[ 10 aprile]
Ed eccoci all’apice, al culmine di questo processo riformatore della pubblica istruzione che attraverso vari momenti ha aperto la strada a ciò che Bontempelli (op. in.) ha definito la “scuola della globalizzazione”.
La riforma Berlinguer è arrivata dopo un lungo periodo di stagnazione introducendo novità strutturali nell’organizzazione della scuola (l’autonomia) in realtà svuotandone il significato di istituzione civile e statale e aprendo al privato e al mercato in maniera pericolosamente disinvolta.
Noi siamo dell’opinione che il quadro gentiliano della scuola andasse sì ritoccato riguardo agli aspetti scientifico-tecnologici, ma non bisognasse disperdere il patrimonio di centralità della scuola che, se pur nata in una società liberale, era pur sempre esente da meccanismi di gestione di tipo capitalistico come luogo in cui la formazione prevalesse se pur momentaneamente sul lavoro.
I vari tecnici e professionisti italiani hanno avuto bisogno di questa scuola che andava migliorata, non del tutto abbattuta; potenziata, non svalutata per imitare nei costi di gestione e nei meccanismi di lavoro un modello anglosassone che aveva già i suoi forti limiti.
La riforma Moratti oltre che aprire alle private, ha accentuato questa direzione ritenuta inevitabile.
Per soddisfare il proprio elettorato (la riforma dei cicli) e facendosi più ancora portavoce dell’ideologia aziendalista ed efficientista con effetti che si sono rivelati disastrosi per la categoria e per gli alunni, tanto che un coro di critiche e di contestazioni ne hanno in parte bloccato le intenzioni originarie.
Rispetto alle grandi riforme del passato (Casati Gentile), le riforme del centrosinistra, mancano di un vero asse culturale e civile: dietro questo desiderio di fondo di nuovismo si nasconde in realtà un vero e proprio vuoto etico e intellettuale, appena mascherato dal modernismo di facciata che sta dietro tutta una serie di affermazioni come: autonomia organizzativa, con iniziative e spese che potrebbero essere meglio utilizzate.
Invece tutto ciò alimenta una profonda de-professionalizzazione della funzione docente.
Dietro didatticismi e psicologismi si nascondono l’incapacità di fondo di valorizzare appieno la preparazione e le competenze dei docenti nelle proprie rispettive materie e il ruolo non solo funzionale, ma formativo-istituzionale degli stessi nel costruire e sostenere, non secondo logiche di puro mercato e quindi di lavoro e consumo, gli uomini e i cittadini di una società futura.
Questo significa non solo rinunciare a tale compito, ma anche ridurre la scuola non al luogo di una riflessione critica e una rielaborazione della realtà, ma a puro specchio della stessa, contenitore vuoto, dove hanno spazio non la vera progettualità didattica e culturale, ma momenti passivi di assimilazione di modelli esterni a mala pena rivestiti di una vernice schematico-funzionale e tecnologica.
E questo nell’onda di un Americanismo e pragmatismo assolutamente dimentichi della nostra identità culturale nazionale ed europea, nell’ottica della globalizzazione (il totalitarismo neo liberista direbbe Bontempelli) visto come discorso che fatalmente debba coinvolgere e fagocitare anche ricerca, cultura e formazione senza alcun spazio di autonomia.
Nulla di nuovo con la riforma Gelmini e la licealizzazione dell’istruzione superiore nel tentativo vano di ridare vigore alla realtà degli istituti tecnici, con un curricolo più snello, riprendendo le ore di 60 minuti, e soprattutto tagli alla scuola pubblica a favore di quella privata.
Fioroni poi dà la parvenza di maggiore serietà all’esame di Stato con le commissioni miste e un una più bassa percentuale di ammessi con debiti formativi.
Ma, dulcis in fundo, arriva la Buona Scuola di Renzi, presentata con grandi slogan come il prodotto di una generale consultazione popolare, in realtà, dietro l’immagine innovativa, presenta intenti perniciosi assai piu’ di quanto si pensi.
A parte il problema del reclutamento degli insegnanti (in realtà di cosa si voglia far fare loro) per la prima volta (dopo il “concorsaccio” di Berlinguer), si torna a parlare di merito e di carriera decisa dai presidi-managers (Chi custodirà i custodi?- direbbe Platone) sugli ultimi tre anni di attività, formazione, aggiornamento, lavoro interno ed esterno.
