[ 30 maggio ]
«Il 29 marzo 2016, un gruppo di ottanta dirigenti d’azienda, provenienti per lo più dalla Silicon valley e capitanati da due amministratori delegati, Mark Zuckerberg di Facebook e Tim Cook della Apple, hanno firmato una lettera al governatore del North Carolina Pat McCrory per denunciare una legge che obbliga i transgender a usare i bagni pubblici sulla base del sesso registrato alla nascita invece che in base all’identità di genere. Un transgender dovrebbe farsi cambiare legalmente il sesso sul certificato di nascita per usare i servizi del genere in cui s’identifica.
Tim Cook può facilmente dimenticarsi delle centinaia di migliaia di lavoratori della Foxconn in Cina che montano i prodotti Apple in condizioni di quasi schiavitù.
Ha fatto il suo bel gesto di solidarietà con gli svantaggiati, chiedendo l’abolizione della segregazione di genere.
Come spesso succede, la grande impresa ha sposato orgogliosamente la teoria del politicamente corretto.
Il transessualismo riguarda gli individui che vivono una contraddizione tra la loro identità di genere, o espressione di genere, e il sesso di nascita. Pertanto è un termine generale perché, oltre a includere uomini trans e donne trans che s’identificano con il sesso opposto a quello di nascita (specificamente chiamati transessuali se desiderano assistenza medica per la transizione), può comprendere persone genderqueer (le cui identità di genere non sono esclusivamente maschili o femminili, e che possono essere, per esempio, bigender, pangender, genderfluid o agender).
Genderqueer, detto anche genere non binario, può riferirsi a una o più delle definizioni seguenti: avere una sovrapposizione d’identità di genere o confini indefiniti tra i generi; avere due o più generi (essere bigender, trigender o pangender); non avere genere (essere agender, nongender, genderless, genderfree o neutrois); muoversi tra i generi o avere un’identità di genere fluida (genderfluid); oppure essere third gender o other gendered, una categoria che abbraccia chi non dà un nome al proprio genere.
La visione dei rapporti sociali alla base del transessualismo è il cosiddetto postgenderism, un movimento sociale, politico e culturale che sostiene l’eliminazione volontaria del genere nella specie umana attraverso l’applicazione di biotecnologie avanzate e tecnologie riproduttive assistite.
I sostenitori del transessualismo affermano che i ruoli di genere, la stratificazione sociale e le disparità e le differenze fisiche e cognitive in generale danneggiano gli individui e la società.
Dato il grande potenziale delle moderne tecniche di riproduzione assistita, i postgender ritengono che il sesso a scopi riproduttivi diventerà obsoleto e che ciascun essere umano sarà in grado indifferentemente di decidere se essere padre o madre e questo, ritengono, renderà irrilevanti i generi definiti.
La prima cosa da osservare in proposito è che il transgenderismo va a braccetto con l’attuale tendenza dell’ideologia predominante di rifiutare ogni particolare appartenenza e celebrare la fluidità di qualunque identità. L’economista e sociologo francese Frédéric Lordon di recente ha attaccato la sinistra antinazionalista, liquidando le sue richieste come “grottesche pretese dei borghesi” per una “liberazione dell’appartenenza, senza ammettere quanto essi stessi si avvantaggino della loro appartenenza”.
Lordon contrappone questa appartenenza nascosta alla “realtà della mancanza di uno stato, l’incubo dell’assoluta non inclusione di chi sopravvive come un clandestino senza diritti, di fatto combattendo per la cittadinanza, per l’appartenenza. Rinnegare gli affetti nazionali nel territorio europeo consentendoli ai subalterni, romanticamente e con condiscendenza, è pura ipocrisia. Non si è mai totalmente liberi dall’appartenenza nazionale: diventiamo proprietà di una nazione dal nostro primissimo giorno”. Lordon qui prende di mira Habermas e Ulrich Beck per il loro universalismo senza vita: oggi in Europa l’appello nazionalista e populista alla sovranità in risposta alla sua confisca finanziaria “segnala l’urgenza di ripensare lo stato nazionale in rapporto all’emancipazione collettiva”.
