[ 5 agosto ]
Stefano Fassina ha deciso di salire a bordo della scassata corriera con cui certa sinistra diversamente piddini (Vendoliani, civatiani, rifondaroli, ecc) vuole galleggiare fino alle prossime elezioni del 2017 per ottenere l'agognata quota di scranni in Parlamento. Che si tratti di un partito vero e proprio ne dubitiamo. Sarà uno sgangherato cartello elettorale ed elettoralistico, il quale ci riproporrà la solita melensa pietanza di cretinismo europeista, l'oramai vuoto e retorico riferimento ai... "valori della sinistra" nonché gli stessi leader pesci-bolliti ma altamente litigiosi e con credibilità prossima allo zero.
Stefano Fassina ha deciso di salire a bordo della scassata corriera con cui certa sinistra diversamente piddini (Vendoliani, civatiani, rifondaroli, ecc) vuole galleggiare fino alle prossime elezioni del 2017 per ottenere l'agognata quota di scranni in Parlamento. Che si tratti di un partito vero e proprio ne dubitiamo. Sarà uno sgangherato cartello elettorale ed elettoralistico, il quale ci riproporrà la solita melensa pietanza di cretinismo europeista, l'oramai vuoto e retorico riferimento ai... "valori della sinistra" nonché gli stessi leader pesci-bolliti ma altamente litigiosi e con credibilità prossima allo zero.
Ci chiedono in molti cosa ci faccia Fassina, dopo tutto quanto va dicendo contro questa Euro(pa), con questi eurocretini. Beh, dovreste chiederlo a lui medesimo. Noi abbiamo avuto modo di dirgli che quella corriera va nella direzione sbagliata, che ci sarebbero voluti più coraggio e più coerenza per dare vita, invece, ad un partito democratico, sovranista e socialista.
Per quanto Fassina abbia scelto questa dannata scorciatoia, non cessa di dire come stanno le cose sulla questione delle questioni, la necessità di rompere con questa Euro(pa) e riguadagnare sovranità nazionale sganciando il Paese dalla soffocante supremazia neo-imperialistica tedesca.
Qui sotto l'intervento pubblicato da il manifesto di ieri, 4 agosto.
La partita da riaprire
di Stefano Fassina
Il decalogo di Norma Rangeri propone scenari fertili per la discussione e l’iniziativa politica. Sì, c’è vita a sinistra. Sono vive le donne e gli uomini spiaggiati dalla «cultura e dall’economia dello scarto» denunciata da Papa Francesco, colpiti, da ultimo, dalle “riforme” del mercato del lavoro, della scuola, delle regole della democrazia o affogati dall’egoismo ottuso dei benestanti e dalla paura disperata dei penultimi. Così come sono vive le donne e gli uomini, soprattutto i più giovani e più qualificati, costretti a svendere i loro talenti o a emigrare.
Come dare voce all’universo degli invisibili abbandonati e dei pionieri senza opportunità? Per rispondere, vogliamo costruire, ambiziosamente, un partito per la sfida del governo. L’ambizione deve poggiare, innanzitutto, su un’analisi condivisa del tornante storico nel quale siamo. Su queste pagine Revelli e Panagopoulos, Ferrero, Martone e Pizzuti confermano una larga sintonia tra di noi. Vediamo il trionfo insostenibile del capitale sul lavoro e l’euro-zona sulla rotta del Titanic. Inoltre, dopo la drammatica caduta delle speranze coraggiosamente alimentate da Syriza e dal Governo Tsipras, è anche diventato evidente a tutti che, nel quadro del mercantilismo liberista, la sinistra è senza spazio di manovra. Nell’area della moneta unica, la democrazia e la politica sono prigionieri di Tina: «There is no alternative». Pensiero unico e agenda unica. Oppure, l’apocalisse.
È, invece, oggetto di discussione la strada da percorrere per liberare il futuro. Da una parte, chi indica la strada della radicale correzione dei Trattati affinché l’euro, da fattore regressivo, diventi fattore progressivo. Dall’altra, chi, come il sottoscritto, ritiene che non vi siano le condizioni politiche per ribaltare i Trattati e individua il superamento concordato dell’euro come passaggio obbligato per salvare l’Unione europea e riaprire la partita della democrazia fondata sul lavoro.
