[ 23 giugno ]
Adesso alcuni si aspettano da Renzi una qualche novità, qualche aggiustamento tattico, qualche ripensamento. In molti credono che il piatto forte potrebbe essere la rimessa in discussione dell'Italicum, come preme alla sinistra Pd. Scordatevelo. Non solo perché tutto ciò non è nelle corde del personaggio, ma soprattutto perché è oramai troppo tardi. Essendosi spinto troppo avanti, Renzi non può fare oggi un dietrofront così smaccato senza perdere completamente la faccia.
Venerdì si terrà la direzione del Pd, un luogo assai pittoresco dove il ducetto provoca e sfida gli avversari interni. I quali solitamente non sanno far di meglio che mettere in mostra la vocina timorosa di un Cuperlo, alternata alla faccina insicura di uno Speranza. Della natura da avanspettacolo di questo organismo ha parlato ieri anche Massimo D'Alema, in un'intervista già brillantemente commentata da Piemme. In ogni caso non è dalla sinistra piddina che verranno cose importanti.
Domandiamoci piuttosto quale sarà la mossa del presidente del consiglio di fronte alla debacle dei ballottaggi di domenica scorsa. A rischio di una rapida smentita, avanzo una risposta assai semplice: Renzi dirà che ci "vuole più Renzi". Può sembrare una battuta, ma non lo è. Certo, da imbonitore consumato qual è, ammetterà (come ha fatto ieri) qualche problema, dirà che "il Pd si deve aprire di più", che "deve ascoltare maggiormente i cittadini". Ma, accanto a queste banalità assolute, rilancerà dicendo che la "rottamazione" è stata insufficiente, che il Pd non è ancora un partito del tutto a sua immagine e somiglianza, che in parlamento ci vogliono ancora troppe mediazioni, che bisogna accelerare. E che lo strumento per arrivare ad un Renzi al cubo c'è già: la controriforma costituzionale su cui voteremo ad ottobre.
Lo stesso riconoscimento del successo di M5S come frutto di una spinta al cambiamento, verrà utilizzato per sostenere che il "suo" cambiamento - ovviamente l'unico col bollino di qualità dei poteri oligarchici - deve correre più forte.
Ma lasciamo perdere gli aspetti più strettamente propagandistici ed occupiamoci invece del tema Italicum. Al di là dei bersaniani, sono infatti diversi i commentatori che ritengono probabile, se non addirittura necessaria, una revisione della legge elettorale che entrerà in vigore a giorni, esattamente il prossimo primo luglio.
Il perché di tanto interesse non deriva però da una tardiva comprensione della natura incostituzionale ed antidemocratica di questa legge - che a lorsignori è arcinota e l'han voluta così proprio per quello -, bensì dalla constatazione che il ballottaggio pensato per incoronare il Bomba potrebbe finire per avvantaggiare proprio chi si voleva colpire: il Movimento Cinque Stelle.
In proposito chi scrive ha idee personali un po' diverse, intanto perché al ballottaggio bisogna arrivarci, e considerare la destra fuori gioco sarebbe un errore; in secondo luogo perché un ballottaggio alle politiche sarebbe cosa ben diversa da quello alle comunali. Ma di questo magari riparleremo.
Sta di fatto che la vittoria di M5S in 19 ballottaggi sui 20 ai quali ha partecipato sembra un segnale piuttosto inequivocabile. Da qui il terrore che serpeggia nei palazzi del potere, ed il grido che si è presto innalzato: cambiamo l'Italicum alla svelta per impedire che la Nemesi compia il suo dovere.
Il tema sembra dunque inevitabilmente alla ribalta, dato che non interessa solo al segretario del Pd, bensì a tutti i centri del potere reale. Questo significa che verrà affrontato - se non altro in termini di "promesse" - prima del referendum d'ottobre? Non penso proprio sia possibile. Non solo per ragioni di tempo, né per la difficoltà di uscirne con una modifica largamente condivisa in parlamento, ma soprattutto per un'altra ragione: Renzi non può permetterselo in nessun modo, e fino ad ottobre sarà sempre lui a dettare le danze. Dopo si vedrà.
