il Paese, dev’esserci posto sia per coloro che considerano la Costituzione il non plus ultra, che per chi, come noi, tiene ferma la stella polare del socialismo. Sia per coloro, come noi, che ritengono necessaria l’uscita unilaterale da eurozona e Unione, sia per chi immagina una separazione consensuale e chiede sovranità monetaria ma permanendo in un’Unione riformata.
Dato che i ritmi della crisi diventeranno più incalzanti, giusto tentare di costruire questo polo-fronte politico in tempi stretti. E d’accordo anche nel tentare dare vita ad un pensatoio che potrebbe affiancare sperabilmente questo fronte.

Ugo e Mimmo pongono quindi il dito sulla piaga più dolorosa, sollevando il problema della identità e dei linguaggi che dovremmo utilizzare per farci largo tra le masse. Abbiamo idee quanto mai chiare su come uscire dal marasma e mettere in sicurezza il Paese; abbiamo detto anche troppo sulla dimensione economica della rottura con l’euro. Ma non possediamo ancora un linguaggio che ci aiuti ad essere compresi e apprezzati dalle larghe masse. Utilizziamo un politichese intellettualistico, tecnicistico, spocchioso, che i semplici non capiscono. Dobbiamo smettere di cantare la messa in latino, e parlare la lingua volgare del popolo. E qui si spiega la riflessione che tutti ci riguarda sul populismo.

Tuttavia, come ci insegna Carlo Formenti, populismo non è solo linguaggio: Dio ce ne scampi da un populismo che sia solo tecnica politica, retorica narrativa o addirittura demagogica. Esso è invece un discorso simbolico che punta, prima ancora che alla sfera razionale, al cuore del popolo ferito e vilipeso; è un appello che commuove chi lo riceve e che suscita sentimenti di riscatto sociale; un racconto che porta a galla dimensioni spirituali nascoste nelle profondità della storia di ogni nazione. Quando la situazione è drammatica nessuna narrazione politica può sperare di diventare egemonica se non ha pathos. Populismo, per quanto ci riguarda populismo socialista, è quindi l’incontro tra una visione radicale ed una pratica politica di massa. E’ anzitutto l’identificazione di un nemico, su cui concentrare l’odio sociale e contro il quale si chiama alla lotta per annientarlo.


La discussione sulla identità, se non è disquisizione politicista, deve spingerci a trovare questo discorso, una narrazione grande, unificante, che muova le larghe masse.
Lasciatemi quindi dire che né l’appello democratico alla applicazione della Costituzione, né l’abusata e sindacalistica rivendicazione dei diritti sociali, e nemmeno l’uscita dall’euro, riescono a comporre una narrazione che possa liberare le energie popolari, che cioè tocchi corde profonde.
Il discorso che ci serve NON dobbiamo inventarlo, lo abbiamo già, ma sta nascosto, tra le pieghe di questi livelli di realtà, sepolto sotto vecchi paradigmi. Dobbiamo portalo allo scoperto.  

E’ il discorso del patriottismo. Il popolo può diventare protagonista solo se sente di essere una comunità solidale, se e solo non si sente un intruso ma padrone della nazione in cui vive.

Non è qui la sede per ripercorre la genesi storica del patriottismo. Esso, prima di venire trasfigurato dai dominanti nella seconda metà dell’Ottocento in un nazionalismo reazionario, fu rivoluzionario, libertario e democratico. La controffensiva ideologica delle sinistre di allora, marxisti in testa, tutta basata sull’abbandono del patriottismo a favore di un’internazionalismo di evidente matrice cosmpolitica proto-borghese, fece fiasco, e ne paghiamo ancora le conseguenze. Di quell’internazionalismo, nato proletario, non resta infatti oggi che il suo sostrato cosmopolitico liberale. Un’arma micidiale: essa è stata la grande e cosmetica narrazione con cui la plutocrazia capitalista ha nascosto la globalizzazione e la sua controffensiva storica.

