[ 29 aprile]
La prova decisiva sarà in autunno, ma l'attacco alla Costituzione viene da lontano. Le nostrane classi dominanti l'hanno sempre odiata, come ci ricorda nell'articolo che segue Luciano Canfora (nella foto). Adesso l'attacco viene in primo luogo dai potentati finanziari internazionali, e dall'Unione Europea in particolare. E' utile tuttavia ricordare il passato, altro non fosse che per rinfrescarci la memoria su quel che intendeva Renzi quando nel settembre scorso disse: «...non per cattiveria, ma questa riforma è attesa da settant'anni».
La prova decisiva sarà in autunno, ma l'attacco alla Costituzione viene da lontano. Le nostrane classi dominanti l'hanno sempre odiata, come ci ricorda nell'articolo che segue Luciano Canfora (nella foto). Adesso l'attacco viene in primo luogo dai potentati finanziari internazionali, e dall'Unione Europea in particolare. E' utile tuttavia ricordare il passato, altro non fosse che per rinfrescarci la memoria su quel che intendeva Renzi quando nel settembre scorso disse: «...non per cattiveria, ma questa riforma è attesa da settant'anni».
Attacco alla Costituzione, una lunga storia
di Luciano Canfora
L’attacco alla Costituzione partì già quasi all’indomani del suo varo. Il 2 agosto 1952 Guido Gonella, all’epoca segretario politico della Democrazia cristiana, chiedeva – in un pubblico comizio – di riformare la Costituzione italiana, entrata in vigore appena tre anni e mezzo prima, il 1 gennaio 1948. Si trattava di un discorso tenuto a Canazei, in Trentino, e la richiesta di riforma mirava – come egli si espresse – a «rafforzare l’autorità dello Stato», ad eliminare cioè quelle «disfunzioni della vita dello Stato che possono avere la loro radice nella stessa Costituzione». E concludeva, sprezzante: «la Costituzione non è il Corano!» (Il nuovo Corriere, Firenze, 3 agosto 1952).
Nello stesso intervento, il segretario della Dc, richiamandosi più volte a De Gasperi, chiedeva di modificare la legge elettorale, che – essendo proporzionale – dava all’opposizione (Pci e Psi) una notevole rappresentanza parlamentare. L’idea lanciata allora, in piena estate, era di costituire dei «collegi plurinominali», onde favorire i partiti che si presentassero alle elezioni politiche «apparentati» (Dc e alleati).
Come si vede, sin da allora l’attacco alla Costituzione e alla legge elettorale proporzionale (la sola che rispetti l’articolo 48 della Costituzione, che sancisce il «voto uguale») andavano di pari passo. Pochi mesi dopo, alla ripresa dell’attività parlamentare fu posto in essere il progetto di legge elettorale (scritta da Scelba e dall’ex-fascista Tesauro, rettore a Napoli e ormai parlamentare democristiano) che è passata alla storia come «legge truffa». Imposta, contro l’ostruzionismo parlamentare, da un colpo di mano del presidente del senato Meuccio Ruini, quella legge fu bocciata dagli elettori, il cui voto (il 7 giugno 1953) non fece scattare il cospicuo «premio di maggioranza» previsto per i partiti «apparentati».
L’istanza di cambiare la Costituzione al fine di dare più potere all’esecutivo divenne poi, per molto tempo, la parola d’ordine della destra, interna ed esterna alla Dc, spalleggiata dal movimento per la «Nuova Repubblica» guidato da Randolfo Pacciardi (repubblicano poi espulso da Pri), postosi in pericolosa vicinanza – nonostante il suo passato antifascista – con i vari movimenti neofascisti, che una «nuova Repubblica» appunto domandavano.