Ancora la scuola si apre al territorio, agli esperti esterni, si mette in rete, si digitalizza di piu’ (come già profetizzava quel tecnocrate amorale di Profumo), cerca altre risorse (sottratte dalle private), perde definitivamente non solo il suo patrimonio culturale, ma anche la sua identità etica e civile.
A questo punto si pone il problema del “Che Fare” di fronte a passaggi istituzionali che sembrano irreversibili, sia in termini di freno, sia in termini di rivendicazione di categoria e sindacale (la categoria è divisa e purtroppo tendente ad accondiscendere ad una miserabile guerra tra poveri).
Richiamare oggi l’attenzione sul ruolo della funzione docente e rivendicarne l’autonomia e il significato essenziale mi sembra imprescindibile.
Ma mi sembra importante (come dice Preve in un articolo su Koinè parafrasando Heidegger che afferma che “Solo un Dio ci può salvare”, in una famosa intervista) fare appello all’alta cultura europea e all’Università, quando non sia chiusa in una torre d’avorio e dedita a puri giochi di potere, richiamandola ad un discorso serio e responsabile, ad una riflessione comune su ricerca cultura e formazione, ad una collaborazione più stretta, con la coscienza senz’altro diffusa di ripensare il tutto in maniera più attenta.
L’azione sindacale e la spinta politica vanno collegate ad una riprogettualizzazione complessiva che parta proprio da un momento fondamentale come quello della scuola (di qui convegni, momenti di lotta, interventi di studio, proposte)..
Di fronte alle reazioni inconsistenti dei sindacati ufficiali, alla categoria non rimane che ripensare autonomamente spazi e modi di organizzazione che non verrebbero mai concessi dall’alto.
Lo strumento dell’autonomia professionale può indirizzarsi verso altri organismi che non siano semplici Associazioni di insegnanti, ma qualcosa che la riporti ad uno statuto etico-deontologico (uno di queste può essere l’ordine degli insegnanti) che valga per tutti e dia il senso di una professione adeguata alla Società moderna e la valorizzi in tutto il suo potenziale giuridico e civile.
La funzione docente diventa complessa e articolata se volta alla formazione dei giovani e alla trasmissione di cultura e saperi che sono la chiave di volta per la comprensione della civiltà attuale e futura e il suo possibile sviluppo controllato e vivibile e non privo di una dimensione umana in una connotazione globale dell’economia e della tecnica Filosofia e saperi (al di là della distinzione classica tra discipline scientifiche e discipline umanistiche) devono cooperare nel progetto complessivo di una Scuola in grado di fornire non solo strumenti operativi, ma momenti di alta conoscenza, i soli in grado di porre un freno alla deriva caotica in questo momento di diffusione quasi folle del capitalismo a livello mondiale.
Questo esalta il ruolo di insegnanti che non possono più solo basarsi su buona volontà e spirito missionario ma risultino veri professionisti sempre più carichi di responsabilità e che come tali possano rivendicare una considerazione e un ruolo che è ben altra cosa rispetto a quello attualmente attribuitogli dallo Stato e dalla società civile.
Ed eccoci all’apice, al culmine di questo processo riformatore della pubblica istruzione che attraverso vari momenti ha aperto la strada a ciò che Bontempelli (op. in.) ha definito la “scuola della globalizzazione”.
La riforma Berlinguer è arrivata dopo un lungo periodo di stagnazione introducendo novità strutturali nell’organizzazione della scuola (l’autonomia) in realtà svuotandone il significato di istituzione civile e statale e aprendo al privato e al mercato in maniera pericolosamente disinvolta.
Noi siamo dell’opinione che il quadro gentiliano della scuola andasse sì ritoccato riguardo agli aspetti scientifico-tecnologici, ma non bisognasse disperdere il patrimonio di centralità della scuola che, se pur nata in una società liberale, era pur sempre esente da meccanismi di gestione di tipo capitalistico come luogo in cui la formazione prevalesse se pur momentaneamente sul lavoro.