«Questa tradizione di pensiero è penetrata a sinistra attraverso diverse vie, prima fra tutte la scuola del “diritto cosmpolitico (“weltbürgerrecht”) che va da Hans Kelsen a Jürgen Habermas a Norberto Bobbio. Questo cattivo universalismo, sotto le mentite spoglie del pacifismo e della sacralità dei diritti umani, di una irenica lex mondialis valida erga omnes, si è rivelato il rivestimento cosmetico dell’occidentalizzazione, anzi della americanizzazione armata del mondo». 
Mentre l’internazionalismo cosmpolitico è oggi l’anestetico più potente per imbrigliare e soggiogare i popoli, le terribili ferite inferte al popolo lavoratore e lo spaesamento causati dalla globalizzazione neoliberista stanno facendo risorgere, seppure ancora in forme latenti, il sentimento di amore per la Patria, il bisogno di sentirsi una Nazione, la spinta alla sovranità, il bisogno di affratellamento comunitario contro il nemico esterno e i suoi lacchè interni. I grandi capitalisti non solo non si sentono italiani, essi si sentono parte di una famiglia capitalista predatoria globale, ed agiscono come elemento dissolutore e distruttore della nazione.


Si può e si deve declinare e raccontare questo patriottismo come opposto e antagonista al nazionalismo di certe destre xenofobe e imperialiste. E per questo è importante il linguaggio, il codice simbolico con cui lo utilizziamo. Il nostro patriottismo è democratico, repubblicano, antifascista, quindi costituzionale. Fa suo il senso popolare di appartenenza alla nazione, che ha radici in vincoli di storia, di memoria, di lingua e di cultura. Questo patriottismo socialista non nasconde di essere italiano, se condanna i crimini storici commessi in nome della Patria, deve andare orgoglioso delle sue radici moderne, democratiche e socialiste, quelle che hanno innervato il Risorgimento, la prima resistenza antifascista capeggiata dagli Arditi del Popolo, fino alla Resistenza partigiana, che è stata anzitutto una guerra patriottica di liberazione nazionale.

Il nostro patriottismo è nemico del nazionalismo, non disprezza chi è diverso, non è intollerante verso gli altri popoli, a cui propone anzi fratellanza. E’ un antidoto contro ogni nazionalismo patologico fondato sul falso mito, potenzialmente razzista, dell’etnicità, che per ciò stesso tende ad a giustificare ogni porcheria, ogni ingiustizia, ogni sopruso commesso dai dominanti in nome della loro patria. Non sembri un’ossimoro: il nostro è patriottismo internazionalista, consapevole di essere erede di una vocazione universalistica italiana che ha radici antiche e che è stato il lievito della successiva civilizzazione europea. E’ perché siamo patrioti che abbiamo condannato lo sterminio sabaudo della rivolta del Mezzogiorno, bollata come brigantaggio. E’ perché siamo patrioti che abbiamo rifiutato di issare il tricolore in Libia. E’ perché siamo patrioti che non abbiamo partecipato alla carneficina imperialista della grande guerra. E’ perché siamo patrioti che abbiamo combattuto la monarchia ed il fascismo. E’ perché siamo patrioti che abbiamo lottato contro il regime democristiano. E’ perché siamo patrioti che abbiamo rifiutato la sudditanza italiana all’imperialismo americano e oggi chiediamo l’uscita dall’Unione europea. E’ perché siamo patrioti che abbiamo difeso la Costituzione e votato NO al referendum.

Il referendum, come ho detto, fotografa un Paese spaccato in due campi sociali contrapposti. Non c’è dubbio su quale sia il nostro campo, è appunto quello antiglobalista e nazionale. Quello che le élite bollano come populista. E’ in questo campo che il fronte patriottico di cui parliamo deve lanciare la sfida dell’egemonia: in opposizione non solo al nazionalismo reazionario ma pure ad ogni cretinismo legalitario. Questo campo è oggi presidiato da due forze principali: il M5S da una parte e dall’altra dalla Lega Nord salviniana. Il luogo che noi dovremmo andare ad occupare prima possibile, il solo che non sia ancora presidiato è, gioco forza, quello che sta sul fianco sinistro dei cinque stelle. E’ uno spazio politico ampio, destinato ad allargarsi ove M5S si dimostrasse del tutto incapace di tirar fuori il Paese dal marasma e ostile alla incipiente sollevazione popolare. Ma il fronte di cui parliamo non deve chiudersi in un recinto. L’appello alla ricostruzione politica e morale della patria dovrà sparigliare le carte nello stesso campo populista, puntare ad erodere il consenso di cui oggi godono le destre nazionaliste, sfondare anche in questo settore.

