[ 20 maggio ]
Sorge un profondo sentimento di commiserazione sentendo i media presentare Marco Pannella come il “Gandhi italiano”. Su Pannella stendiamo un velo pietoso. Meglio usare il nostro prezioso tempo per fare i conti con quella figura grande e controversa di Gandhi, versione indiana del Poverello di Assisi, o per essere più precisi un sufi induista.
Impossibile comprendere il pensiero e l’azione di Gandhi con le lenti
occidentali e laiciste. Occorre sbarazzarsi, per capire Gandhi, non solo del
pensiero unico neoliberista (di cui Pannella era esponente) e delle
farneticazioni postmoderniste, pure di tutta la cianfrusaglia ideologica
civilista.
Se oggi nascesse un Gandhi lo
prenderebbero per pazzo. Esattamente come se riapparissero Gesù o Bhudda.
Dovremmo quindi stare attenti a non trascinare quest’uomo nelle polemichette
provinciali italiane.
Per gli indiani (tranne che per certi fondamentalisti
hindù) Gandhi era ed è un santo (Mahatma,
“Grande anima”); andava in giro seminudo (si era svestito come Francesco!); difendeva strenuamente i “mahar” (gli intoccabili,
che lui chiamava Harijan, figli di
Dio); fondava comuni agrarie comuniste; fini in galera innumerevoli
volte (non certo per le canne); e quando l’India ottenne l’indipendenza
contestualmente alla sanguinosissima guerra fratricida tra induisti e musulmani
(che diede vita a quell’assurdo geopolitico che è il Pakistan) lesse
inauditamente il Corano nei templi hindù e iniziò l’ennesimo sciopero della
fame per protesta contro la persecuzione dei musulmani affermando:
“La morte sarebbe per me una gloriosa liberazione: meglio questo che essere testimone impotente della distruzione dell’India, dell’induismo, del sikhismo e dell’Islam” (11 gennaio 1948).
E infatti venne ammazzato pochi giorni dopo da
un fanatico hinduista.
Gandhi era un'anima religiosa, anzi un mistico, che la storia gettò sul terreno
politico, certo che l’India doveva avere un ruolo mondiale spirituale contro
una modernità capitalistica che disprezzava.
Gandhi era un asceta politico, uno che mise la sua vita a disposizione della
lotta di liberazione degli oppressi. La sua tecnica di battaglia, la Satyagrha (letteralmente: “afferrarsi
alla verità), era certamente una forma di lotta non violenta e di disobbedienza
civile al potere.
Stabilire un parallelo tra la sua non violenza e quella
pannelliana è come confondere Cristo
con Papa Woytila. Il Satyagrha non
può essere compreso fuori dal contesto di profonda religiosità indiana. La mera
lotta politica era per Gandhi secondaria, subordinata all’elevazione spirituale
(ma anche sociale e civile), ad una visione cosmogonica fondata sul rispetto
per ogni forma vivente (ahimsa), di
qui la meditazione, il digiuno, il silenzio, il recupero delle tecniche yoga pre-arie. E c’era in Gandhi, come in
Gesù e Francesco, l’idea che solo la povertà integrale avvicinasse l’uomo al
divino, che quindi soltanto i poveri siano autentici figli di Dio. Confondere il misticismo gandhiano con l'ateismo liberale di Pannella è come scambiare il diavolo con l'Acqua santa.
La “pazzia” di Gandhi fu che
egli volle sfidare il più grande impero del tempo con la potenza della sofferenza,
della meditazione, dell’ascesi. Egli non cessava mai di ricordare ai propri
seguaci:
“... più pura è la sofferenza (tapasya) maggiore è il progresso. Per questo il sacrificio di Gesù bastò a liberare un mondo sofferente... Se l’India vuole vedere il regno di Dio in terra (e non quello di Satana in cui è invischiata l’Europa), sappiano i suoi figli e le sue figlie... Che dobbiamo soffrire”.
Per Gandhi l’haimsa, la non violenza, non era
anzitutto una forza negativa, essa aveva una forza positiva, l’amore, e
mediante la potenza dell’amore egli esortava gli satyagrahin a “convertire” il cuore dei propri avversari, a
conquistare la loro anima.
