[ 31 dicembre ]
Formenti risponde a chi gli ha rivolto dure critiche per avere sostenuto che la vittoria di Trump è un "male minore" rispetto alla Clinton. A questi critici vorremmo segnalare la profezia di Michael Moore.
Sugli elettori di Trump si è detto tutto e il contrario di tutto: la tesi iniziale (sono stati gli operai bianchi incazzati per gli effetti della globalizzazione sulle loro condizioni di vita) è stata contestata da chi sosteneva che buona parte di quelli che lo hanno votato appartenevano a fasce di reddito medio alte.
Formenti risponde a chi gli ha rivolto dure critiche per avere sostenuto che la vittoria di Trump è un "male minore" rispetto alla Clinton. A questi critici vorremmo segnalare la profezia di Michael Moore.
Sugli elettori di Trump si è detto tutto e il contrario di tutto: la tesi iniziale (sono stati gli operai bianchi incazzati per gli effetti della globalizzazione sulle loro condizioni di vita) è stata contestata da chi sosteneva che buona parte di quelli che lo hanno votato appartenevano a fasce di reddito medio alte.
Poi la tesi iniziale è stata riformulata: non è tanto che gli operai bianchi hanno votato Trump, ma piuttosto che non hanno votato la Clinton, preferendo astenersi piuttosto che scegliere fra il minore di due mali (tesi che a me parrebbe più attendibile ove riferita ai giovani —operai e non— sostenitori di Sanders). Ma su una cosa tutti —soprattutto i media che avevano sostenuto a spada tratta la Clinton— sembrano essere d’accordo: quegli elettori sono sporchi, brutti e cattivi, gente che ha scelto Trump perché ne condivide l’ideologia razzista, sessista e ultraconservatrice.
Ma anche questa convinzione inizia a vacillare a mano a mano che divengono disponibili ricerche più approfondite. A metterla in discussione, in un interessante articolo sul New York Times, è l’analista politico David Paul Kuhn il quale rovescia il punto di vista: Trump non è stato eletto perché ha condotto una campagna sessista, razzista e ultraconservatrice, ma malgrado abbia seguito tale linea politica.
Ma anche questa convinzione inizia a vacillare a mano a mano che divengono disponibili ricerche più approfondite. A metterla in discussione, in un interessante articolo sul New York Times, è l’analista politico David Paul Kuhn il quale rovescia il punto di vista: Trump non è stato eletto perché ha condotto una campagna sessista, razzista e ultraconservatrice, ma malgrado abbia seguito tale linea politica.
La verità è, scrive Kuhn, che se tutti quelli che consideravano Trump un personaggio indecente avessero votato per lei, la Clinton avrebbe vinto a mani basse. L’autore dell’articolo cita, in proposito, una ricerca secondo cui il 51% degli elettori bianchi appartenenti alla classe lavoratrice pensavano che Trump fosse indecente e, almeno su questo piano, ritenevano la Clinton migliore. Ma non l’hanno votata! Non basta: un quinto degli elettori (più di 25 milioni di americani) hanno dichiarato di disapprovare l’atteggiamento di Trump nei confronti delle donne, ma tre quarti di queste persone hanno votato ugualmente per lui. Ancora: quasi la metà di coloro che hanno votato per Trump non condivideva le sue idee in materia di trattamento degli immigrati clandestini.
Naturalmente è vero che fra i suoi elettori la percentuale di razzisti è più elevata di quella presente nell’elettorato rimasto fedele al Partito Democratico, ma non è questo che ha determinato il risultato. Allo stesso modo in cui Bill Clinton aveva vinto le elezioni del 1996 malgrado un terzo dei suoi elettori lo considerasse bugiardo e disonesto, argomenta Kuhn, Trump ha vinto in barba alla pessima opinione che di lui avevano buona parte delle persone che lo hanno votato. Nell’uno e nell’altro caso, a determinare la scelta degli elettori —soprattutto di quelli più esposti alle incertezze dell’economia— è stata la speranza di far vincere qualcuno che avrebbe fatto i loro interessi (o almeno di far perdere qualcuno che sicuramente non li avrebbe fatti). Non a caso, Trump ha sfondato laddove Bush aveva invece raccolto poco o niente, vale a dire nelle aree del Paese più duramente colpite dalla liberalizzazione dei commerci e dalla concorrenza dei prodotti cinesi e di altri Paesi in via di sviluppo.
