[ 4 giugno ]
Due sondaggi, pubblicati ieri dal Guardian, danno in testa l'uscita dall'UE 52 a 48
Lorsignori sembravano sicuri. Dalla loro parte la City, le grandi banche d'affari dei due lati dell'Atlantico, Obama, la confindustria europea, il G7. E, naturalmente, l'oligarchia di Bruxelles al gran completo. Potenze in grado di influenzare fortemente il voto, con i loro media, i loro soldi, le loro campagne terroristiche. E, invece, l'esito del referendum britannico del 23 giugno non è per nulla scontato. Anzi.
Dopo che il quotidiano The Times ha pubblicato un sondaggio con il sì (Remain) e il no all'UE (Leave) esattamente alla pari, ieri è stata la volta del Guardian a raffreddare gli entusiasmi dei piani alti dei centri decisionali del potere londinese. Secondo un sondaggio del giornale inglese la Brexit sarebbe infatti in vantaggio 52 a 48%.
Per l'esattezza i sondaggi sono due, entrambi realizzati da ICM per The Guardian, ma con due metodologie diverse: il primo attraverso la rete, il secondo (considerato decisamente più attendibile) attraverso le tradizionali interviste telefoniche. La cosa interessante è che i due risultati sono praticamente identici. Quello on-line dà il Leave al 47% contro il 44% del Remain. Quello telefonico ha assegnato al Leave il 45% a fronte del 42% del Remain. Dati che, al netto della percentuale di incerti, danno un vantaggio del 52 a 48% a favore dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea.
Naturalmente, uno scarto così modesto lascia incerto l'esito del referendum. Incerto, appunto, il che vuol dire che la recente euforia dei sostenitori del Remain è stata quanto meno prematura. D'altronde, i membri della classe dominante frequentano i loro pari, per lo più ricchi londinesi, immersi nella piena finanziarizzazione dell'economia, e proprio per questo favorevoli ad una globalizzazione senza freni. Da qui, forse, l'illusione di avere la vittoria già in tasca. Ma i 62 milioni di abitanti del Regno Unito non sono tutti ricchi, né tutti londinesi.
Come sempre, in un referendum, saranno tanti i rivoli che andranno a concorrere alla vittoria dell'uno o dell'altro campo. E, come spesso avviene, la polarizzazione tra il sì e il no determina le più strane alleanze e le più pittoresche tra le contraddizioni. Si pensi al caso dei nazionalisti scozzesi, schierati per il Remain in funzione anti-inglese, ma al tempo stesso alleati nel fronte del sì proprio col primo ministro Cameron che contrastò vittoriosamente l'indipendenza scozzese al referendum del settembre 2014.
In ogni caso, il significato e le conseguenze del voto del 23 giugno non si fermeranno al di là della Manica. In gioco è la tenuta dell'Unione Europea. Se una vittoria del Remain non attenuerebbe gli attuali elementi di crisi dell'UE, dato che lascerebbe semplicemente le cose come sono; un'affermazione del Leave - che proprio per questo ci auguriamo - direbbe due cose semplici ed inequivocabili: 1) che dalla gabbia europea si può uscire e c'è chi comincia a farlo, 2) che i popoli sono sempre meno docili nei confronti delle proprie classi dominanti.
Vi sembra poco? A noi no.
Ci sono dunque ragionevoli speranze di un'affermazione della Brexit? Questi ultimi sondaggi ci dicono di sì. E da qualche giorno anche i bookmakers registrano un'inversione di tendenza. Se nelle settimane scorse i padroni delle scommesse non sembravano avere dubbi sul prevalere dei favorevoli alla permanenza nell'UE, adesso la situazione pare cambiata. Lunedì scorso, dunque prima dell'uscita del sondaggio del Guardian, l'85% delle puntate è stato a favore dellaBrexit. Nel paese delle scommesse per antonomasia anche questo può significare qualcosa...
Due sondaggi, pubblicati ieri dal Guardian, danno in testa l'uscita dall'UE 52 a 48
Lorsignori sembravano sicuri. Dalla loro parte la City, le grandi banche d'affari dei due lati dell'Atlantico, Obama, la confindustria europea, il G7. E, naturalmente, l'oligarchia di Bruxelles al gran completo. Potenze in grado di influenzare fortemente il voto, con i loro media, i loro soldi, le loro campagne terroristiche. E, invece, l'esito del referendum britannico del 23 giugno non è per nulla scontato. Anzi.
Dopo che il quotidiano The Times ha pubblicato un sondaggio con il sì (Remain) e il no all'UE (Leave) esattamente alla pari, ieri è stata la volta del Guardian a raffreddare gli entusiasmi dei piani alti dei centri decisionali del potere londinese. Secondo un sondaggio del giornale inglese la Brexit sarebbe infatti in vantaggio 52 a 48%.
Per l'esattezza i sondaggi sono due, entrambi realizzati da ICM per The Guardian, ma con due metodologie diverse: il primo attraverso la rete, il secondo (considerato decisamente più attendibile) attraverso le tradizionali interviste telefoniche. La cosa interessante è che i due risultati sono praticamente identici. Quello on-line dà il Leave al 47% contro il 44% del Remain. Quello telefonico ha assegnato al Leave il 45% a fronte del 42% del Remain. Dati che, al netto della percentuale di incerti, danno un vantaggio del 52 a 48% a favore dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea.