Gandhi era insomma un Gesù più immanentista che trascendente però —e quindi più
rivoluzionario di Gesù, che non si immischiò mai con gli zeloti e predicava l’indifferentismo politico. Un profeta religioso
comunque, che mise la sua spinta mistica a disposizione della causa
rivoluzionaria della liberazione indiana —anche se solo all’ultimo, e sotto la
pressione del nazionalismo radicale (e violento), si converti
all’indipendentismo, mentre fino agli anni ‘40 perorava una mera Svaraj, una autonomia nell’ambito
dell’impero inglese). Liberazione a cui diede un contributo decisivo ma che
avvenne più come conseguenza dei devastanti avvenimenti bellici della seconda
guerra mondiale, del tramonto dell’imperialismo inglese e delle straordinarie
lotte popolari indiane (più spesso violente che non violente), che per il
successo della sua strategia. Strategia, al contrario, che negli anni 1944-47
subì un totale fallimento.
Che un politicante come Pannella sia spacciato come uno che abbia seguito il suo esempio è un’operazione ideologica miserabile. In altezza i Radicali —veri portabandiera del liberalismo borghese, loro che hanno sguazzato e sguazzano nei palazzi romani, loro che hanno fornito al potere liberista deputati e financo ministri— non giungono nemmeno alla caviglia del Mahatma.
Che un politicante come Pannella sia spacciato come uno che abbia seguito il suo esempio è un’operazione ideologica miserabile. In altezza i Radicali —veri portabandiera del liberalismo borghese, loro che hanno sguazzato e sguazzano nei palazzi romani, loro che hanno fornito al potere liberista deputati e financo ministri— non giungono nemmeno alla caviglia del Mahatma.
Digressione.
Anni addietro Fausto Bertinotti e Rifondazione comunista tentarono di usare la
memoria di Gandhi per contrapporlo alla tradizione rivoluzionaria di Lenin. La
cosa finì nel ridicolo: non potevano capire né l’uno né l’altro. Ne potevano imitare né l’uno né l’altro. L’uno e l’altro distanti in maniera siderale
ma vicini tantissimo perché entrambi diedero la loro vita per gli ultimi, i
“semplici”, i diseredati e quindi la loro liberazione.
Certo, Lenin, per quanto potente
fosse il suo spirito, aveva poco a simpatia l’ascetismo spiritualista,
trascendentale o pretesco. Lui, uomo e stratega dell’azione rivoluzionaria, se
fosse stato in India, avrebbe combattuto politicamente Gandhi, ma, ne sono
certo, con lui avrebbe marciato in più occasioni, tranne quando, e accadde più
volte, il Mahatma ondeggiò e giunse a
disastrosi compromessi tattici coi colonialisti inglesi. Errori che Gandhi comprese
e tentò di non commettere più, entrando quindi in un conflitto insanabile con
il Partito del Congresso di Nehru e
con la Lega Musulmana di Jinnah.
Tuttavia, dopo il 1917, molti erano gli indiani che stabilirono un improbabile
parallelo tra Lenin e Gandhi. Ogni volta che ho avuto la fortuna di recarmi in
India ho cercato, invano, un libro del 1920 dal titolo “Gandhi e Lenin”, che fu
scritto da un dirigente comunista, Shripat Amrit Dange, nel quale l’autore pur
apprezzando quanto Gandhi andava facendo per il suo popolo, sosteneva che solo
Lenin fosse un “vero rivoluzionario”. Ed aveva ragione, ma oggi sappiamo con
quanta prudenza occorre prendere il predicato “vero”.
Riguardo alle simpatie di Gandhi
per il Fascismo molto si è detto,
a sproposito. Il problema di fondo è che il movimento indiano di liberazione
nazionale aveva come nemico principale l’oppressore inglese. Se nella prima
guerra Gandhi cessò (a torto!) le ostilità per sostenere lo sforzo bellico antitedesco
degli inglesi (partì infatti volontario), in occasione della seconda guerra non
commise lo stesso madornale errore e nell’ottobre 1940 diede inizio ad una
nuova satyagrha, ovvero adottò la
tattica della renitenza alla leva all’esercito inglese —si tenga conto che gli
inglesi reclutarono centinaia di migliaia di indiani che mandarono a morire sui
vari fronti dall’Europa all’Asia per difendere i loro interessi coloniali.
Gandhi, con tutto il movimento nazionale, continuò la lotta anti-inglese nonostante
l’Inghilterra fosse in guerra col nazismo. Fu giustissimo —mentre i
filo-staliniani del Partito comunista indiano ebbero torto perché chiedevano la
cessazione della lotta di liberazione nazionale... per non indebolire la “causa
antifascista” dell’imperialismo inglese. Fu proprio grazie a questa tenacia che
l’India ottenne l’indipendenza successiva impedendo agli inglesi di perpetuare
il loro dominio coloniale.
