[ 12 giugno ]
Dalla controversa figura di Mario Draghi a Bretton Woods passando per la visione economica di Keynes e Federico Caffè, il declino italiano nel contesto europeo e le dinamiche internazionali tra Brexit e PPIT. Questi gli argomenti al centro di un’interessante confronto con il Professore Bruno Amoroso (nella foto), economista italo-danese di fama internazionale che ha insegnato a lungo presso l’Università di Roskilde in Danimarca. Oggi coordina programmi di ricerca e cooperazione con i Paesi dell’Asia e del Mediterraneo e presiede il Centro Studi Federico Caffè. Tra le sue pubblicazioni ‘Euro in bilico‘ (2011), ‘L’Europa oltre l’Euro‘, scritto con Jesper Jespersen (2012), ‘Federico Caffè. Le riflessioni della stanza rossa‘ (2012), ‘Figli di Troika‘ (2013), ‘Capitalismo predatore‘ (2014) ed ultimo in ordine temporale ‘La depredazione del Mediterraneo‘ (2016).
Professore, lei come Draghi è stato uno studente e poi collaboratore dell’economista italiano Federico Caffè. Tuttavia Draghi sembra aver completamente cambiato la propria visione economica e finanziaria volgendo ad un modello di matrice anglosassone e neoliberale, mentre lei è rimasto ben saldo sulla linea di pensiero tracciata dal suo professore. Come spiega la rivoluzione del pensiero di Draghi?
Draghi si laurea con Caffè con una tesi che sostiene il carattere negativo del progetto di moneta europea. Poi studia negli Stati Uniti ed è lì che entra nelle idee e nel mondo della finanza volgendo le spalle all’indirizzo di economia sociale di Federico Caffè e suo proprio. Quando Caffè inizia la sua battaglia negli anni Ottanta contro la finanza europea e internazionale i due sono evidentemente su fronti opposti. Perché questo avviene, che un brillante allievo combatta il suo maestro? L’ho spiegato nel libretto ‘I figli di Troika‘. Purtroppo la fase in cui ci si faceva uccidere per le proprie idee e in solidarietà con i propri compagni e amici -la fase della guerra partigiana- è ormai alle nostre spalle. I mezzi di corruzione che i nuovi poteri hanno sono forti e funzionano, così come la carne di cui è fatto il corpo dei nuovi ‘resistenti’ è flaccida e in decomposizione. L’alibi di questa trasfigurazione dell’anima e dei corpi è quello scritto nella biografia di Draghi su Wikipedia. È quello di proclamarsi liberal socialisti, come fanno anche tutti quelli fuggiti dal PCI. Ma anche Keyes era un socialista liberale, ma combatté sempre contro i costumi borghesi della sua epoca e fu alla testa della lotta contro l’arroganza dei poteri militari dell’epoca e della finanza che boicottò tutti i suoi piani di una sistema finanziario giusto ed equo. La fama di Keynes è dovuta al suo pensiero (come Caffè) e alla coerenza delle sue scelte, non certo al carattere brillante della carriera nelle istituzioni e nel mondo della finanza, come si legge dalla biografia di Draghi. Se Caffè avesse fatto quelle scelte se ne vergognerebbe e si sarebbe ritirato dalla vita attiva. È stato invece costretto a farlo per la coerenza delle sue scelte e per la sua forte opposizione ai poteri forti. Ma nulla va rimproverato a Draghi. Chi il coraggio non l’ha non se lo può di certo inventare. Per Draghi e le centinaia di persone analoghe, gli opportunisti della nostra epoca, andrebbe introdotta una legge che preveda l’esproprio di tutti i beni acquisiti con le loro carriere il giorno in cui un tribunale del popolo metterà in luce il loro ruolo svolto i danni dei popoli europei.
Draghi è anche spesso citato nei suoi testi, ponendolo al centro della sua analisi critica all’attuale sistema economico europeo. Ha mai avuto modo di confrontarsi direttamente con il Presidente della BCE?
Ovviamente no. Frequentiamo ambienti troppo diversi per poterci incontrare e non credo che da un tale confronto uscirebbe qualcosa di buono.
Al centro dei suoi testi vi è anche il Mediterraneo quale centro nevralgico di un modello europeo più accorto alla dimensione sociale e politica e meno smanioso di depauperare il proprio potenziale a favore di una sterile finanziarizzazione e completa liberalizzazione economica. Ultimo suo lavoro ‘La depredazione del Mediterraneo‘. ‘Irresponsabilità dell’Europa, capitalismo predatorio e guerre per il dominio nel XXI secol scritto con Francesco Caudullo ed edito da GoWare. Ma, secondo lei come può il Mediterraneo (e quindi l’Italia che ne fa parte) trasformarsi da regione frontiera e periferica, in punto di partenza per una nuova Europa?
Ormai non lo può più. L’ultima occasione storica è stata il processo di Barcellona, alla fine degli anni novanta. Il progetto presentato dall’UE era quello di un’area di ‘benessere condiviso’ costruita con la cooperazione tra Stati e istituzioni delle due sponde del Mediterraneo. Un processo di realistico graduale avvicinamento, nel rispetto reciproco della diversità dei sistemi politici e economici. I progetto fu limitato fin dall’inizio dalle pressioni USA-Israele per escludere i grandi Paesi arabi dell’interno, e per tener fuori la Libia. Tuttavia la partenza ci fu, e fu utile. Poi iniziò la politica attiva di boicottaggio degli USA con iniziative di frammentazione all’interno (area di libero commercio USA-Marocco), il bombardamento della Libia, guerra all’Iraq, ecc. La resa dell’UE ci fu agli inizi del duemila con il coniglio tirato fuori dal cappello da Prodi -le ‘politiche di vicinato’- che posero fine alla centralità del Mediterraneo per porre al centro le politiche NATO verso gli Stati ex-URSS, dove gli interessi militari prevalgono sul resto. L’Europa non ha futuro, è in piena frammentazione, e le sue frontiere a nord, confinanti con la Russia, sono in via di militarizzazione NATO per lo scontro militare con la Russia.