Ad esser precisi c'è una ragione tecnico-politica che impedisce di metter mano alla legge elettorale già adesso. I bersaniani chiedono di tornare alle coalizioni, ma il vero nodo è un altro e si chiama ballottaggio. Ovvio che questo meccanismo non può essere applicato ad un sistema bicamerale, ma fino ad ottobre chi può dire con certezza se ci sarà oppure no il passaggio al mono-cameralismo? Sembra dunque inimmaginabile un ritocco alla legge prima del referendum. E dopo?
Dopo, inutile dirlo, la situazione non sarà in nessun caso uguale a quella di prima. Un Renzi vincente aprirebbe al ritorno delle coalizioni? E per ottenere che cosa, i pochi voti della sinistra sinistrata che già glieli dà gratis, come si è visto domenica? (1). Viceversa, un Renzi perdente determinerebbe la morte, non il semplice rimaneggiamento, dell'Italicum. Di cosa si sta dunque parlando? Sostanzialmente del nulla. La legge elettorale è in palio al referendum d'ottobre, prima non si potrà fare niente.
Ma forse, come dicono in diversi, qualche promessa Renzi la farà? Mi domando: e per ottenere che cosa? Vale la pena di passare palesemente per imbroglioni seriali (e questo sarebbe il meno) e per indecisionisti (e questo per lui sarebbe troppo) solo per ingraziarsi per qualche settimana Bersani? Direi proprio di no. E con quel no Renzi potrà anzi dire di guardare all'interesse generale - la "governabilità" - non a quello particolare, suo e del suo partito. Che poi gli italiani ci credano è certamente assai dubbio, ma le ragioni della propaganda questo suggeriscono.
Ma poi, cosa avrebbe da guadagnarci il Pd da un ritorno alle coalizioni? Premesso che l'Italicum le vieta, ma non può impedire i "listoni", cioè un altro modo per realizzarle; non è forse evidente a tutti che un pieno ripristino del sistema delle coalizioni colpirebbe sì in primo luogo M5S, ma avvantaggerebbe soprattutto la destra, non certo Renzi e il suo partito?
Ora, c'è forse in giro qualcuno che pensa che le oligarchie, nostrane e d'oltralpe, vogliano il ritorno al governo di una destra divisa, pasticciona ed in parte euroscettica? Non ci sembra proprio che sia questo il massimo desiderio di lorsignori. I quali, come sempre, hanno oggi un piano principale ed una subordinata. Il piano principale si chiama ancora Renzi, inutile ripetere per la centesima volta il perché. La subordinata, in caso di sconfitta del loro beniamino ad ottobre, è la riedizione di un governo di "larghe intese". Che è poi il modello con il quale governano in Germania e che cercheranno di imporre alla Spagna dopo le elezioni di domenica.
Ovviamente le cose non sono mai troppo semplici. Specie di questi tempi. E specie in Italia, dove la particolare configurazione che ha assunto il sistema politico rende ogni soluzione particolarmente complicata.
Se Renzi dovrà fare le valigie, il tentativo sarà quello di evitare l'implosione del suo partito (che si cercherebbe in tutti i modi di salvaguardare come perno del sistema), favorendo al tempo stesso una frattura definitiva nel campo della destra, con l'emersione di una nuova formazione votata all'alleanza con il Partito Democratico. Naturalmente non tutte le ciambelle riescono col buco, e non sempre i desideri dei padroni del vapore si realizzano. Ma la partita la giocheranno così nei prossimi mesi, non con mosse avventate oggi sulla legge elettorale.
Lasciando il campo dei dominanti per venire al nostro, quanto detto fin qui significa essenzialmente tre cose.
