[ 1 aprile ]
Continua a far discutere le proposta di Maurizio Landini di "Coalizione sociale". Il 16 marzo scorso avevamo pubblicato l'intervento di Moreno Pasquinelli. poi quello, decisamente più severo, di Giorgio Cremaschi. Oggi è la volta di Contropiano. Ricordiamo che in quanto parte del Coordinamento della sinistra contro l'euro abbiamo aderito alla manifestazione della FIOm del 28 marzo scorso, diffondendo questo volantino.
«Che ne pensate della coalizione sociale di Landini? Perchè non parlate con Landini? L'unica possibilità è diventato Landini... Da qualche settimana è difficile non sentirsi porre tutte o alcune di queste domande, andando in giro. A porle spesso sono compagne e compagni almeno cinquantenni, con molte battaglie e troppe sconfitte sulle spalle, che come un mantra ti pongono le stesse domande da vent'anni, con personaggi sempre nuovi e diversi: ieri Bertinotti o Cofferati, poi Vendola e in finale Tispras, che però ha già parecchio da fare di suo, al di là del mar Ionio.
La necessità pressante di un “uomo della provvidenza”, alla fine, si rivela come una consolazione per respingere risposte dovute a domande rimosse, e affidare a “qualcuno” la soluzione della crisi di rappresentanza politica degli interessi di classe, accontentandosi spesso della rappresentazione che viene offerta.
Ci sembra doveroso prendere parola sulla proposta di coalizione sociale abbozzata dal segretario della Fiom per mettere sul campo, con lealtà e realismo, quello che pensiamo e come intendiamo operare nel nostro paese e in Europa nei prossimi anni.
Una prima riflessione riguarda lo “spazio politico”. Secondo molti la sinistra ha un grande spazio politico da riempire, che la dissoluzione dei partiti della sinistra radicale (frutto di innumerevoli scissioni del Prc) non consente più di realizzare. Non solo. La crisi economica e sociale dilaterebbe questo spazio, rendendo quasi naturale che la sinistra lo debba e possa occupare. Quanto è ancora vero questo ragionamento? Gli spazi vuoti in natura non esistono, ma gli spazi politici sono altra cosa. A fronte della gerarchizzazione imposta dall'Unione Europea, con la conseguente governance bonapartista incarnata dal Pd e Renzi, l'unico spazio politico che sembra potersi aprire alla sinistra è quello riformista, anche nella sua accezione migliore.
La proposta di Landini, e le interlocuzioni che ha scelto per attuarla, si muovono in questo spazio ed è questo che puntano a riempire. Ma lo spazio riformista, per essere efficace, ha bisogno di presentare una politica possibile con cui realizzare un minimo o un massimo di risorse da redistribuire a livello sociale.
Queste risorse oggi sono scarse e fortemente centralizzate su interessi prioritari – di imprese multinazionali, banche, spese militari – che escludono intenti redistributivi di tipo neo-keynesiano. Questa è la gabbia imposta dall'Unione Europea e questa gabbia va rotta per ridare speranze di sopravvivenza e sviluppo ai settori popolari. Un capitalismo “mitigato” dagli ammortizzatori sociali e dalla concertazione, come avvenuto fin qui, non è più negli orizzonti del nostro avversario di classe; comunque non è lo è nel breve-medio periodo.
Dunque, unirsi per praticare azioni comuni nello spazio riformista rischia di diventare velleitario ed anche incomprensibile agli occhi del nostro stesso blocco sociale di riferimento: lavoratori, disoccupati, forme di “moderno” precariato, popolo delle periferie. Si tratta di settori sociali che hanno bisogno di soluzioni concrete e urgenti, e di un sistema di idee – in senso lato, di un'ideologia e un'identità – che tengano alla larga le tentazioni reazionarie animate dalla destra. Ma né l'una né l'altra appaiono definite nella proposta della coalizione sociale di Landini; e probabilmente non lo possono essere.
