Mimmo Porcaro, Marco Mori e Ugo Boghetta |
Promosso dai compagni di Indipendenza e Costituzione si è svolto a Bologna, sabato 17 dicembre un incontro dal titolo "Che fare dopo il referendum". Sala affollata, interventi di ottimo livello, clima unitario. Forte la spinta a superare la frammentazione delle forze patriottiche e antiliberiste, la volontà di dare vita ad un nuovo e plurale movimento politico.
Qui le registrazioni videofilmate dell'incontro.
- Introduzione di Ugo Boghetta
- Discorso di Moreno Pasquinelli
- Discorso di Roberto Buffagni
- Discorso di Andrea Magoni
- Discorso di Paola De Pin
- Discorso di Marco Mori
- Discorso di Pier Paolo Dal Monte
- Discorso di Mimmo Porcaro
- Stralci di dibattito e le Repliche di Mimmo Porcaro, Moreno Pasquinelli e Pier Paolo Dal Monte
3 commenti:
Non ho ancora ascoltato tutto, ma intanto grazie per le cose fin qui interessanti e perlopiù condivisibili.
Mi soffermo sui due argomenti, molto connessi tra loro, che hanno creato o possono creare qualche controversia: nazione e identità.
Pier Paolo Dal Monte rispondendo a Roberto Buffagni ha detto che non si deve avere paura delle parole, giusto; aggiungerei che però dovendole usare, le parole, meglio scegliere quelle che si prestano a meno equivoci. Non saprei se "nazione" è preferibile a "patria", a orecchio direi di no ma rispetto all'impostazione universalistica (quella buona, spero) che giace sullo sfondo della mia formazione i 2 nomi sono comunque trascurabilmente distanti tra loro: del resto una parola rimanda alla "nascita" e l'altra ai "padri"; eventualmente, da questo, "nascita/nazione" è meno sospettabile di misoginia dell'altra "patria/padri": un po' lungo far apprezzare 'ste sfumature.
Come si fa a non voler bene a Moreno, come al solito coinvolgente, anche quando legge.
Condivido quasi tutto, del resto lo seguo da qualche anno.
L'unica cosa sulla quale sto riflettendo è l'argomento identitario che passerebbe anche dall'identificazione di un nemico da annientare.
Questo significherebbe, facendo le dovute proporzioni e riprendendo gli argomenti esposti da P.P. Dal Monte, cioè quelli di una ideologia nella quale da almeno 70 anni si identifica una élite consapevole dei suoi mezzi (finanziari/mediatici/militari-intelligence), fare la guerra a un colosso, con la testa altrove, rivendicando la sovranità dello spazio occupato dalla sua unghia del mignolo del piede destro: il punto non è la sovranità ma la sua declinazione.
Moreno parla della lotta per il socialismo che non deve precludere l'azione anche in quegli spazi sociali/popolari tradizionalmente sensibili ai richiami e al linguaggio della destra, aggiungendo che gli amici di oggi potranno diventare i nemici di domani, e viceversa.
Ma allora questa natura cangiante del nemico andrebbe meglio definita per non contraddirsi, mettendo tutta quell'enfasi sul nemico.
No, su questo (enfasi del "nemico") non sono d'accordo, di più, sarebbe un autogol. Attaccare è sempre più dispersivo che difendersi, come a Risiko.
Il mio riferimento su questo viene da oriente, più che a Gandhi penso ad Aurobindo e alla sua insostenibile leggerezza di una rivoluzione tranquilla, che attinge alla consapevolezza dell'ingiustizia che si sta consumando, che fa collassare dall'interno una costruzione ideologico/esistenziale fondata sul tradimento di un pricipio di umanità, che non può che richiedere molta più energia di quanta soldi e potere possano dare.
Continua...
Continua...
La crisi del sistema dovrebbe preoccupare soprattutto i maggiori beneficiari dello stesso, mentre lottiamo noi dobbiamo solo:
restare umani e con il buon umore, possibilmente senza perdere di vista l'itinerario esistenziale per tutti destinato a esaurirsi dentro un'ottantina di anni, vittime e carnefici;
sostenenerci a vicenda anche con attività nuove e creative che inceppano il sistema (mutuo soccorso, moneta alternativa, agricoltura solidale etc).
Perché dargli delle scuse più di quelle che le élite comunque saprebbero crearsi da soli (casus belli) e in più semplificandogli il lavoro facendoci trovare belli inquadrati e coi denti digrignati sul loro terreno preferito di scontro?
Per me molto meglio ridere della loro paranoia nell'aver perso il contatto con la realtà, in fondo la ricchezza che li opprime dovrebbe privarli della prospettiva di esseri/parte trascendenti che anelano come tutti l'unità/fusione con il Tutto attraverso la gioia del donarsi.
Cosa è la "sindrome Poletti" in scala se non il segno di un vezzo elitario di questa perdita di contatto dalla realtà comunemente vissuta dai più?
Quando una piccolissima parte di umanità cerca di controllare il resto l'ultima cosa da fare è dargli una ragione esistenziale, come difendere i propri figli.
Se è vero che anche i ricchi piangono e che forse un infelice coscienza elitaria qua e là...sempre che non siano alieni, come dice Icke.
francesco
Caro FRANCESCO,
sul discorso del "nemico" provo a risponderti con un articolo.
Moreno Pasquinelli
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