La crisi si aggraverà, il Paese entrerà in quello che più volte abbiamo definito “Stato d’eccezione”. Quello sarà il momento in cui chi ha sempre comandato sarà scalzato dal governo, in cui la maggioranza che si è espressa per il NO chiederà alle forze populiste di andare al potere. Sarà il momento in cui si deciderà chi vince la partita. Solo se avremo già costruito, sul fianco sinistro del M5S, il fronte di cui parliamo, potremo essere protagonisti della rischiosa partita. Rischiosa perché un fallimento del governo popolare d’emergenza potrebbe concludersi, o in una rivincita delle potenti forze eurocratiche e globaliste, e l’Italia diventerebbe un paese straccione, oppure con una svolta reazionaria capeggiata dagli eredi del fascismo.

Facciamo presto dunque, consapevoli che il nostro Paese, il nostro Popolo, sarà chiamato dalla storia, ancora una volta, nel bene o nel male, ad indicare il sentiero sul quale non solo l’Europa dovrà incamminarsi in futuro.


17 commenti:

Anonimo ha detto...


È già in atto una risacca populista.
Quello che non capite, nonostante ve lo abbia scritto varie volte, è che a questo stadio il populismo è "una cosa", tutto sommato accettabile anche da uno di sinistra ma indefinita, votata sia da persone disimpegnate che di sinistra che di centro che di destra moderata ma anche estrema.
In quanto indefinita cresce ma poi si sgonfia al momento di avvicinarsi all'inevitabile conflitto con le oligarchie che si sentono in procinto di essere scalzate dal potere.

Di conseguenza il populismo avrà la forza di affrontare la fase conflittuale solamente quando entreranno davvero in gioco anche le "anime" di destra più estrema.

È ovvio che sarà cosí:

1) al populismo le destre hanno già aderito da tempo mentre le sinistre, come testimonia questo articolo di MP, stanno ancora a discutere sulle solite questioni di lana caprina.

2) i populisti di destra sono già nazionalisti e patriottici mentre le sinistre stanno ancora a disquisire delle sottili differenze in nome di filosofi il cui solo nome se pronunciato è in grado di far perdere un milione di voti in un colpo solo.

in questa situazione la destra decisionista, di azione, di tradizione, nazionalista; in una parola la destra di derivazione fascista sarà in grado di affrontare il momento del conflitto e di rendere una cosa "definita" il populismo.

La sinistra potrebbe tranquillamente allearsi con la destra (cioè fare un CLN con la destra, con chi diavolo altro lo si correbbe fare???), in una collaborazione "di lotta" o se si vuole " di resistenza" - dopo la quale si torna a litigare ma nelle aule di un parlamento libero che sarà tornato democratico e vera espressione della volontà popolare nazionale - fondando il patto su:

1) difesa della democrazia e avvicinamento progressivo alla democrazia diretta

2) fine dell'indipendenza della banca centrale

3) separazione delle funzioni bancarie

4) ruolo centrale dello stato come regolatore dell'economia

5) lotta alle oligarchie inetrnazionali in nome della sovranità dei popoli

Potrebbe ma NON LO FARÀ.

Mi dispiace ma le persone VERAMENTE DI SINISTRA, quelle che sicuramente avranno compreso questo discorso, devono "adesso" prendere delle decisioni che le liberino dalla insostenibile zavorra delle sinistre "vendute", di quelle possibiliste verso i compromessi (Cuperlo, Fassina, Civati), dalle vecchie cariatidi tipo D'Alema, dagli imbecilli del comunismo sconfitto come PRC e da tutti i sindacalismi che sono stati cooptati.



Anonimo ha detto...

tutto molto buono ma,
se non premetti che
nostra patria è il mondo intero
sei tu che stai etnicizzando la patria
per cui al confine italiano al tuo discorso
viene controllato il passaporto

a me pare che sei tu che stai etnicizzando l'antiglobalizzazione

il populismo è la prima risposta
che la massa bue elabora in difesa del proprio interesse di casta
nazionale, esso non ha neanche una possibilita su un fantastiliardo di essere tramutata in un onda rivoluzionaria socialista
al massimo spunterà l'uomo forte il condottiero delle masse
per una svolta napoleonica e liberticida

occhio quindi a provare a cavalcare la tigre
potreste finire o straziati o infagottati in un vestito ideologico
fatto a brandelli

gli stati nazione hanno già fallito
la globalizzazione è il tentativo delle borghesie plutocratiche transnazionali
di estendere il loro dominio cosi da divenire
too big to fail

tentare di contrapporre a questo moloch
la rivoluzione fatta in una pozzanghera d'acqua sporca

l'europa delle banche
ci lascia una eredità che non abbiamo neanche iniziato ad esplorare
quella di creare una rete sociale
di europa delle genti
la dimensione minima che possa dare un ipotesi di successo finale

https://www.youtube.com/watch?v=FHIcXG4AXRU

Franco ha detto...