Diverso fu il caso dell’INA
(Esercito Nazionale indiano) di Subhas Bose, vecchio amico di Gandhi, che non
esitò ad accettare gli aiuti giapponesi per condurre la sua guerra di
guerriglia anti-inglese ed è vero che egli nel 1941 si recò a Berlino ed
ottenne alcuni appoggi da parte di Hitler. Solo è doveroso ricordare che per
andare a Berlino passò, nel 1941, per Mosca, in quel frangente alleata alla
Germania nazista. Bose venne poi ucciso dagli inglesi, diventando un’eroe
nazionale, una specie di Garibaldi indiano.
Portare a Gandhi il rispetto che merita, non significa condividere la sua visione del mondo.
Portare a Gandhi il rispetto che merita, non significa condividere la sua visione del mondo.
La sua era infondo una
metafisica, dal momento che assolutizzava l’Hamsa,
la non violenza, e ne faceva un imperativo morale categorico a priori, radicalizzando tuttavia il discorso kantiano: Kant partiva da una fede razionalistica nella ragione
mentre il Mahatma da una fede meta-razionalistica
nell’amore.
Se è difficile accettare le weltanschauung kantiana
e gandhiana, sarebbe tuttavia sbagliato
condividere le facili critiche antigandhiane di certa sinistra
“rivoluzionaria”, che più che marxiste paiono imparentate a certa etica
borghese illuminista europea presocialista.
Gandhi era o no per il socialismo? Pro o contro la divisione castale dell'India?
Gandhi non ha mai chiaramente affermato che fosse per il socialismo. Possiamo
però dire che egli contestava non solo il colonialismo ma il sistema
capitalistico che ben conosceva. Era senza alcun dubbio per una società fondata
sulla giustizia sociale, ma non aveva alcuna fiducia né nell’idea illuminista
di “progresso”, né nelle forze produttive e tecniche del capitalismo borghese.
Gandhi immaginava infatti di rifondare l’India sulla base di un comunitarismo
agrario egualitario. Passatista e retrogrado dunque? Sì, ma allora agli antipodi del pannellismo liberale col suo culto
mistico e totalitario della scienza e delle sue tecniche.
Per quanto riguarda le caste, è facile, per un europeo, fare spallucce. Ma
quella induista è una civiltà antichissima, che sorse prima ancora delle
invasioni arie duemila anni prima di cristo. Ci sono cose che sono radicate
nella formazione sociale. La gerarchia castale è connaturata all’induismo, le
cui tradizioni religiose, che nemmeno il buddismo riuscì a spazzarla via tanto erano profonde (l’India è il paese meno buddista rispetto a quelli limitrofi), erano difese da Gandhi. Ma per Gandhi le caste non dovevano corrispondere a classi
sociali (fu il colonialismo inglese a introdurre questa metamorfosi), bensì a
gruppi distinti solo per funzione sociale. Nella Città del Sole anche il nostro Tommaso Campanella, sulla scia di
Platone (Repubblica), parlava di un sistema senza proprietà privata ma con caste sociali (anche lui
poneva quella sacerdotale dei sapienti in cima alle altre, in India i brahamini), e tuttavia è indubbio che
Campanella sia stato un comunista ante
litteram. E’ certo che dal punto di vista della concezione sociale Gandhi
era più vicino a Platone e Campanella piuttosto che a Marx.
En passant…
Gandhi teorizzava il martirio,
d’altro segno, certo, rispetto a quello degli islamisti odierni.
Il sintomo che il cristianesimo
è al tramonto consiste anche in questo: che non riesce nemmeno più a produrre dei martiri che mettano
la loro vita a disposizione della giustizia — e quando fosse in grado di
produrli, anche qui in Occidente, quello sarà forse il segno della sua rinascita.
Papa Bergoglio reitera la metafora del porgere l’altra guancia, ovvero a
genuflettersi davanti al moloch
imperialista —mentre Gandhi era un resistente tenace e mai si genuflesse al
cospetto dei colonialisti inglesi.
Prime conclusioni...
In questi tempi di passaggio epocale che saranno segnati da profonde fratture e
conflitti, occorre certo respingere
la metafisica della non violenza, ma altrettanto attenti a precipitare in
quella della violenza. A volte è intelligente e necessario non solo lottare
democraticamente, ma addirittura porgere l’altra guancia. Dipende dalle
circostanze, dai rapporti di forza che dividono noi dal nemico. Non si vince senza egemonia e
certe volte la non violenza, ovvero una grande coerenza etica e spirituale, la
disposizione al massimo sacrificio proprio, porta consensi straordinari e profondi.