La prima è che non c'è nessun tappeto rosso già pronto ad accogliere l'ingresso trionfale di M5S a Palazzo Chigi. Il che dovrebbe essere ovvio, ma ricordarlo non fa male.
La seconda è che M5S non potrà andare da solo (leggi QUI) al governo, e qualora vi andasse senza un adeguato sostegno nel paese si incamminerebbe verso il disastro. La situazione di scontro politico-sociale che si profila non può essere affrontata solo rivendicando e praticando onestà, trasparenza e politica anti-casta. Questi tre requisiti sono infatti necessari, ma assolutamente insufficienti.
La terza - la più importante - è che occorre preparare l'alternativa costruendo un ampio fronte di forze politiche e sociali, in grado di avere il consenso della maggioranza reale della popolazione (no dunque alla scorciatoia delle leggi elettorali truffaldine); una maggioranza pronta a mobilitarsi e non solo a votare quando richiesto. Naturalmente M5S dovrà essere la forza centrale di questo schieramento, ma guai se tra i pentastellati dovesse continuare a prevalere la logica dell'autosufficienza.
In conclusione, così come due anni fa denunciammo subito (vedi La resistibile ascesa di Matteo Renzi) la pericolosità dell'ondata di pessimismo cosmico che annunciava un ipotetico "ventennio renziano", oggi bisogna mettere in guardia dalla faciloneria di chi pensa che il renzismo sia già alle nostre spalle. Non è così, anche perché il blocco dominante ha sì la subordinata di cui abbiamo detto, ma prima di arrivare ad applicarla i dominanti lavoreranno in tutti i modi per mantenere il fiorentino in sella. La verità è che Renzi sarà definitivamente sconfitto solo con il successo del no ad ottobre. Solo a quel punto si aprirà davvero una nuova fase politica, che costringerà tutti gli attori - compreso chi vorrà lavorare seriamente ad un'alternativa - a mosse forti e coraggiose. Adesso la partita è quella del referendum.
NOTE
(1) Come noto le liste della sinistra sinistrata non hanno dato indicazioni di voto per il turno di ballottaggio. Tuttavia uno studio del Cise-Luiss ci fornisce i flussi tra primo e secondo turno. A Milano, secondo questa ricerca, ben il 91% degli elettori di Basilio Rizzo avrebbe poi votato al secondo turno il renziano Sala. A Torino, messi di fronte alla scelta tra Fassino e Appendino, l'elettorato che al primo turno aveva votato Airaudo si sarebbe espresso al 47% per il candidato del Pd, mentre alla candidata di M5S sarebbe andato solo il 14%. Ovviamente il resto (39%) si sarebbe astenuto. Ecco perché diciamo che al Pd le coalizioni con quest'area politica non servono, dato che quando occorre questi il voto glielo danno comunque.
Alla vigilia dei ballottaggi avevamo dato un severo giudizio sulla pilatesca scelta dei sinistrati. Pilatesca poi neanche tanto, visto che alla fine hanno preferito alla grande i candidati piddini... Ancora più ridicola, perciò, l'incredibile dichiarazione post voto di Paolo Ferrero: «Scoppolone galattico al Pd di Renzi è dato fondamentale e positivo di queste elezioni». Giusto! Ma lo scoppolone glielo avete dato voi votando Fassino??? Ma per favore...
Adesso alcuni si aspettano da Renzi una qualche novità, qualche aggiustamento tattico, qualche ripensamento. In molti credono che il piatto forte potrebbe essere la rimessa in discussione dell'Italicum, come preme alla sinistra Pd. Scordatevelo. Non solo perché tutto ciò non è nelle corde del personaggio, ma soprattutto perché è oramai troppo tardi. Essendosi spinto troppo avanti, Renzi non può fare oggi un dietrofront così smaccato senza perdere completamente la faccia.