La sconfitta della «legge truffa» alle elezioni del 1953 mise per molto tempo fuori gioco le spinte governative in direzione delle due riforme care alla destra: cambiare la Costituzione e cambiare in senso maggioritario la legge elettorale proporzionale. Che infatti resse per altri 40 anni. Quando, all’inizio degli anni Novanta, la sinistra, ansiosa di cancellare il proprio passato, capeggiò il movimento – ormai agevolmente vittorioso – volto ad instaurare una legge elettorale maggioritaria, il colpo principale alla Costituzione era ormai sferrato. Ammoniva allora, inascoltato, Raniero La Valle che cambiare legge elettorale abrogando il principio proporzionale significava già di per sé cambiare la Costituzione. (Basti pensare, del resto, che, con una rappresentanza parlamentare truccata grazie alle leggi maggioritarie, gli articoli della Costituzione che prevedono una maggioranza qualificata per decisioni cruciali perdono significato). Ma la speranza della nuova leadership di sinistra (affossatasi più tardi nella scelta suicida di assumere la generica veste di partito democratico) era di vincere le elezioni al tavolo da gioco. Oggi è il peggior governo che l’ex-sinistra sia stata capace di esprimere a varare, a tappe forzate e a colpi di voti di fiducia, entrambe le riforme: quella della legge elettorale, finalmente resa conforme ad un tavolo da poker, e quella della Costituzione.
Ma perché, e in che cosa, la Costituzione varata alla fine del 1947 dà fastidio? Si sa che la destra non l’ha mai deglutita, non solo per principi fondamentali (e in particolare per l’articolo 3) ma anche, e non meno, per quanto essa sancisce sulla prevalenza dell’«utilità sociale» rispetto al diritto di proprietà (agli articoli 41 e 42). Più spiccio di altri, Berlusconi parlava – al tempo suo – della nostra Costituzione come di tipo «sovietico»; il 19 agosto 2010 il Corriere della sera pubblicò un inedito dell’appena scomparso Cossiga in cui il presidente-gladiatore definiva la nostra costituzione come «la nostra Yalta». E sullo stesso giornale il 12 agosto 2003 il solerte Ostellino aveva richiesto la riforma dell’articolo 1 a causa dell’intollerabile – a suo avviso – definizione della Repubblica come «fondata sul lavoro». E dieci anni dopo (23 ottobre 2013) tornava alla carica (ma rimbeccato) chiedendo ancora una volta la modifica del nostro ordinamento: questa volta argomentando «che nella stesura della prima parte della Costituzione – quella sui diritti – ebbe un grande ruolo Palmiro Togliatti, l’uomo che avrebbe voluto fare dell’Italia una democrazia popolare sul modello dell’Urss». Di tali parole non è tanto rimarchevole l’incultura storico-giuridica quanto commovente è il pathos, sia pure mal riposto.
Dà fastidio il nesso che la Costituzione, in ogni sua parte, stabilisce tra libertà e giustizia. Dà fastidio – e lo lamentano a voce spiegata i cosiddetti «liberali puri» convinti che finalmente sia giunta la volta buona per il taglio col passato – che la nostra Costituzione sancisca oltre ai diritti politici i diritti sociali. Vorrebbero che questi ultimi venissero confinati nella legislazione ordinaria, onde potersene all’occorrenza sbarazzare a proprio piacimento, come è accaduto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
La coniugazione di libertà e giustizia era già nei principi generali della Costituzione della prima Repubblica francese (1793): «La libertà ha la sua regola nella giustizia». Ed è stata poi presente nelle costituzioni – italiana, francese della IV Repubblica, tedesca – sorte dopo la fine del predominio fascista sull’Europa: fine sanguinosa, cui i movimenti di resistenza diedero un contributo che non solo giovò all’azione degli eserciti (alleati e sovietico) ma che connotò politicamente quella vittoria. Nel caso del nostro paese, è ben noto che l’azione politico-militare della Resistenza fu decisiva per impedire che – secondo l’auspicio ad esempio di Churchill – il dopofascismo si risolvesse nel mero ripristino dell’Italia prefascista magari serbando l’istituto m.onarchico.