I vari tecnici e professionisti italiani hanno avuto bisogno di questa scuola che andava migliorata, non del tutto abbattuta; potenziata, non svalutata per imitare nei costi di gestione e nei meccanismi di lavoro un modello anglosassone che aveva già i suoi forti limiti.
La riforma Moratti oltre che aprire alle private, ha accentuato questa direzione ritenuta inevitabile.
Per soddisfare il proprio elettorato (la riforma dei cicli) e facendosi più ancora portavoce dell’ideologia aziendalista ed efficientista con effetti che si sono rivelati disastrosi per la categoria e per gli alunni, tanto che un coro di critiche e di contestazioni ne hanno in parte bloccato le intenzioni originarie.
Rispetto alle grandi riforme del passato (Casati Gentile), le riforme del centrosinistra, mancano di un vero asse culturale e civile: dietro questo desiderio di fondo di nuovismo si nasconde in realtà un vero e proprio vuoto etico e intellettuale, appena mascherato dal modernismo di facciata che sta dietro tutta una serie di affermazioni come: autonomia organizzativa, con iniziative e spese che potrebbero essere meglio utilizzate.
Invece tutto ciò alimenta una profonda de-professionalizzazione della funzione docente.
Dietro didatticismi e psicologismi si nascondono l’incapacità di fondo di valorizzare appieno la preparazione e le competenze dei docenti nelle proprie rispettive materie e il ruolo non solo funzionale, ma formativo-istituzionale degli stessi nel costruire e sostenere, non secondo logiche di puro mercato e quindi di lavoro e consumo, gli uomini e i cittadini di una società futura.
Questo significa non solo rinunciare a tale compito, ma anche ridurre la scuola non al luogo di una riflessione critica e una rielaborazione della realtà, ma a puro specchio della stessa, contenitore vuoto, dove hanno spazio non la vera progettualità didattica e culturale, ma momenti passivi di assimilazione di modelli esterni a mala pena rivestiti di una vernice schematico-funzionale e tecnologica.
E questo nell’onda di un Americanismo e pragmatismo assolutamente dimentichi della nostra identità culturale nazionale ed europea, nell’ottica della globalizzazione (il totalitarismo neo liberista direbbe Bontempelli) visto come discorso che fatalmente debba coinvolgere e fagocitare anche ricerca, cultura e formazione senza alcun spazio di autonomia.
Nulla di nuovo con la riforma Gelmini e la licealizzazione dell’istruzione superiore nel tentativo vano di ridare vigore alla realtà degli istituti tecnici, con un curricolo più snello, riprendendo le ore di 60 minuti, e soprattutto tagli alla scuola pubblica a favore di quella privata.
Fioroni poi dà la parvenza di maggiore serietà all’esame di Stato con le commissioni miste e un una più bassa percentuale di ammessi con debiti formativi.
Ma, dulcis in fundo, arriva la Buona Scuola di Renzi, presentata con grandi slogan come il prodotto di una generale consultazione popolare, in realtà, dietro l’immagine innovativa, presenta intenti perniciosi assai piu’ di quanto si pensi.
A parte il problema del reclutamento degli insegnanti (in realtà di cosa si voglia far fare loro) per la prima volta (dopo il “concorsaccio” di Berlinguer), si torna a parlare di merito e di carriera decisa dai presidi-managers (Chi custodirà i custodi?- direbbe Platone) sugli ultimi tre anni di attività, formazione, aggiornamento, lavoro interno ed esterno.
Ancora la scuola si apre al territorio, agli esperti esterni, si mette in rete, si digitalizza di piu’ (come già profetizzava quel tecnocrate amorale di Profumo), cerca altre risorse (sottratte dalle private), perde definitivamente non solo il suo patrimonio culturale, ma anche la sua identità etica e civile.
A questo punto si pone il problema del “Che Fare” di fronte a passaggi istituzionali che sembrano irreversibili, sia in termini di freno, sia in termini di rivendicazione di categoria e sindacale (la categoria è divisa e purtroppo tendente ad accondiscendere ad una miserabile guerra tra poveri).
Richiamare oggi l’attenzione sul ruolo della funzione docente e rivendicarne l’autonomia e il significato essenziale mi sembra imprescindibile.