La seconda riflessione attiene all'interlocuzione della proposta di Landini. Il primo passo è stato quello del confronto con le associazioni da “terzo settore” (Libera, Arci, Emergency). Esclusa Emergency, le altre due sono nate, vissute e cresciute dentro un rapporto di collateralità rispetto ai partiti della cosiddetta “sinistra di governo”. Per quanto frequentate anche da tanta brava gente, hanno contribuito e contribuiscono ad alimentare l'ideologia del no profit e del mercato sociale, che sono stati una clava per l'attacco ai sistemi di welfare state locali e statali. Non sono insomma organismi indipendenti da chi ha in mano le redini del governo o delle amministrazioni locali, perchè dipendono strettamente dai finanziamenti pubblici e da chi li eroga discrezionalmente; quindi dipendono giocoforza dal Pd o comunque da scelte governative. Un punto di debolezza e vulnerabilità, dunque, non di forza, per una coalizione sociale che intende mettersi di traverso rispetto all'esecutivo di Renzi.
In secondo luogo la proposta di Landini ha rafforzato il legame con la Cgil guidata da Susanna Camusso (sorvoliamo sul bacio sul palco di piazza del Popolo). E' un tentativo di lanciare un'opa sulla prossima segreteria della Cgil o, al contrario, il tentativo di spostare la Cgil sul piano politico e dentro la coalizione sociale? Entrambi gli obiettivi appaiono velleitari e con scarse possibilità di successo.
La terza riflessione discende dalla seconda. Il tentativo di Landini di costruire una coalizione sociale anche esterna al sindacato è giusto, perchè coglie l'enorme difficoltà per il sindacato di fare oggi contrattazione come avveniva ieri. Questa difficoltà c'è e agisce concretamente e non solo per la Fiom. Il padronato, e il sistema legislativo imposto con il Jobs Act, lasciano spazio solo ad un sindacato aziendale, neocorporativo e complice, mentre attaccano frontalmente le forme di sindacato più o meno conflittuale. Una coalizione sociale attiva e conflittuale, anche fuori e a ridosso dei luoghi di lavoro, potrebbe sopperire efficacemente alla debolezza del sindacato dentro i posti di lavoro e includere larghi settori di “nuovi lavoratori” disgregati, divisi, dispersi e senza rappresentanza, né sindacale né politica.
Ma questo presuppone che la scelta sia quello del sindacalismo conflittuale, non di quello ex-concertativo, ora soltanto”complice”. Farsi illusioni oggi sull'apparato della Cgil diventa qualcosa di peggio di una illusione: è un consapevole inganno. Al che sorge spontanea la domanda: perchè Landini ancora una volta non ha sentito l'esigenza di confrontarsi sulla sua proposta anche con i sindacati di base e conflittuali? Perchè ha escluso questa opzione dal ragionamento e dalle interlocuzioni della coalizione sociale? L'ha esclusa proprio perchè esclude ciò che non gli appare compatibile col suo progetto sia sindacale che politico. E la cosa non è affatto un dettaglio, ma un elemento dirimente.
Infine, ma non per importanza, c'è il rapporto tra la proposta di coalizione sociale con i movimenti e i partiti della sinistra radicale. Questi ultimi si assottigliano continuamente e soffrono endemicamente della malattia da quorum (come faccio a superarlo?). Ne soffrono talmente che, anche quando lo superano, continuano a fare le stesse di prima ad ogni tornata elettorale, senza mai avvertire l'esigenza di rompere le regole del gioco, sia a livello locale che nazionale.
I movimenti sociali, almeno quelli attivi sul piano territoriale, o mostrano indifferenza alla proposta, preferendo concentrarsi sul proprio pezzo di intervento, oppure operano una scissione delegando al futuro soggetto politico di Landini la rappresentazione della “politica”, mentre quotidianamente agiscono “nel sociale” respingendo la “politica” come rappresentanza di interessi sociali organizzati. E' curioso come questo approccio abbia portato alla dispersione del risultato politico (così definito, in quanto temuto, dagli stessi apparati dello Stato) delle giornate di lotta del 18 e 19 ottobre 2013, quando una vera coalizione politica, sindacale e sociale “conflittuale” si è manifestata concretamente e si è espressa politicamente in modo avanzato. Tanto da impensierire seriamente – anche se solo temporaneamente - l'avversario di classe. Guardarsi indietro non sempre indica il domani, ma almeno dovrebbe far riflettere sugli errori commessi. Innanzitutto puntando più ad un intellettuale collettivo che agli uomini della provvidenza e poi, volendo guardare avanti, possiamo affermare che nessuna coalizione potrà fare a meno di misurarsi con l'obiettivo della rottura con l'Unione Europea e l'Eurozona per ridare speranza, rappresentanza e prospettiva al nostro blocco sociale di riferimento.