Nuova Europa sembra sempre di più l’esigenza concreta che questa crisi ha reso evidente. Tuttavia le politiche attuali sembrano volgere più su una difesa ad oltranza dell’attuale modello e le trattative frenetiche per il TTIP e la firma segreta del TISA sembrano convalidare tale visione. Tuttavia la Francia ha iniziato di recente a diffidare dall’accordo di libero commercio con gli Stati Uniti. Secondo lei siamo ad un possibile ricongiungimento tra popolo e politica o si finirà con l’ottemperare ai desideri commerciali di Washington?
Nel disfacimento europeo in corso, di cui chi seguita a parlare di ‘più Europa’ sembra non accorgersi, le oligarchie di ogni Paese giocano ormai i propri interessi nazionalistici in un rapporto diretto con gli Stati Uniti. Gli stessi metodi di convinzione messi in atto per imporre le scelte economiche e finanziarie sono oggi adottati per i trattati di commercio. La costituzione di nuove gerarchie e burocrazie europee e internazionali. In processi a porte chiuse, serve a cooptare i ‘draghi’ della situazione disposti a contrattare la propria fortuna con l’avvenire dei popoli. I popoli non sono rappresentati in questo processo perché hanno dato diritto di rappresentanza a politici corrotti. E segni di rivoluzioni nazionali necessarie al cambiamento non se ne vedono in questo momento.
Sempre sulle relazioni tra Europa e Stati Uniti, stride la posizione di Londra, che presto sottoporrà al suo popolo la decisione per un’eventuale uscita del Regno Unito dall’UE (referendum per il Brexit). Un’operazione che slegherebbe Londra dai vincoli europei liberandosi di una zavorra regolamentare poco utile alle ambizioni sovrane inglesi. Inoltre eviterebbe allo stesso popolo inglese di finire vittima del TTIP e gestire in maniera bilaterale i propri accordi commerciali. Ricordiamo, per avere un quadro completo, che Londra è stata in passato portavoce del liberismo economico nel vecchio continente, promotrice dell’Unione Europea, ma allo stesso tempo, attore accorto a non aderire all’unione monetaria preservando la politica monetaria nazionale da ingerenze poco gradite. Una vera e propria strategia globale che fa di Londra un potenziale attore di primissimo livello se dovesse uscire dall’Europa. Possiamo provocatoriamente dire ‘Londra, missione compiuta!’ pronosticando la sua uscita dall’Unione Europea?
L’uscita della Gran Bretagna dall’UE è possibile. D’altronde è forse anche auspicabile poiché la Gran Bretagna è stata fin dall’inizio un partner contro l’idea di un’Europa sociale e democratica. Di fatto il braccio USA nell’UE. La sua uscita oggi, comunque non danneggia nulla, ma è in linea con le scelte nazionalistiche che fanno gli altri membri, compresa l’Italia, che è nell’UE per propri interessi mercantili e non certo per portare avanti un’idea diversa di Europa. Italia, Gran Bretagna e Francia sono il braccio armato delle politiche NATO e dei grandi interessi economici nel Mediterraneo.
Torniamo alla visione del modello economico dominante ovvero il liberismo economico, libera concorrenza nei mercati, globalizzazione o villaggio globale che dir si voglia. Oggi la politica e quindi lo stato quale istituzione di tutela dei propri cittadini ha perso ogni potere nei confronti del settore privato, arrivando a subire il giudizio o il volere di enti privati (ad esempio la Standard and Poor’s) tanto di poter parlare oggi di evoluzione del sistema verso l’iperliberismo e la finanziarizzaione. Secondo lei si è ancora nella possibilità di tornare indietro per riscrivere le regole dell’attuale carneficina dell’economia reale? Si tornerà mai ad una nuova Bretton Woods, dove gli stati riscriveranno le regole di un mondo attualmente senza regole o siamo destinati ad assistere alla privatizzazione dello stato fino ai suoi massimi organi?
Situazioni del tipo di quella oggi vissuta in Europa ci sono state nel passato e da entrambe si è usciti con due guerre mondiali. Bretton Wood, già proposto in anticipo da Keynes, trovò attuazione parziale dopo la seconda guerra mondiale e non fu certo il risultato della sola saggezza dei politici del tempo. Sul piano delle ipotesi teoriche, a uno studio aggiornato di una nuova cooperazione monetaria in Europa, che ha come premessa il ritorno a monete corrispondenti alla realtà economica delle varie aree europee, e quindi l’abbandono delle finzioni tipo euro o delle sovranità nazionali, sto lavorando insieme al mio collega Jesper Jespersen. Questo tanto per dimostrare che si potrebbe fare. Ma purtroppo i venti tirano in altra direzione. Venti di guerra, anche a nord, i cui sbocchi non sono certo influenzabili da studi tipo il nostro o da appelli e manifesti per una nuova Europa.
Fonte: lindro.it
1 commento:
"l’abbandono delle finzioni tipo euro o delle sovranità nazionali"
Ma a questo punto siamo al gatto che si morde la coda. Non si va da nessuna parte senza la possibilità che ogni nazione comandi alla propria moneta.
Eppure Auriti ha chiarito bene la questione anni or sono, ma i "SOLONI" ci hanno dato l'Euro. Forse l'autore del blog ha in mente un Euro su misura? Ma che pasticcio verrebbe fuori?!
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