La grande sfida fu, allora, di attuare un ordinamento, e preparare una prassi, che andassero oltre il fascismo: che cioè tenessero nel debito conto le istanze sociali che il fascismo, pur recependole, aveva però ingabbiato, d’intesa coi ceti proprietari, nel controllo autoritario dello Stato di polizia, e sterilizzato con l’addomesticamento dei sindacati. La sfida che ebbe il fulcro politico-militare nell’insurrezione dell’aprile ’45 e trovò forma sapiente e durevole nella Costituzione consisteva dunque – andando oltre il fascismo – nel coniugare rivoluzione sociale e democrazia politica. Perciò Calamandrei parlò, plaudendo, di «Costituzione eversiva» (1955), e perciò la vita contrastata di essa fu regolata dai variabili rapporti di forza della lunga «guerra fredda» oltre che dalle capacità soggettive dei protagonisti. C’è un abisso tra Palmiro Togliatti e il clan di Banca Etruria. Va da sé che l’estinguersi dei «socialismi» con la conseguente deriva in senso irrazionalistico-religioso delle periferie interne ed esterne all’Occidente illusoriamente vittorioso hanno travolto il quadro che s’è qui voluto sommariamente delineare. La carenza di statisti capaci e la autoflagellazione della fu sinistra non costituiscono certo il terreno più favorevole alla pur doverosa prosecuzione della lotta.
5 commenti:
Magnifico l'articolo!
Dà fastidio il nesso che la Costituzione, in ogni sua parte, stabilisce tra libertà e giustizia.
Robespierre affermava che la libertà individuale ha i suoi limiti nelle prescrizioni e nelle limitazioni che le Leggi impongono, cioè la libertà individuale finisce dove comincia quella altrui. Coniugare la libertà in modo che non cada questo principio è compito dei Legislatori e i Costituenti erano riusciti a raggiungere un equilibrio ottimale tre i due soggetti: l'individuo e la collettività, questa intesa in senso rousseiano.
Così la nostra Costituzione si può considerare un modello stupefacente anche dal punto di vista filosofico.
Per questo dà fastidio ai prevaricatori antidemocratici e dal tentativo della legge truffa nonché a quello purtroppo riuscito della malaugurata "riforma Segni", si sono susseguiti attentati sempre più efficaci per demolire la nostra esemplare Costituzione. Speriamo che gli Italiani non si lascino scippare questo tesoro impareggiabile di civiltà democratica!!!
Viene da lontano, altroché! L'abolizione della Libertà in certi documenti che sono stati fatti passare per falsi ma che si sono rivelati malauguratamente profetici, assieme alla democrazia e al concetto di uguaglianza fra umani in quanto tali, viene considerata doverosa in vista del N.W.O.
Un documento fondamentale come la Costituzione Italiana del 1948, è in antitesi rispetto a suddetti documenti programmatici (dichiarati falsi ma, guarda caso, profetici perché già molto di quanto prescritto in essi, si è verificato (è stato fatto accadere ….).
Sarebbe augurabile che tutti leggessero quei "falsi", vi leggerebbero molta parte della storia del secolo XXX !
Eppure una modifica al testo della Costituzione italiana sarebbe necessario, anzi indispensabile apportarla. Mentre era in discussione venne all'ordine del giorno la questione monetaria che è fondamentale per il funzionamento economico di uno stato. Si discusse cioè di conferire al Parlamento, cioè allo Governo, la facoltà di "battere moneta". La questione, soprattutto per intervento di Luigi Einaudi, fu lasciata irrisolta e con Ciampi venne stabilito che la facoltà di battere moneta fosse affidata alla Banca d'Italia che, come tutti dovrebbero sapere, è in mano a PRIVATI !!!!!!!
Da questo dettaglio discendono tutti i guai economico finanziari dello Stato Italiano!
Anonimo 29 aprile 18.54
Tengo a rettificare un errore di battuta: anziché "secolo XXX" legasi "Secolo XX.
I am very sorry.
Quando ascolto le argomentazioni storico politiche del Prof. Canfora, provo la stessa ammirazione come davanti ai bronzi di Riace, e mi dico "Avranno 2500 anni, ma sono ancora bellissimi".
Mario Cerioli.
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