In questo Lordon ha ragione: è facile osservare come le élite intellettuali “cosmopolite” disprezzino gli abitanti attaccati alle loro radici, ma appartengono ad ambienti quasi esclusivi di élite senza radici, e la loro cosmopolita mancanza di radici è il segno di una forte e profonda appartenenza. Proprio per questo è indecente mettere sullo stesso piano élite nomadi che volano per il mondo e profughi disperati alla ricerca di un luogo sicuro a cui appartenere, proprio come mettere sullo stesso piano una ricca donna occidentale a dieta e una profuga che muore di fame.
Per giunta, qui ritroviamo un vecchio paradosso: più si è emarginati ed esclusi, più si può affermare la propria identità etnica.
Il panorama del politicamente corretto è strutturato così: individui lontani dal mondo occidentale possono rivendicare la propria identità etnica senza essere definiti identitari e razzisiti (i nativi americani, i neri eccetera); più ci si avvicina ai famigerati maschi eterosessuali bianchi, più questa rivendicazione diventa problematica: gli asiatici vanno ancora bene, italiani e irlandesi forse, con tedeschi e scandinavi è già un problema. Tuttavia, questo divieto agli uomini bianchi di rivendicare una particolare identità (perché fornirebbe un modello di oppressione degli altri) anche se si presenta come l’ammissione della loro colpevolezza, di fatto gli conferisce una posizione centrale: lo stesso divieto di affermare la propria particolare identità li trasforma nel punto di mezzo neutrale universale, il luogo da cui la verità dell’oppressione degli altri è accessibile.
Lo squilibrio pesa anche nella direzione contraria: i paesi europei impoveriti si aspettano che i paesi avanzati dell’Europa occidentale sopportino tutto il peso dell’apertura multiculturale, mentre loro possono permettersi il patriottismo.
È facile cogliere una tensione simile nel transgenderismo.
I soggetti transgender appaiono trasgressivi perché sfidano qualunque divieto, ma allo stesso tempo hanno comportamenti iperemotivi, si sentono oppressi dalla scelta forzata (“perché dovrei decidere se sono un uomo o una donna?”) e hanno bisogno di un luogo dove potersi riconoscere pienamente.
«Il 29 marzo 2016, un gruppo di ottanta dirigenti d’azienda, provenienti per lo più dalla Silicon valley e capitanati da due amministratori delegati, Mark Zuckerberg di Facebook e Tim Cook della Apple, hanno firmato una lettera al governatore del North Carolina Pat McCrory per denunciare una legge che obbliga i transgender a usare i bagni pubblici sulla base del sesso registrato alla nascita invece che in base all’identità di genere. Un transgender dovrebbe farsi cambiare legalmente il sesso sul certificato di nascita per usare i servizi del genere in cui s’identifica.
«Siamo delusi dalla sua decisione di firmare questa norma discriminatoria rendendola legge”, dice la lettera. “La comunità imprenditoriale, nel suo insieme, ha coerentemente informato i legislatori ad ogni livello che norme simili sono negative per i nostri dipendenti e per le aziende».Perciò la posizione del grande capitale è chiara.
Tim Cook può facilmente dimenticarsi delle centinaia di migliaia di lavoratori della Foxconn in Cina che montano i prodotti Apple in condizioni di quasi schiavitù.
Uno stabilimento della Foxconn |
Ha fatto il suo bel gesto di solidarietà con gli svantaggiati, chiedendo l’abolizione della segregazione di genere.
Come spesso succede, la grande impresa ha sposato orgogliosamente la teoria del politicamente corretto.
Il transessualismo riguarda gli individui che vivono una contraddizione tra la loro identità di genere, o espressione di genere, e il sesso di nascita. Pertanto è un termine generale perché, oltre a includere uomini trans e donne trans che s’identificano con il sesso opposto a quello di nascita (specificamente chiamati transessuali se desiderano assistenza medica per la transizione), può comprendere persone genderqueer (le cui identità di genere non sono esclusivamente maschili o femminili, e che possono essere, per esempio, bigender, pangender, genderfluid o agender).