Pienamemte d'accordo .
Sono con voi da piccolo imprenditore .

Anonimo ha detto...

"Lei m'invita a gioire della gioia della patria. O amica mia, io amo la mia terra, la cultura e la tradizione della mia gente, con un'intensità d'affetto tanto più profonda quanto meno apparente. Il luogo comune del patriottardismo nazionalistico, l'entusiasmo prorompente smodato, l'offende questo mio amor patrio. Più che giubilo io provo angoscia per la mia patria; angoscia nel vedere ch'essa ancora non è ciò che dovrebbe essere, nel vedere in che mani essa è affidata, nel senso di quanto ci rimane da fare. […] Lo chauvinisme impervesante di questi giorni per le colonne delle gazzette non è ancora coscienza patria nel senso profondo della parola".
Da una lettera di Adolfo Omodeo alla futura moglie (citata da Viroli, http://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=378:lidea-di-patria-ieri-e-oggi&catid=49:in-questione&Itemid=112)

pippo pelazza ha detto...

La resistenza è stata anche, se non soprattutto, guerra civile. come puoi dimenticarlo?
Pippo Pelazza

Unknown ha detto...

Caro Pasquinelli,

ho letto con piacere l'articolo, anzi con soddisfazione.
Con soddisfazione perché noto il suo allineamento, e presumo di conseguenza l'allineamento del Movimento Popolare di Liberazione, alla prospettiva strategica disegnata tre anni e mezzo fa dall'allora ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità) oggi FSI (Fronte Sovranista Italiano) attraverso le parole del suo Presidente Stefano D'Andrea alla III Assemblea Nazionale del giugno 2013, ribadite poi l'anno dopo alla IV Assemblea Nazionale: https://www.youtube.com/watch?v=j23IOqHOBFk.
Il fronte comune che lei auspica c'è già: è il FSI, che lei e altri esponenti del MPL avete già avuto l'occasione di incontrare nel passato recente, ed è aperto a tutti i patrioti disposti a lottare per la libertà, l'indipendenza, la sovranità e il socialismo. Il FSI vi aspetta, sia come militanti che come alleati. Per la lotta comune per una causa comune.
A presto

Radek ha detto...

La Russia è risorta 15 anni fà, recuperando il suo passato storico, mettendo insieme gli zar e i bolscevichi come momenti della stessa nazione. La base della ripresa nazionale ha incluso tutti i settori del paese ed ha avuto successo per questa scelta politica.
Se pensiamo di escludere le cosidette destre antiglobaliste dal sovranismo democratico, hii l'impressione che falliremo.
Il programma di politica economica fra destra e sinistra sovranista mi pare convergente, come in politica estera la preferenza euroasiatica.
La differenza effettiva consiste nel giudizio sull'immigrazione.
La xenofobia silenziosa, fortemente presente nelle masse popolari non ci aiuterà.
La destra è in un certo senso "normale", tende a comportarsi e ad agire al di fuori del parametro universalista; in tal senso è un soggetto assimilabile a qualsiasi soggetto non occidentalizzato.
La nostra pretesa all'universalismo rende il ritorno al sovranismo più difficile.
saluti Radek

pasquino55 ha detto...