Ma mi sembra importante (come dice Preve in un articolo su Koinè parafrasando Heidegger che afferma che “Solo un Dio ci può salvare”, in una famosa intervista) fare appello all’alta cultura europea e all’Università, quando non sia chiusa in una torre d’avorio e dedita a puri giochi di potere, richiamandola ad un discorso serio e responsabile, ad una riflessione comune su ricerca cultura e formazione, ad una collaborazione più stretta, con la coscienza senz’altro diffusa di ripensare il tutto in maniera più attenta.
L’azione sindacale e la spinta politica vanno collegate ad una riprogettualizzazione complessiva che parta proprio da un momento fondamentale come quello della scuola (di qui convegni, momenti di lotta, interventi di studio, proposte)..
Di fronte alle reazioni inconsistenti dei sindacati ufficiali, alla categoria non rimane che ripensare autonomamente spazi e modi di organizzazione che non verrebbero mai concessi dall’alto.
Lo strumento dell’autonomia professionale può indirizzarsi verso altri organismi che non siano semplici Associazioni di insegnanti, ma qualcosa che la riporti ad uno statuto etico-deontologico (uno di queste può essere l’ordine degli insegnanti) che valga per tutti e dia il senso di una professione adeguata alla Società moderna e la valorizzi in tutto il suo potenziale giuridico e civile.
La funzione docente diventa complessa e articolata se volta alla formazione dei giovani e alla trasmissione di cultura e saperi che sono la chiave di volta per la comprensione della civiltà attuale e futura e il suo possibile sviluppo controllato e vivibile e non privo di una dimensione umana in una connotazione globale dell’economia e della tecnica Filosofia e saperi (al di là della distinzione classica tra discipline scientifiche e discipline umanistiche) devono cooperare nel progetto complessivo di una Scuola in grado di fornire non solo strumenti operativi, ma momenti di alta conoscenza, i soli in grado di porre un freno alla deriva caotica in questo momento di diffusione quasi folle del capitalismo a livello mondiale.
Questo esalta il ruolo di insegnanti che non possono più solo basarsi su buona volontà e spirito missionario ma risultino veri professionisti sempre più carichi di responsabilità e che come tali possano rivendicare una considerazione e un ruolo che è ben altra cosa rispetto a quello attualmente attribuitogli dallo Stato e dalla società civile.
* MPL Salerno
3 commenti:
A proposito di "gradualità", "passo passo" etc etc leggete qua che è davvero notevole
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/10/lfmi-ci-ripensa-liberalizzare-mercato-non-spinge-leconomia/1577281/
Vedi che piano piano ci si rende conto che il sistema economico attuale tende a distruggere gli equilibri sia per quanto riguarda le posizioni deboli (lavoratori) che per quelle forti.
E piano piano comincerà a diffondersi l'idea della necessità di qualche forma di solidarietà, impossibilità di accumulo infinito di ricchezze, mobilità sociale, limiti alle eredità, limiti alla proprietà privata e importanza dei beni comuni non mercificabili.
Vincerà il primo che si approprierà delle parole (dei "vocaboli") giusti capaci di rappresentare i nuovi ideali. Come i grillini sono i depositari di "onestà" la sinistra dovrebbe impadronirsi di "uguaglianza e solidarietà", tanto per dire. Insomma oggi conta molto di più il lavoro di ricostruzione e conquista ideologica piuttosto che quello di analisi politico economica. Vediamo chi lo capisce per primo (sempre dopo Grillo ovviamente che c'è arrivato da una decina d'anni purtroppo rifiutandosi di crescere dal punto di vista delle competenze tecniche).
"Di fronte alle reazioni inconsistenti dei sindacati ufficiali, alla categoria non rimane che ripensare autonomamente spazi e modi di organizzazione che non verrebbero mai concessi dall’alto.
"
Questo (e ciò che segue da quel punto) però è il solito copione della sinistra che, una volta sconfitta nella sua battaglia, si rassegna a cercare di governare il sistema dall'interno preparandosi di fatto ad ulteriori sconfitte.
Con una visione così malinconico-pessimista tanto vale rinunciare in partenza.
Il cieco furore riformatore che ha colpito la scuola italiana è iniziato già negli anni '70, ed è un caso più unico che raro di `mantenimento del peggio e distruzione del meglio: si è buttato via il bambino e si è tenuta l'acqua sporca.
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