Naturalmente, uno scarto così modesto lascia incerto l'esito del referendum. Incerto, appunto, il che vuol dire che la recente euforia dei sostenitori del Remain è stata quanto meno prematura. D'altronde, i membri della classe dominante frequentano i loro pari, per lo più ricchi londinesi, immersi nella piena finanziarizzazione dell'economia, e proprio per questo favorevoli ad una globalizzazione senza freni. Da qui, forse, l'illusione di avere la vittoria già in tasca. Ma i 62 milioni di abitanti del Regno Unito non sono tutti ricchi, né tutti londinesi.
Come sempre, in un referendum, saranno tanti i rivoli che andranno a concorrere alla vittoria dell'uno o dell'altro campo. E, come spesso avviene, la polarizzazione tra il sì e il no determina le più strane alleanze e le più pittoresche tra le contraddizioni. Si pensi al caso dei nazionalisti scozzesi, schierati per il Remain in funzione anti-inglese, ma al tempo stesso alleati nel fronte del sì proprio col primo ministro Cameron che contrastò vittoriosamente l'indipendenza scozzese al referendum del settembre 2014.
In ogni caso, il significato e le conseguenze del voto del 23 giugno non si fermeranno al di là della Manica. In gioco è la tenuta dell'Unione Europea. Se una vittoria del Remain non attenuerebbe gli attuali elementi di crisi dell'UE, dato che lascerebbe semplicemente le cose come sono; un'affermazione del Leave - che proprio per questo ci auguriamo - direbbe due cose semplici ed inequivocabili: 1) che dalla gabbia europea si può uscire e c'è chi comincia a farlo, 2) che i popoli sono sempre meno docili nei confronti delle proprie classi dominanti.
Vi sembra poco? A noi no.
Ci sono dunque ragionevoli speranze di un'affermazione della Brexit? Questi ultimi sondaggi ci dicono di sì. E da qualche giorno anche i bookmakers registrano un'inversione di tendenza. Se nelle settimane scorse i padroni delle scommesse non sembravano avere dubbi sul prevalere dei favorevoli alla permanenza nell'UE, adesso la situazione pare cambiata. Lunedì scorso, dunque prima dell'uscita del sondaggio del Guardian, l'85% delle puntate è stato a favore dellaBrexit. Nel paese delle scommesse per antonomasia anche questo può significare qualcosa...
4 commenti:
i popoli sono sempre meno docili nei confronti delle proprie classi dominanti.
Significa che "stanno mangiando la foglia" e si stanno accorgendo di tante cose. Una delle più importanti è che cominciano a sentirsi stringere attorno al collo una specie di laccio da cui si sentono strangolare. Questo almeno appare chiaro qui i Italia ma anche nel Regno Unito e soprattutto in Francia ci sono segni di risveglio dal torpore ipnotico indotto dai media in questi anni. Dopotutto i popoli sono composti da esseri razionali, e non da faraone o animali da cortile ...
Speriamo.
Gli scommettitori sono praticamente sicuri che si resterà
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:H3TMfil43i8J:www.oddschecker.com/politics/british-politics/eu-referendum/referendum-on-eu-membership-result+&cd=1&hl=it&ct=clnk&gl=it&client=safari
OT
Redazione:
al link c'è una dichiarazione dell'opposizione interna della CGIL
http://contropiano.org/eventi/roma
Una frase che rende l'idea (tenete conto che la scrive un sindacalista quindi non è che possa essere presa automaticamente per oro colato però è forte e prima o poi dovranno pure svegliarsi, si spera)
"Vogliamo essere parte di coloro che lavorano alla ricostruzione del conflitto, di soggettività, di un nuovo ciclo di lotte che riconsegni dignità e diritti al lavoro."
Credete che il sindacalismo di base e l'opposizione CGIL potranno essere quei veicoli che cerchiamo per ristabilire un contatto diretto con i lavoratori?
Cioè, un sindacato può diventare un "sindacato-partito"?
Grazie
Rispondendo all'anonimo qui sopra:
guardiamo e sosteniamo con simpatia ogni tentativo di fare sindacalismo antagonista.
Siamo tuttavia pessimisti che la via sindacale sia una via maestra per costruire un vasto movimento sociale di opposizione e quindi la sollevazione popolare. sarebbe lungo qui spiegare le ragioni. magari ci torneremo con un articolo dedicato.
Basti tuttavia l'evidenza empirica degli ultimi trent'anni di offensiva liberista e accompagnata dal sistematico avallo dei maggiori sindacati. Si creava in teoria uno spazio enorme per un sindacalismo d'opposizione di massa, invece i sindacati di base sono sostanzialmente restati ampiamente minoritari.. Ed è successo non solo per i limiti soggettivi ed il divisionismo del sindacalismo di base.
Quando hai una crisi sistemica del capitalismo e il capitale distrugge ampia parte della sua stessa base produttiva, sempre, il movimento sindacale sbatte contro i suoi limiti e i movimenti di sciopero crollano, e gli stessi movimenti difensivi e di resistenza vanno gambe all'aria.
ma, appunto, vedremo di tornarci sopra.
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