Trovo l'intervento che pronuncerà Moreno Pasquinelli a nome di P101 all'incontro di Bologna, un buon contributo che coglie quasi tutti i problemi e le opportunità che oggi ha chi vuole cambiare lo stato di cose presenti. Condivido molto l'affermazione della necessità impellente di abbandonare l'utilizzo di un "politichese intellettualistico, tecnicistico, spocchioso per parlare la lingua del popolo". Se le masse non capiscono cosa gli stai dicendo è inutile che gli parli.
Un altro punto che condivido riguarda il soggetto da costruire: un fronte, un polo, una casa in cui possano abitare, confederate, diverse e indipendenti correnti politiche, sovraniste e democratiche ognuna libera di professare la propria visione partitica. Reputo invece vecchio, limitante e non idoneo ai tempi, il contributo sul rapporto noi e gli altri(M5S-Lega). Se la ragione del successo di M5S risiede nella loro capacità di inseguire l'umore delle masse dando voce al senso comune alimentando l'illusione della "rivoluzione gentile" e pensiamo che gli avvenimenti futuri faranno a pezzi questa illusione, noi non dovremo essere quel fronte più avanzato "sul fianco sinistro del M5S" perché quando si aggraverà la crisi e si entrerà nello stato di eccezione e la maggioranza che si è espressa per il NO chiederà alle forze populiste di andare al potere, questo fronte, essendosi relegato alla sinistra del M5S, anche lanciando “l’appello alla ricostruzione politica e morale della patria”, non potrà divenire il protagonista che spariglia le carte nello stesso campo populista e puntare ad erode il consenso di cui oggi godono le destre nazionalistiche. Questa strategia ripropone strade già percorse e dimostratesi perdenti. Fare l'ala sinistra esterna di qualsiasi formazione o proposta politica, come hanno storicamente e ampiamente dimostrato tutti i gruppi, nati e morti alla sinistra del PCI senza minimamente incidere nella storia e nel futuro del paese.
Pensare di condizionare o portare formazioni politiche o aggregazioni numericamente più rilevanti sulle posizioni di una minoranza (che si ritiene più preparata ed idonea) esterna a loro, è velleitario e antistorico. Se sei minoranza studia ed agisci da maggioranza e solo allora potrai applicare le soluzioni che si riterranno giuste, senza chiedere ad altri di farlo. Credo che noi dovremmo essere, sia per il PD che per M5S e Lega, una dolorosa spina nel fianco per ciò che proponiamo e a chi ci rivolgiamo ritenendo comunque, strategicamente, che in questo particolare momento storico il nemico prioritario da combattere sia il Partito Democratico e gli interessi che rappresenta e tutela e il M5S e la Lega come dei non nemici.
Dobbiamo ragionare ed agire non da rassegnata minoranza che confida in errori altrui o in non prevedibili e/o favorevoli contingenze, ma da maggioranza ancora non espressa, ma consapevole delle proprie capacità e potenzialità.
Il Manzoni nei Promessi Sposi durante la peste di Milano scriveva “… in quel tempo il buon senso era presente ma rimaneva ben nascosto per paura del senso comune”.
Pasquino55

SOLLEVAZIONE ha detto...

Quanto prima proveremo a rispondere ai diversi commenti

SOLLEVAZIONE ha detto...

Pippo Pelazza scrive:

«La resistenza è stata anche, se non soprattutto, guerra civile. come puoi dimenticarlo?
Pippo Pelazza».

Anche Pippo, anche una guerra civile.
Le due cose si tengono, stanno assieme. La Resistenza, in quanto guerra di liberazione nazionale dall'occupante tedesco, è stata una lotta contro i loro lacchè italiani, i fascisti. Non a caso si era formato nel 1943, non il soviet, bensì il Comitato di Liberazione Nazionale, che raggruppava tutte le forze PATRIOTTICHE, da sinistra a destra. E i comunisti sono stati la forza più combattiva della Resistenza proprio perché chiamavano al dovere patriottico di liberare il Paese dall'invasore ed i suoi manutengoli (basta rileggere i proclami del PCI, dei socialisti, di GL, dei GAP, delle Brigate Garibaldi).
Il patriottismo non aveva nulla a che fare col nazionalismo fascista, perché legava l'idea della patria ai valori della libertà, della democrazia, dell'emancipazione sociale della classe operaia. Non a quelli falsi della razza o dell'etnia, e della supremazia imperialistica.
Il nazionalismo reazionario, anche oggi, non si vincerà opponendogli un astratto e imbelle internazionalismo, ma un patriottismo democratico, libertario e socialista.
Occorre separare, oggi come ieri, il grano dal loglio.
Se si condanna ogni sentimento di appartenenza e adesione alla comunità nazionale come nazionalismo reazionarie e razzista, non andremo da nessuna parte.

SOLLEVAZIONE ha detto...

Radek scrive:

«La nostra pretesa all'universalismo rende il ritorno al sovranismo più difficile».