Venerdì si terrà la direzione del Pd, un luogo assai pittoresco dove il ducetto provoca e sfida gli avversari interni. I quali solitamente non sanno far di meglio che mettere in mostra la vocina timorosa di un Cuperlo, alternata alla faccina insicura di uno Speranza. Della natura da avanspettacolo di questo organismo ha parlato ieri anche Massimo D'Alema, in un'intervista già brillantemente commentata da Piemme. In ogni caso non è dalla sinistra piddina che verranno cose importanti.
Domandiamoci piuttosto quale sarà la mossa del presidente del consiglio di fronte alla debacle dei ballottaggi di domenica scorsa. A rischio di una rapida smentita, avanzo una risposta assai semplice: Renzi dirà che ci "vuole più Renzi". Può sembrare una battuta, ma non lo è. Certo, da imbonitore consumato qual è, ammetterà (come ha fatto ieri) qualche problema, dirà che "il Pd si deve aprire di più", che "deve ascoltare maggiormente i cittadini". Ma, accanto a queste banalità assolute, rilancerà dicendo che la "rottamazione" è stata insufficiente, che il Pd non è ancora un partito del tutto a sua immagine e somiglianza, che in parlamento ci vogliono ancora troppe mediazioni, che bisogna accelerare. E che lo strumento per arrivare ad un Renzi al cubo c'è già: la controriforma costituzionale su cui voteremo ad ottobre.
Lo stesso riconoscimento del successo di M5S come frutto di una spinta al cambiamento, verrà utilizzato per sostenere che il "suo" cambiamento - ovviamente l'unico col bollino di qualità dei poteri oligarchici - deve correre più forte.
Ma lasciamo perdere gli aspetti più strettamente propagandistici ed occupiamoci invece del tema Italicum. Al di là dei bersaniani, sono infatti diversi i commentatori che ritengono probabile, se non addirittura necessaria, una revisione della legge elettorale che entrerà in vigore a giorni, esattamente il prossimo primo luglio.
Il perché di tanto interesse non deriva però da una tardiva comprensione della natura incostituzionale ed antidemocratica di questa legge - che a lorsignori è arcinota e l'han voluta così proprio per quello -, bensì dalla constatazione che il ballottaggio pensato per incoronare il Bomba potrebbe finire per avvantaggiare proprio chi si voleva colpire: il Movimento Cinque Stelle.
In proposito chi scrive ha idee personali un po' diverse, intanto perché al ballottaggio bisogna arrivarci, e considerare la destra fuori gioco sarebbe un errore; in secondo luogo perché un ballottaggio alle politiche sarebbe cosa ben diversa da quello alle comunali. Ma di questo magari riparleremo.
Sta di fatto che la vittoria di M5S in 19 ballottaggi sui 20 ai quali ha partecipato sembra un segnale piuttosto inequivocabile. Da qui il terrore che serpeggia nei palazzi del potere, ed il grido che si è presto innalzato: cambiamo l'Italicum alla svelta per impedire che la Nemesi compia il suo dovere.
Il tema sembra dunque inevitabilmente alla ribalta, dato che non interessa solo al segretario del Pd, bensì a tutti i centri del potere reale. Questo significa che verrà affrontato - se non altro in termini di "promesse" - prima del referendum d'ottobre? Non penso proprio sia possibile. Non solo per ragioni di tempo, né per la difficoltà di uscirne con una modifica largamente condivisa in parlamento, ma soprattutto per un'altra ragione: Renzi non può permetterselo in nessun modo, e fino ad ottobre sarà sempre lui a dettare le danze. Dopo si vedrà.
Ad esser precisi c'è una ragione tecnico-politica che impedisce di metter mano alla legge elettorale già adesso. I bersaniani chiedono di tornare alle coalizioni, ma il vero nodo è un altro e si chiama ballottaggio. Ovvio che questo meccanismo non può essere applicato ad un sistema bicamerale, ma fino ad ottobre chi può dire con certezza se ci sarà oppure no il passaggio al mono-cameralismo? Sembra dunque inimmaginabile un ritocco alla legge prima del referendum. E dopo?