Per avviare la costruzione di una forza politica ambiziosa, una comune carta di valori è insufficiente. Vanno fatti i conti con “l’europeismo reale”, come li abbiamo fatti, chi prima chi dopo, con il “socialismo reale”. Stavolta, non possiamo aspettare le schegge del Muro di Berlino. L’euro è stato un errore di prospettiva politica: nato per arginare lo svuotamento della sovranità nazionale e la svalutazione del lavoro determinati dai mercati globali de-regolati, è diventato potente fattore di aggravamento dello squilibrio nei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Il dilemma «euro si/euro no» è la punta dell’iceberg. È da riscrivere l’intero impianto di marginalizzazione della politica contenuto nei Trattati, funzionali all’interesse nazionale tedesco. Ma invocare il coraggio delle élite per arrivare agli Stati Uniti d’Europa è retorica autoconsolatoria. Le condizioni politiche per le correzioni necessarie alla “costituzione” dell’euro-zona sono assenti per ragioni profonde: i caratteri morali e culturali dei popoli, gli interessi degli Stati nazionali e i rapporti di forza. La Germania lo incomincia a riconoscere: pur nel quadro di un approccio punitivo verso la Grecia, ha rotto il tabù dell’irreversibilità dell’euro. Il Ministro Schäuble, con il consenso della Cancelliera Merkel, all’Euro-summit del 12 Luglio scorso, propone una «Grexit assistita». Il German Council of the Economic Experts, qualche giorno fa, presenta l’euro-exit come soluzione sistemica in un rapporto ufficiale al governo di Berlino.
Per arrivare al superamento concordato dell’euro e negoziare condizioni di atterraggio sostenibili e, così, porre le basi per salvare l’Unione europea e, con essa, le democrazie delle classi medie va costruita un’alleanza tra fronti nazionali guidati da forze progressiste, aperti alla destra costituzionale e “sovranista”, come realizzato da Syriza in Grecia con Anel.
Su quali soggetti sociali e interessi economici far leva? Su quanti sono svalutati per competere nell’economia dell’export e su quanti subiscono il deficit cronico di domanda interna: il lavoro subordinato, dipendente privato e pubblico, o a Partita Iva, la micro impresa artigiana e commerciale, l’arcipelago delle professioni proletarizzate. Uniti, in un’alleanza sociale progressiva, con chi compete sull’innovazione e sulla qualità del lavoro.
La coalizione della domanda interna per il lavoro di cittadinanza è il compito difficile del partito nazionale e popolare da costruire insieme.
Il decalogo di Norma Rangeri propone scenari fertili per la discussione e l’iniziativa politica. Sì, c’è vita a sinistra. Sono vive le donne e gli uomini spiaggiati dalla «cultura e dall’economia dello scarto» denunciata da Papa Francesco, colpiti, da ultimo, dalle “riforme” del mercato del lavoro, della scuola, delle regole della democrazia o affogati dall’egoismo ottuso dei benestanti e dalla paura disperata dei penultimi. Così come sono vive le donne e gli uomini, soprattutto i più giovani e più qualificati, costretti a svendere i loro talenti o a emigrare.
Come dare voce all’universo degli invisibili abbandonati e dei pionieri senza opportunità? Per rispondere, vogliamo costruire, ambiziosamente, un partito per la sfida del governo. L’ambizione deve poggiare, innanzitutto, su un’analisi condivisa del tornante storico nel quale siamo. Su queste pagine Revelli e Panagopoulos, Ferrero, Martone e Pizzuti confermano una larga sintonia tra di noi. Vediamo il trionfo insostenibile del capitale sul lavoro e l’euro-zona sulla rotta del Titanic. Inoltre, dopo la drammatica caduta delle speranze coraggiosamente alimentate da Syriza e dal Governo Tsipras, è anche diventato evidente a tutti che, nel quadro del mercantilismo liberista, la sinistra è senza spazio di manovra. Nell’area della moneta unica, la democrazia e la politica sono prigionieri di Tina: «There is no alternative». Pensiero unico e agenda unica. Oppure, l’apocalisse.
È, invece, oggetto di discussione la strada da percorrere per liberare il futuro. Da una parte, chi indica la strada della radicale correzione dei Trattati affinché l’euro, da fattore regressivo, diventi fattore progressivo. Dall’altra, chi, come il sottoscritto, ritiene che non vi siano le condizioni politiche per ribaltare i Trattati e individua il superamento concordato dell’euro come passaggio obbligato per salvare l’Unione europea e riaprire la partita della democrazia fondata sul lavoro.