In un breve articolo è impossibile sviscerare tutti gli aspetti di un discorso complesso.
Ho provato a spiegare alcune cose, tra cui:
(1) Il Patriottismo nasce democratico e rivoluzionario, diventa nazionalismo reazionario nella seconda metà dell'Ottocento quanto i dominanti usano il patriottismo come maschera ideologica dell'imperialismo nascente;
(2) il patriottismo italiano è, per profondissime cause storiche e vocazione, universalistico: la libertà che chiede per sé la riconosce a tutti gli altri popoli oppressi, non ritiene di essere superiore agli altri popoli, ma eguale nei diritti. E' quindi antagonista ad ogni pretesa colonialistica e imperialistica.
Preferisco dunque PATRIOTTISMO a "SOVRANISMO", perché quest'ultimo concetto, lo si voglia o meno, può nascondere pulsioni reazionarie e fasciste. No a caso è amato dai neofascisti italiani, vedi casa Pound ecc.
Non a caso il teorico del fascismo Alfredo Rocco, al tempo, esaltava contro il patriottismo ("salsa che si trova in tutte le vivande") il nazionalismo inteso come "attaccamento alla nazione e alla razza". Nella Enciclpedia italiana "Dizionario di politica", degli anni '30 non a caso non c'erano né le voci Patria né Patriottismo.
Moreno Pasquinelli

SOLLEVAZIONE ha detto...

Caro Domenico Di Russo:

Noi siamo per un nuovo CLN, ovvero per un'alleanza tattica tra le più diverse forze sociali e politiche per portare fuori il Paese dalla gabbia d'acciaio eurocratica. Parliamo anzi della necessità di un "BLOCCO COSTITUZIONALE" che prima o poi dovrà prendere in mano le redini del Paese. Ma noi siamo, come MPL e P101, forze che hanno una strategia, il socialismo. Non ci squaglieremo quindi nel nuovo CLN, perché non riteniamo sufficiente dire che occorre applicare la Carta del 1948.

Venendo al FSI in cui lei milita, proprio le sue parole illustrano come meglio non si potrebbe, l'ingenuità politica, che sta appunto nella pretesa che esso sia già il luogo di questa alleanza ampia, per cui si chiede alle altre forze patriottiche di entrare nelle sue file e di riconoscere nel suo leader, il nuovo Garibaldi.

Che FSI sia per il socialismo, non può che farci grande piacere.

Peccato che quando col D'Andrea nel novembre del 2011 tentammo di dare vita a assieme al Movimento Popolare di Liberazione, egli si separò da noi e uno dei motivi fu che si oppose a che ci fosse nel Manifesto programmatico ogni riferimento al socialismo. I documenti che lo attestano sono a disposizione.

Dove, nei suoi documenti programmatici FSI perora la causa socialista e anticapitalista? A noi non risulta.
In quale documento FSI dice quali sono i suoi riferimenti ideologici? Le sue radici? Il suo retroterra spirituale socialista?
Ci è sfuggito qualcosa?

Moreno Pasquinelli

SOLLEVAZIONE ha detto...

PASQUINO,

rispondiamo anche se Off topic.

M5S non è il PCI.
Non ha quelle solide radici sociali.
Non ha quel notevole gruppo dirigente.
Non ha quella potente e ramificata organizzazione.
Non quelle migliaia di quadri e di intellettuali, né quelle centinaia di migliaia di militanti disciplinati e devoti.
Non ha infine quella che al tempo era fortissima fede nel socialismo.

M5S è mille volte più fragile e, quel che conta, espressione politica momentanea del malessere del Paese, destinato quindi a vita breve.

Occupare lo spazio sociale alla sua sinistra, va da sé, è cosa del tutto diversa da quanto fece la sinistra extra-parlamentare degli anni '70. L'analogia posta da Pasquino non regge.

Il PCI non fu mai sull'orlo dell'implosione, di crollare sotto il peso di una crisi sistemica. Se ci sbagliamo lo vedremo, ma noi riteniamo che M5S non uscirà indenne dal ciclo sociale di turbolenza in cui stiamo entrando. Occorre dunque costruire, accanto a M5S, un luogo politico in cui ciò che di meglio esso contiene possa trovare albergo nel caso esso vada in pezzi.

Pippo Pelazza ha detto...

Cara Redazione, mi pare che nella vostra risposta persistete nel dimenticare la componente di classe che ha fortemente caratterizzato gran parte della base dei partigiani.Sottolineare soltanto l'aspetto di liberazione nazionale, ignorando il resto, significa allinearsi alla vecchia storiografia, ingessata dalle linee politiche dei partiti (ad esempio la linea togliattiana).Una lettura dell'archivio di Pietro Secchia potrebbe essere d'aiuto,così come "Una guerra civile.Storia della moralità nella Resistenza" di Claudio Pavone.Saluti. Pippo Pelazza

pasquino55 ha detto...