Dopo, inutile dirlo, la situazione non sarà in nessun caso uguale a quella di prima. Un Renzi vincente aprirebbe al ritorno delle coalizioni? E per ottenere che cosa, i pochi voti della sinistra sinistrata che già glieli dà gratis, come si è visto domenica? (1). Viceversa, un Renzi perdente determinerebbe la morte, non il semplice rimaneggiamento, dell'Italicum. Di cosa si sta dunque parlando? Sostanzialmente del nulla. La legge elettorale è in palio al referendum d'ottobre, prima non si potrà fare niente.
Ma forse, come dicono in diversi, qualche promessa Renzi la farà? Mi domando: e per ottenere che cosa? Vale la pena di passare palesemente per imbroglioni seriali (e questo sarebbe il meno) e per indecisionisti (e questo per lui sarebbe troppo) solo per ingraziarsi per qualche settimana Bersani? Direi proprio di no. E con quel no Renzi potrà anzi dire di guardare all'interesse generale - la "governabilità" - non a quello particolare, suo e del suo partito. Che poi gli italiani ci credano è certamente assai dubbio, ma le ragioni della propaganda questo suggeriscono.
Ma poi, cosa avrebbe da guadagnarci il Pd da un ritorno alle coalizioni? Premesso che l'Italicum le vieta, ma non può impedire i "listoni", cioè un altro modo per realizzarle; non è forse evidente a tutti che un pieno ripristino del sistema delle coalizioni colpirebbe sì in primo luogo M5S, ma avvantaggerebbe soprattutto la destra, non certo Renzi e il suo partito?
Ora, c'è forse in giro qualcuno che pensa che le oligarchie, nostrane e d'oltralpe, vogliano il ritorno al governo di una destra divisa, pasticciona ed in parte euroscettica? Non ci sembra proprio che sia questo il massimo desiderio di lorsignori. I quali, come sempre, hanno oggi un piano principale ed una subordinata. Il piano principale si chiama ancora Renzi, inutile ripetere per la centesima volta il perché. La subordinata, in caso di sconfitta del loro beniamino ad ottobre, è la riedizione di un governo di "larghe intese". Che è poi il modello con il quale governano in Germania e che cercheranno di imporre alla Spagna dopo le elezioni di domenica.
Ovviamente le cose non sono mai troppo semplici. Specie di questi tempi. E specie in Italia, dove la particolare configurazione che ha assunto il sistema politico rende ogni soluzione particolarmente complicata.
Se Renzi dovrà fare le valigie, il tentativo sarà quello di evitare l'implosione del suo partito (che si cercherebbe in tutti i modi di salvaguardare come perno del sistema), favorendo al tempo stesso una frattura definitiva nel campo della destra, con l'emersione di una nuova formazione votata all'alleanza con il Partito Democratico. Naturalmente non tutte le ciambelle riescono col buco, e non sempre i desideri dei padroni del vapore si realizzano. Ma la partita la giocheranno così nei prossimi mesi, non con mosse avventate oggi sulla legge elettorale.
Lasciando il campo dei dominanti per venire al nostro, quanto detto fin qui significa essenzialmente tre cose.
La prima è che non c'è nessun tappeto rosso già pronto ad accogliere l'ingresso trionfale di M5S a Palazzo Chigi. Il che dovrebbe essere ovvio, ma ricordarlo non fa male.
La seconda è che M5S non potrà andare da solo (leggi QUI) al governo, e qualora vi andasse senza un adeguato sostegno nel paese si incamminerebbe verso il disastro. La situazione di scontro politico-sociale che si profila non può essere affrontata solo rivendicando e praticando onestà, trasparenza e politica anti-casta. Questi tre requisiti sono infatti necessari, ma assolutamente insufficienti.