Guevara resta, per questo, un mito
mondiale: per il suo sacrificio (molto cristiano), prima ancora che per avere
imbracciato le armi contro gli americani e i loro cani da guardia. E la maniera
santa ed eroica con cui ha accettato la propria morte è quella che resterà
scolpita in eterno nei cuori e nella mente dei diseredati.
8 commenti:
Grazie
Da questa lunga disamina dell'opera e del pensiero ghandiano manca una parte importante: la vita in Sudafrica del Mahatma. Tanto di adoperò in patria per il riconoscimento dei paria, quanto in Sudafrica per la discriminazione verso gli indigeni. Sì, avete letto bene: Ghandi in Sudafrica era razzista. Non accettava che gli indiani lì residenti fossero equiparati agli autoctoni, e si diede da fare, ad esempio, per creare la terza fila nell'ufficio postale di Durban: tra bianchi e neri ci doveva essere posto anche per gli asiatici dalla pelle scura, che non volevano essere confusi con i neri.
Durante un discorso a Mumbai, nel 1896, Gandhi disse che gli europei di Natal volevano "degradarci al livello dei primitivi la cui unica occupazione è la caccia, e la cui unica ambizione è possedere un certo numero di mucche per comperarci una moglie e poi passare il resto della vita nell'indolenza e nella nudità".
http://www.huffingtonpost.it/2015/09/30/gandhi-razzista-libro_n_8221348.html
Dal libro "Mahatma Gandhi and his struggle with India" scritto dal premio Pulitzer Joseph Lelyveld emergono dettagli che, come ha scritto il Wall Street Journal «danno ai lettori sufficienti informazioni per rendersi conto che Gandhi era sessualmente un tipo strambo, un incompetente politico e un fanatico che seguiva le mode del tempo, e che inoltre era spesso assolutamente crudele con coloro che lo circondavano».
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/odio-grafia-ganzo-gandhi-razzista-frocio-premio-pulitzer-24083.htm
Non solo: Gandhi forma anche un corpo speciale per combattere a fianco degli inglesi durante la repressione della rivolta zulu nel 1906 che finì in un massacro - i soldati sfilavano per le strade esibendo come trofei le teste nere mozzate - e riceve una medaglia all'onore dalla Regina.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/22/quando-gandhi-era-razzista.html?refresh_ce
ottimo articolo bravo ci voleva questa riflessione
E invece rimarrei sul punto . Pannella & Bonino sono già stati proclamati santi dal “circo mediatico” unificato , e si capisce il perché . Hanno condotto 50 anni di “battaglie” politiche dalla parte del colonialismo postmoderno , del capitalismo di rapina internazionale e della liberalizzazione integrale dei consumi e dei costumi .
Condivido in pieno l'opinione sul "CHE" Guevara. Sul tavolato di morte, sfigurato dalle inumane torture della CIA, è paragonabile al Cristo Crocifisso. Il "CHE" fu crocifisso per gli infelici Campesinos, per riscattarli dalla servitù ignominiosa e crudele a cui erano sottoposti, per tentare di infrangere le loro catene.
Bene,ma "un eroe" non vuole l'apostrofo perché è maschile.Weltanschauung si scrive con la maiuscola perché in tedesco tutti i sostantivi la esigono. Per il resto l'articolo,prendendo a pretesto la morte di Pannella(su cui l'ammirazione postuma del circo mediatico) conferma tutti i sospetti di connivenza col potere,è un interessante rivisitazione della figura e dell'opera di Gandhi e dei suoi rapporti ideali e politici coi movimenti rivoluzionari del XX secolo.
Bellissimo articolo.
Pannella negli ultimi anni era diventato organico al potere, sempre più legato agli ebrei (vedi Soros), al capitalismo più deleterio made in USA, alla partitocrazia italica che a parole diceva di combattere. Aveva bisogno dei soldi pubblici per far campare Radio radicale ed i suoi seguaci.
Il compito degli europei e degli italiani oggi è avere la forza degli spartani quando ci sarà da combattere e la comprensione cristiana di stringersi una mano quando ci sarà da sedersi ad un tavolo per ridisegnare per intero la nostra società tenendo conto della dignità di ogni popolo e paese europeo piccolo o grande che sia.
Qualcuno, un po' malignamente pensa, che se un tempo comandava la "Democrazia cristiana" ora è il momento della "massoneria cristiana".
Oh, tempora! Oh mores!
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