Fuori tema.
Quando iniziai a militare nel PCI la prima regola che mi venne insegnata fu quella che se mi fossi trovato in una discussione nella quale non ero in grado di sostenere la mia tesi, come tattica difensiva avrei dovuto accusare il mio interlocutore di essere fuori tema.
Teorizzare la creazione di un esercito parallelo, di riserva, subalterno al M5S cioè un socio di minoranza (anche se tutto va bene) tutti gli eventuali successi ottenuti verrebbero ascritti dai mass media esclusivamente al M5S, ignorando completamente e volutamente il contributo dato da qualsiasi altra formazione. Se invece dovesse andar male, come Pasquinelli ipotizza (cioè il Movimento sotto il peso di una crisi sistemica imploderà) allora vi sarà un luogo politico in cui il meglio di questo potrà trovare albergo. Questo ragionamento, come sempre, non tiene in alcun conto del contraccolpo politico e sociale che ne riceverebbe anche l’organizzazione politica alleata ad esso. Altro che raccogliere i cocci delle macerie del movimento. Questa caporetto travolgerebbe giustamente ed inevitabilmente tutta una prospettiva ed una strategia di lotta e di cambiamento facendo terra bruciata di tutte quelle posizioni politiche contigue o assimilabili a questo movimento. Solo chi in modo chiaro ed in tempi insospettabili avrà percorso, anche se non in modo conflittuale, strade alternative, potrà salvarsi e non essere travolto dal naturale reflusso che ne deriverà e potrà aspirare di mettersi alla testa della difficile, ma ancora possibile, costruzione di una alternativa morale, sociale ed economica, a questa tragedia liberal capitalista. CERTO ANDARE FUORI TEMA E’ UN ERRORE UMANO, MA VOLER PERSEVERARE AD ANDARE FUORI LOGICA E’ DIABOLICO.
Pasquino55

SOLLEVAZIONE ha detto...

caro Pasquino,

questa diatriba rischia di diventare stucchevole.
Per noi tattica e strategia sono strettamente connesse, ma sono sfere dell'agire politico differenti.
Con M5S abbiamo visioni sociali e politiche diverse, ma riteniamo sia doveroso allearsi contro il comune nemico, il blocco neoliberista e eurista dei poteri oligarchici. E' facile da capire, è l'ABC della lotta politica: individuare il nemico principale, colpire il nemico principale per batterlo, e per batterlo serve un'alleanza temporanea ampia, anche col nemico secondario se serve (CLN). Una volta liberato il Paese dalla gabbia oligarchica, l'alleanza lascerà il posto ad una nuova geografia politica, e forse l'alleato di ieri diventerà il nemico.

SOLLEVAZIONE ha detto...

COSA FU LA RESISTENZA?

Pippo Pelazza ha detto...

«Cara Redazione, mi pare che nella vostra risposta persistete nel dimenticare la componente di classe che ha fortemente caratterizzato gran parte della base dei partigiani.Sottolineare soltanto l'aspetto di liberazione nazionale, ignorando il resto, significa allinearsi alla vecchia storiografia, ingessata dalle linee politiche dei partiti (ad esempio la linea togliattiana).Una lettura dell'archivio di Pietro Secchia potrebbe essere d'aiuto,così come "Una guerra civile.Storia della moralità nella Resistenza" di Claudio Pavone.Saluti!.

Caro Pippo,

prova a capirci. Non dimentichiamo affatto la componente di classe delle Resistenza. Essa fu anzi la forza motrice della guerra di liberazione. Ma fu, appunto, forza motrice di una guerra patriottica (vedi anche Secchia), non di una rivoluzione socialista classe contro classe.

Possiamo anzi essere ancora più precisi: la Resistenza, in quanto guerra civile antifascista, fu anche (terzo aspetto) una guerra democratica, una rivoluzione democratica. Il fatto è che tu poni una barriera, che non c'era, tra lotta di classe e liberazione nazionale. E ne poni un'altra tra lotta per il socialismo e lotta per la democrazia.

Immagino poi che tu sei vicino alla scuola di pensiero che legge la Resistenza come una "rivoluzione socialista mancata".

Permettimi di dissentire da questa interpretazione. Ma questa a me pare già un'altra storia.

Moreno Pasquinelli

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