Dunque, l'ipotesi di una coalizione sociale ci convince, eccome. Semplicemente non ci convincono i presupposti – politici e programmatici - sui quali hanno mostrato di volerla realizzare Landini e la “sinistra” del quotidiano La Repubblica».
* Fonte: Contropiano
4 commenti:
Ma quanta sfiziosità per una iniziativa atta a smuovere un po' le acque stagnanti, mefitiche e inquinate dell'universo della pseudo sinistra italiana!
Questo scetticismo ostile, critico fino all'acidità, è tale da scoraggiare ogni speranza e ogni possibile prospettiva di riscatto.
Il fatto che si attribuisca a Repubblica l'ispirazione dell'eventuale intrapresa politica di Landini potrebbe essere anche considerato piuttosto immaginoso.
Per fare cosa:? Cercare di formare una "vera "sinistra" capace di fare da contraltare ad una sinistra fittizia.
Il tentativo sarebbe lodevole, ma come si dice nella critica ci sarebbero ancora da definire con precisione le linee programmatiche e d'azione.
La sola figura altamente carismatica e intrepida del Leader forse non basta.
"...un sistema di idee – in senso lato, di un'ideologia e un'identità..."
Appunto:
una nuova cultura di sinistra che dalla critica e dal superamento esistente mette in cammino la comunità proletaria.
E si avverte l'assenza a tutti i livelli: culturale, politico e sindacale. E' il buco nero dei 30 anni e più.
Ma alla genericità di Landini che non dice cose chiare su euro concorrenza internazionale, sovranità popolare e sovranità nazionale si può rintuzzare con "bilancio minimo"? interessi del centro sinistra &c., illusioni, paure egoismi di questi anni e condizione proletaria complessiva
Anche il sindacalismo di base ha il "torto" di non aver creato in questi 20 anni e più dalla sua nascita, una nuova cultura sindacale, nuovi modi di unire, nuovi percorsi di lotta altri obbiettivi che non fosse "la rappresentazione della rappresentanza" con una pratica che scimmiotta i confederali.
Proponiamo "bilancio minimo" ai nostri vicini, griglia culturale che ci fa fuoriuscire da"gruppi isolati e divisi" e non staremo in affanno e a sbattere la testa come i serpenti nella ricerca dell' uomo della provvidenza.
A me pare che queste critiche (molte delle quali legittime) convergano tutte su un punto inquietante
e cioè quello del progressivo disimpegno dei movimenti “radicali” rispetto i movimenti reali.
Tento di spiegarmi meglio.
Che piaccia o meno sia la cgil che la fiom hanno un numero di iscritti che non è minimamente paragonabile alla somma dei militanti delle varie sigle “radicali”.
A me sembra che sfugga il fatto che gli iscritti di queste sigle non sono solamente degli iscritti ma anche i componenti dei ceti sociali ai quali noi dovremmo dare una coscienza (o un senso weberianamente inteso).
Per fare questo occorre interloquire con questi soggetti politici che nonostante tutto rimangono anche sociali.
E proprio perchè abbiamo più di una critica da rivolgere alla Rappresentanza di questo soggetto sociale che dobbiamo crearci la chance per interloquire con loro (le persone).
Se non facciamo questo Qualsiasi strategia concepita da un gruppo di militanti è e rimane una pippa mentale (a due mani aggiungo io).
Insomma sembra quasi (per questo modesto osservatore) che ci si aspetti una pappa pronta che difficilmente ci sarà perchè le tendenze e i movimenti storici non funzionano in questi termini.
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