La terza - la più importante - è che occorre preparare l'alternativa costruendo un ampio fronte di forze politiche e sociali, in grado di avere il consenso della maggioranza reale della popolazione (no dunque alla scorciatoia delle leggi elettorali truffaldine); una maggioranza pronta a mobilitarsi e non solo a votare quando richiesto. Naturalmente M5S dovrà essere la forza centrale di questo schieramento, ma guai se tra i pentastellati dovesse continuare a prevalere la logica dell'autosufficienza.
In conclusione, così come due anni fa denunciammo subito (vedi La resistibile ascesa di Matteo Renzi) la pericolosità dell'ondata di pessimismo cosmico che annunciava un ipotetico "ventennio renziano", oggi bisogna mettere in guardia dalla faciloneria di chi pensa che il renzismo sia già alle nostre spalle. Non è così, anche perché il blocco dominante ha sì la subordinata di cui abbiamo detto, ma prima di arrivare ad applicarla i dominanti lavoreranno in tutti i modi per mantenere il fiorentino in sella. La verità è che Renzi sarà definitivamente sconfitto solo con il successo del no ad ottobre. Solo a quel punto si aprirà davvero una nuova fase politica, che costringerà tutti gli attori - compreso chi vorrà lavorare seriamente ad un'alternativa - a mosse forti e coraggiose. Adesso la partita è quella del referendum.
NOTE
(1) Come noto le liste della sinistra sinistrata non hanno dato indicazioni di voto per il turno di ballottaggio. Tuttavia uno studio del Cise-Luiss ci fornisce i flussi tra primo e secondo turno. A Milano, secondo questa ricerca, ben il 91% degli elettori di Basilio Rizzo avrebbe poi votato al secondo turno il renziano Sala. A Torino, messi di fronte alla scelta tra Fassino e Appendino, l'elettorato che al primo turno aveva votato Airaudo si sarebbe espresso al 47% per il candidato del Pd, mentre alla candidata di M5S sarebbe andato solo il 14%. Ovviamente il resto (39%) si sarebbe astenuto. Ecco perché diciamo che al Pd le coalizioni con quest'area politica non servono, dato che quando occorre questi il voto glielo danno comunque.
Alla vigilia dei ballottaggi avevamo dato un severo giudizio sulla pilatesca scelta dei sinistrati. Pilatesca poi neanche tanto, visto che alla fine hanno preferito alla grande i candidati piddini... Ancora più ridicola, perciò, l'incredibile dichiarazione post voto di Paolo Ferrero: «Scoppolone galattico al Pd di Renzi è dato fondamentale e positivo di queste elezioni». Giusto! Ma lo scoppolone glielo avete dato voi votando Fassino??? Ma per favore...
5 commenti:
A proposito di dietrofront, DeMagistris va da Varoufakis... Il bacio della morte?
http://www.left.it/2016/06/23/la-rivoluzione-di-de-magistris-a-roma-il-sindaco-di-napoli-incontra-yanis-varoufakis/
Sul sito Facebook di De Magistris c'è il live video dell'incontro di oggi al circolo Baobab di Roma con lui e Varoufakis
https://it-it.facebook.com/demagistrisluigi/
Grazie per la segnalazione sull'incontro svoltosi ieri a Roma con De magisteri e Varoufakis.
Alcuni di noi erano comunque presenti.
Per i compagni che leggono Sollevazione.
Ieri ero presente all'incontro di De Magistris con Varoufakis.
Di concreto si è detto poco, non era il luogo adatto evidentemente, il pubblico voleva più sentirsi dire con entusiasmo che "esiste una alternativa" e infatti fra speaker e commenti degli spettatori la frase che ricorreva di più era appunto quella.
Di buono c'è che De magistris è un fenomenale oratore che sa infiammare gli animi usando toni che vanno dall'incazzato al confidenzial-napoletano sempre al momento giusto e con le parole giuste.