A quanto pare, Obama —un presidente che ha suscitato grandi speranze e delusioni ancora più grandi— non ha capito la lezione, almeno a giudicare da alcune sue dichiarazioni riportate in un articolo di Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 28 dicembre scorso: «Mi fossi presentato io per la terza volta, sarei stato rieletto», sembra abbia dichiarato.
Naturalmente è vero che fra i suoi elettori la percentuale di razzisti è più elevata di quella presente nell’elettorato rimasto fedele al Partito Democratico, ma non è questo che ha determinato il risultato. Allo stesso modo in cui Bill Clinton aveva vinto le elezioni del 1996 malgrado un terzo dei suoi elettori lo considerasse bugiardo e disonesto, argomenta Kuhn, Trump ha vinto in barba alla pessima opinione che di lui avevano buona parte delle persone che lo hanno votato. Nell’uno e nell’altro caso, a determinare la scelta degli elettori —soprattutto di quelli più esposti alle incertezze dell’economia— è stata la speranza di far vincere qualcuno che avrebbe fatto i loro interessi (o almeno di far perdere qualcuno che sicuramente non li avrebbe fatti). Non a caso, Trump ha sfondato laddove Bush aveva invece raccolto poco o niente, vale a dire nelle aree del Paese più duramente colpite dalla liberalizzazione dei commerci e dalla concorrenza dei prodotti cinesi e di altri Paesi in via di sviluppo.
A quanto pare, Obama —un presidente che ha suscitato grandi speranze e delusioni ancora più grandi— non ha capito la lezione, almeno a giudicare da alcune sue dichiarazioni riportate in un articolo di Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 28 dicembre scorso: «Mi fossi presentato io per la terza volta, sarei stato rieletto», sembra abbia dichiarato.
Ma è così? È vero che nel 2008 Obama aveva ottenuto un ottimo risultato anche fra quei lavoratori bianchi che ora hanno appoggiato Trump. Peccato che, nel frattempo, il suo gradimento sia crollato a causa delle sue scelte pro-globalizzazione, che hanno provocato la perdita di molti posti di lavoro, l’aumento della disuguaglianza e un drastico peggioramento delle condizioni di vita delle classi subordinate.
Ma lui non cambia idea: continua a essere un fan della “terza via” blairiana e accusa il laburista Jeremy Corbyn di avere “perso i contatti con i fatti e con la realtà”. Invece è lui ad averli persi, avendo rimosso che le classi sociali continuano ad esistere anche se i politici pensano di poterle manipolare con abili strategie comunicative e che, quando le élite tirano troppo la corda, le masse prima o poi si vendicano.
Certo Trump non è un’arma ideale per compiere la vendetta, ma visto che Obama, Clinton e i Democratici avevano fatto carte false per sabotare la candidatura di Sanders, non c’era alternativa.
1 commento:
si vota trump, o qualsiasi "populista", quando la sinistra non fa più la sinistra.
quando appoggia le elites globaliste.
quando appoggia il nazismo ukraino o salafita.
quando se ne frega di operai e piccoli imprenditori.
quando vive ai parioli ed è figlia di banchieri.
quando guadagna milioni per un concerto o un apparizione da fabio fazio.
quando sponsorizza ideologie dell'1% della popolazione (gender nelle scuole).
quando criminalizza il pensare e comportarsi da maschi e femmine (99% della popolazione).
quando criminalizza il mangiare carne.
quando ci fa 2 maroni tanti con le lontre della kamchatka.
quando impone un culto dittatoriale del malato, perverso e improduttivo ai danni del sano, normale e produttivo.
quando criminalizza la famiglia e ogni legame di sangue (basi della società a partire dagli indios) in favore di una popolazione di individui-schegge-impazzite più facilmente manovrabili.
quando crea neolingue e ministeri della verità che farebbero impallidire orwell e houxley.
antonio (esponente della "vecchia" sinistra).
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