Genderqueer, detto anche genere non binario, può riferirsi a una o più delle definizioni seguenti: avere una sovrapposizione d’identità di genere o confini indefiniti tra i generi; avere due o più generi (essere bigender, trigender o pangender); non avere genere (essere agender, nongender, genderless, genderfree o neutrois); muoversi tra i generi o avere un’identità di genere fluida (genderfluid); oppure essere third gender o other gendered, una categoria che abbraccia chi non dà un nome al proprio genere.
La visione dei rapporti sociali alla base del transessualismo è il cosiddetto postgenderism, un movimento sociale, politico e culturale che sostiene l’eliminazione volontaria del genere nella specie umana attraverso l’applicazione di biotecnologie avanzate e tecnologie riproduttive assistite.
I sostenitori del transessualismo affermano che i ruoli di genere, la stratificazione sociale e le disparità e le differenze fisiche e cognitive in generale danneggiano gli individui e la società.
Dato il grande potenziale delle moderne tecniche di riproduzione assistita, i postgender ritengono che il sesso a scopi riproduttivi diventerà obsoleto e che ciascun essere umano sarà in grado indifferentemente di decidere se essere padre o madre e questo, ritengono, renderà irrilevanti i generi definiti.
La prima cosa da osservare in proposito è che il transgenderismo va a braccetto con l’attuale tendenza dell’ideologia predominante di rifiutare ogni particolare appartenenza e celebrare la fluidità di qualunque identità. L’economista e sociologo francese Frédéric Lordon di recente ha attaccato la sinistra antinazionalista, liquidando le sue richieste come “grottesche pretese dei borghesi” per una “liberazione dell’appartenenza, senza ammettere quanto essi stessi si avvantaggino della loro appartenenza”.
Lordon contrappone questa appartenenza nascosta alla “realtà della mancanza di uno stato, l’incubo dell’assoluta non inclusione di chi sopravvive come un clandestino senza diritti, di fatto combattendo per la cittadinanza, per l’appartenenza. Rinnegare gli affetti nazionali nel territorio europeo consentendoli ai subalterni, romanticamente e con condiscendenza, è pura ipocrisia. Non si è mai totalmente liberi dall’appartenenza nazionale: diventiamo proprietà di una nazione dal nostro primissimo giorno”. Lordon qui prende di mira Habermas e Ulrich Beck per il loro universalismo senza vita: oggi in Europa l’appello nazionalista e populista alla sovranità in risposta alla sua confisca finanziaria “segnala l’urgenza di ripensare lo stato nazionale in rapporto all’emancipazione collettiva”.
In questo Lordon ha ragione: è facile osservare come le élite intellettuali “cosmopolite” disprezzino gli abitanti attaccati alle loro radici, ma appartengono ad ambienti quasi esclusivi di élite senza radici, e la loro cosmopolita mancanza di radici è il segno di una forte e profonda appartenenza. Proprio per questo è indecente mettere sullo stesso piano élite nomadi che volano per il mondo e profughi disperati alla ricerca di un luogo sicuro a cui appartenere, proprio come mettere sullo stesso piano una ricca donna occidentale a dieta e una profuga che muore di fame.
Per giunta, qui ritroviamo un vecchio paradosso: più si è emarginati ed esclusi, più si può affermare la propria identità etnica.
Il panorama del politicamente corretto è strutturato così: individui lontani dal mondo occidentale possono rivendicare la propria identità etnica senza essere definiti identitari e razzisiti (i nativi americani, i neri eccetera); più ci si avvicina ai famigerati maschi eterosessuali bianchi, più questa rivendicazione diventa problematica: gli asiatici vanno ancora bene, italiani e irlandesi forse, con tedeschi e scandinavi è già un problema. Tuttavia, questo divieto agli uomini bianchi di rivendicare una particolare identità (perché fornirebbe un modello di oppressione degli altri) anche se si presenta come l’ammissione della loro colpevolezza, di fatto gli conferisce una posizione centrale: lo stesso divieto di affermare la propria particolare identità li trasforma nel punto di mezzo neutrale universale, il luogo da cui la verità dell’oppressione degli altri è accessibile.
Lo squilibrio pesa anche nella direzione contraria: i paesi europei impoveriti si aspettano che i paesi avanzati dell’Europa occidentale sopportino tutto il peso dell’apertura multiculturale, mentre loro possono permettersi il patriottismo.