Per avviare la costruzione di una forza politica ambiziosa, una comune carta di valori è insufficiente. Vanno fatti i conti con “l’europeismo reale”, come li abbiamo fatti, chi prima chi dopo, con il “socialismo reale”. Stavolta, non possiamo aspettare le schegge del Muro di Berlino. L’euro è stato un errore di prospettiva politica: nato per arginare lo svuotamento della sovranità nazionale e la svalutazione del lavoro determinati dai mercati globali de-regolati, è diventato potente fattore di aggravamento dello squilibrio nei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
Il dilemma «euro si/euro no» è la punta dell’iceberg. È da riscrivere l’intero impianto di marginalizzazione della politica contenuto nei Trattati, funzionali all’interesse nazionale tedesco. Ma invocare il coraggio delle élite per arrivare agli Stati Uniti d’Europa è retorica autoconsolatoria. Le condizioni politiche per le correzioni necessarie alla “costituzione” dell’euro-zona sono assenti per ragioni profonde: i caratteri morali e culturali dei popoli, gli interessi degli Stati nazionali e i rapporti di forza. La Germania lo incomincia a riconoscere: pur nel quadro di un approccio punitivo verso la Grecia, ha rotto il tabù dell’irreversibilità dell’euro. Il Ministro Schäuble, con il consenso della Cancelliera Merkel, all’Euro-summit del 12 Luglio scorso, propone una «Grexit assistita». Il German Council of the Economic Experts, qualche giorno fa, presenta l’euro-exit come soluzione sistemica in un rapporto ufficiale al governo di Berlino.
Per arrivare al superamento concordato dell’euro e negoziare condizioni di atterraggio sostenibili e, così, porre le basi per salvare l’Unione europea e, con essa, le democrazie delle classi medie va costruita un’alleanza tra fronti nazionali guidati da forze progressiste, aperti alla destra costituzionale e “sovranista”, come realizzato da Syriza in Grecia con Anel.
Su quali soggetti sociali e interessi economici far leva? Su quanti sono svalutati per competere nell’economia dell’export e su quanti subiscono il deficit cronico di domanda interna: il lavoro subordinato, dipendente privato e pubblico, o a Partita Iva, la micro impresa artigiana e commerciale, l’arcipelago delle professioni proletarizzate. Uniti, in un’alleanza sociale progressiva, con chi compete sull’innovazione e sulla qualità del lavoro.
La coalizione della domanda interna per il lavoro di cittadinanza è il compito difficile del partito nazionale e popolare da costruire insieme.
* Fonte: Stefano Fassina
6 commenti:
Sono sconcertato, o ha scelto di adagiarsi in un ruolo minoritario all' interno di una minoranza di un accrocchio politico grande come un atomo e di cui ci toccherà assistere alla scissione fino alle particelle subatomiche delle dimensioni della lunghezza di Planck.
Oppure spera di portare entro il 2027 Civati e Compagni verso posizioni euroscettiche.
Può essere considerato un obiettivo strategico e nobile e persino condivisibile, però visto che già mi sono sbagliato con Varoufakis ho l' impressione che dovrò tranquillamente considerarlo perso...spero di sbagliarmi di nuovo.
Speriamo solo che siano i cittadini a voler chiudere con questi baracconi, ci sarà un momento in cui la gente dirà basta a certe sciarade?
Quanto a Fassina, a questo punto credo che sia meglio lasciarlo andare dove vuole, perchè imbarcare certi fenomeni può rilevarsi la classica serpe in seno.
Riccardo.
Euroscettico Fassina? Ma non fatemi ridere. La borghesia medio alta di fronte alla classe dominante se la fa sotto come si è visto in Grecia, è nel loro DNA di gregari.
Fassina apparentemente è meglio di Civati ma si tratta sempre di uno che al momento buono si calerà le braghe e obbedirà alla volontà delle persone che lo dominano e che lui in fondo ammira caninamente.
Personaggetti che sperano solo di essere cooptati negli ambienti che contano.
Euroscettico è un eufemismo, in quanto tale ha due punti opposti di osservazione e conseguente interpretazione e la storia ci dirà qual è quella giusta.
però il pensiero è chiaro: uscita dall'euro. Forse sotto c'è la consapevolezza della necessità di una uscita collettiva e cerca l'appoggio della sinistra diversamente pd che è propensa a un'altra europa. Fassina non è sprovveduto e spero, credo, non faccia il doppio gioco ma cerchi consensi graduali
Non è sprovveduto, semplicemente si è creato il suo personalissimo piano B, cioè noi.
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