A un certo punto una ragazza davanti a me si è girata verso le amiche e ha detto: "Posso dire che lo amo?"
E insomma...uno così va coltivato...
Sulla sua amministrazione ha affermato che nonostante il governo volesse tagliargli i fondi per la scuola lui (non si sa bene come) si è opposto.
Da questo se ne ricava, se vogliamo scendere sul pratico, che è presumibile che quando gli taglieranno i fondi di nuovo un po' per ricatto ma soprattutto per il patto di stabilità, lui si opporrà nuovamente e quindi si troverà a entrare in conflitto aperto con le direttive europee.
In altre parole: se manterrà il punto a Napoli lo manterrà in Europa una volta che si dedicherà al movimento nazionale (come ha ripetuto in una improvvisata conferenza stampa poco prima dell'incontro) e questo indipendentemente da ciò che dichiara o no dichiara adesso sulla moneta unica o dal fatto che si è portato appresso quel mezzo cadavere di Varoufakis.
Il greco, detto per inciso, nella sua rigidezza un po' triste a paragone dell'oratoria di De Magistris fa quasi compassione.
Buona ache la parte in cui sottolinea che le realtà locali devono riprendersi la loro autonomia relativamente alle decisioni che riguardano il territorio. Una prospettiva in linea con i tempi visto che come scrive anche Sapir si sta diffondendo una reazione popolare verso le élites cosmopolite (ossia "lontane dal territorio") che potrebbe promettere bene sul piano europeo (quindi quando il movimento diventerà nazionale).
Meno convincente la parte sull'immigrazione, molto sentimentale, tutta tesa all'accoglienza sempre e comunque senza uno straccio di analisi.
Inutile parlare di dover abbattere i muri se non ci dici chi e perché fa venire gli immigrati in Europa.
Vi linko questo breve paper del parlamento inglese che spiega perfettamente tutto il meccanismo dello spostamento di lavoratori da un paese all'altro che nell'ambito degli accordi del WTO viene chiamato MODE4.
http://www.publications.parliament.uk/pa/cm201012/cmselect/cmbis/writev/735/kaucher.htm
Inutile essere per la chiusura o per l'apertura se prima non si parla di questo.
In cinclusione: quello che ci manca non è la competenza ma un uomo come De Magistris quindi personalmente non mi farei troppi problemi e anzi partirei decisamente in anticipo in modo da farci conoscere quando si è ancora in pochi riuscendo così a far valere le nostre competenze in economia e l'esperienza politica.
Alcuni sostengono che prima bisogna capire bene cosa vuole De Magistris.
Secondo me è un errore: prima si parte sulle buone premesse ampiamente dimostrate e poi si vede, tenendo conto che facendoci conoscere riusciremo probabilmente anche ad avere un minimo di influenza.
Se siamo tutti d'accordo che qualsiasi tentativo riformista o buonista arriverà a scontrarsi con la realtà della politica dell'Unione non ci resta che aspettare che anche gli altri (intendo nel movimento nazionale di LDM) si accorgano che abbiamo ragione.
Nel commento qui sopra si sostiene: "Alcuni sostengono che prima bisogna capire bene cosa vuole De Magistris. Secondo me è un errore". Condivido pienamente. Bisogna agire per orientare ed indirizzare un fenomeno che ha potenzialità positive, non mettersi su un piedastallo virtuale per commentare da spettatori passivi. I militanti politici agiscono nella realtà per cambiarla, i critici incocludenti e internettari, aspettano di capire.
Ma non bisogna nemmeno "aspettare che anche gli altri (intendo nel movimento nazionale di LDM) si accorgano che abbiamo ragione". Sta ai quadri politici della sinistra sovranista agire per far pesare le proprie ragioni nel futuro movimento, non aspettare di essere notati.
Ad esempio: che ne direste di promuovere un convegno di MPL o P101 con lo stesso De Magistris? Per iniziare quantomeno un confronto...
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