È facile cogliere una tensione simile nel transgenderismo.
I soggetti transgender appaiono trasgressivi perché sfidano qualunque divieto, ma allo stesso tempo hanno comportamenti iperemotivi, si sentono oppressi dalla scelta forzata (“perché dovrei decidere se sono un uomo o una donna?”) e hanno bisogno di un luogo dove potersi riconoscere pienamente.
Se insistono con tanto orgoglio sul loro essere “trans”, al di là di ogni classificazione, perché avanzano una richiesta così pressante per avere un luogo appropriato? Perché quando si trovano davanti a bagni separati per genere non agiscono con eroica indifferenza? Potrebbero dire: “Sono transgender, un po’ di questo e di quello, un uomo vestito da donna, perciò posso benissimo scegliere il bagno che voglio”. Inoltre, i “normali” eterosessuali non hanno forse un problema simile? Non trovano forse difficile, spesso, riconoscersi in identità sessuali predefinite? Si potrebbe perfino sostenere che uomo (o donna) non è un’identità certa, ma piuttosto un certo modo di evitare un’identità.
Possiamo prevedere con sicurezza che arriveranno nuove richieste antidiscriminatorie: perché non matrimoni tra più persone? Cosa giustifica il limite imposto dal matrimonio binario? Perché non addirittura un matrimonio con animali? Dopo tutto sappiamo già quanto sono sensibili gli animali. Escluderli dal matrimonio non mette la specie umana in una posizione di ingiusto privilegio?»
[ … ]
*Il titolo originale di questo articolo è Sexual is political, in Isis and in the Us.
È apparso con questo titolo in traduzione italiana sul n. 1155 dell’Internazionale in edicola
Possiamo prevedere con sicurezza che arriveranno nuove richieste antidiscriminatorie: perché non matrimoni tra più persone? Cosa giustifica il limite imposto dal matrimonio binario? Perché non addirittura un matrimonio con animali? Dopo tutto sappiamo già quanto sono sensibili gli animali. Escluderli dal matrimonio non mette la specie umana in una posizione di ingiusto privilegio?»
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*Il titolo originale di questo articolo è Sexual is political, in Isis and in the Us.
È apparso con questo titolo in traduzione italiana sul n. 1155 dell’Internazionale in edicola
4 commenti:
Matrimoni con animali? Cioè matrimoni bestiali, si vorrà dire. Ma sono misti però, si risponderà. Una volta si usava l'accusa di bestialità per chi si accoppiava con bestie. Ma oggi dov'è i limite? Nella Bibbia l'accusa di bestialità comportava la lapidazione. Si temeva forse che nascesse qualche Minotauro? era già successo, suggerisce la leggenda.
Certo una volta succedevano cose strane e può anche darsi che se un pastore pervertito si accoppiava con qualche capra, po nascesse qualche fauno … Una volta succedevano cose strane ...
Per fortuna c'è Zizek, altrimenti la sinistra potrebbe dirsi defunta e appiattita su posizioni liberali.
Questo articolo centra perfettamente il punto.
I dominanti inibiscono le identità e i sensi di appartenenza del popolo solo per poter imporre la loro identità e senso di appartenenza come gli unici possibili.
Un essere umano senza identità e appartenenza è in balia del potere e questo è il loro fine.
Il problema è come declinare a sinistra un concetto che i comunisti hanno svilito oer più di un secolo e che i cittadini ritengono veicolabile solo dalla destra.
Non lo si farà spero organizzando conferenze e incontri ristretti fra raffinati maîtres à penser...deve nascere un discorso, la gente deve partecipare, deve nascere un "sentimento" condiviso.
Sappiamo bene che i convegni, in sé stessi, sono del tutto insufficienti affinché determinate idee si facciano largo in mezzo al popolo. Occorrono strumenti, mezzi, uomini, capacità, e talenti....
Servono tuttavia a mettere a fuoco le idee che vogliamo camminino tra i cittadini, ed a stabilire il loro rango.
Affinché "la gente partecipi" occorrono i luoghi che rendano possibile questa partecipazione.
Oltre a delle idee, forti e nuove, occorre organizzazione!
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