[ 9 aprile ]
Questa critica, al pensiero di Diego Fusaro ed a come egli lo manifesta, al netto di alcune esagerazioni e dei toni aspri, ci pare largamente condivisibile e ben documentata. Di Fusaro noi avevamo criticato, in punto di teoria, la sua idea della fine della dicotomia destra-sinistra.
In principio era un sito Internet intitolato “La filosofia e i suoi eroi”. Nei primi anni Duemila, chi cercasse in rete informazioni su Platone o Aristotele poteva facilmente imbattersi in queste pagine redatte da uno studente torinese di nome Diego Fusaro. Il sito era una galleria di santini animata da una visione schematica della storia del pensiero, ricalcata dai manuali, ma trasudava di un entusiasmo impressionante. Una decina di anni più tardi, nel 2013, il loro autore veniva annoverato da Maurizio Ferraris su La Repubblica tra i più promettenti giovani filosofi d’Europa.
Ho assistito alla folgorante ascesa mediatica di Diego Fusaro con un misto d’invidia e di stupefazione. Invidia perché, essendo suo coetaneo e avendo fatto gli stessi studi, ammetto che non mi dispiacerebbe affatto pubblicare libri con i più prestigiosi editori, dirigere una collana di testi filosofici, andare in televisione a tuonare contro il capitalismo e l’ideologia gender, partecipare a convegni col fior fiore degli intellettuali infrequentabili, condurre un programma su Radio Padania, rilasciare alla stampa russa interviste a sostegno di Vladimir Putin, fare dei selfie con Marione Adinolfi e infine essere definito “filosofo dagli occhi azzurri che conquista le donne con le citazioni”.
Stupefazione, tuttavia, perché a leggere e ascoltare certe esternazioni di Fusaro si può avere l’impressione di avere a che fare con un idiot savant che ripete meccanicamente degli slogan. Stupefazione, anche, per come Fusaro sia riuscito a non far pesare la sua progressiva radicalizzazione politica sul credito che gli prestano editori come Il Mulino, Bompiani e Feltrinelli. Così, come se nulla fosse, uno storico editore della sinistra italiana ha potuto affidare unamonografia su Antonio Gramsci al promotore di un Fronte Nazionale Italiano. Nessuno sembra voler fare caso al fatto che il Gramsci di Fusaro, anti-scientifico e nazionalista, sia una filiazione diretta del gramscismo di destra teorizzato negli anni Settanta da Alain De Benoist. Un Gramscifascista se teniamo fede alla definizione che De Benoist fornisce del fascismo come, appunto, “variante del socialismo avversa al materialismo e all’internazionalismo”.
Com’è potuta accadere questa cosa che chiamiamo Diego Fusaro? Alle fondamenta dell’edificio c’è una rapida carriera accademica, sostenuta dall’impressionante socievolezza del giovane Fusaro con alcuni grandi vecchi della filosofia italiana, a cominciare da Giovanni Reale e Gianni Vattimo. E poi l’incontro col pensiero di Costanzo Preve, studioso di Marx che teorizzò il superamento della dicotomia destra-sinistra, caldeggiando la nascita di un fronte comune — “rossobruno” come dicono alcuni, o “eurasiatico” come dicono altri — contro il capitalismo. Per questo motivo, alla fine della sua vita Preve si trovò a pubblicare i suoi libri per editori di estrema destra (Edizioni all’insegna del Veltro, Settimo Sigillo…) accanto a Julius Evola, Corneliu Codreanu e Robert Faurisson.
È da Preve che Fusaro prende le sue idee principali, ma è soltanto traducendole in un sistema di frasi a effetto che il giovane filosofo trova la ricetta adatta per bucare lo schermo. La sua strategia “nazionale-popolare”, programmaticamente gramsciana, si pone come obiettivo di “creare un nuovo senso comune” tenendo conto dei “semplici” (bontà sua) al fine di creare un “fronte trasversale” contro il “capitalismo trionfante”. Tutto questo, tuttavia, senza mai definire chiaramente le caratteristiche del suo progetto politico radicale.
Sicuramente Fusaro non è fascista, poiché autocertifica di non ammirare Hitler o Mussolini; sicuramente non è leghista, avendo preso duramente le distanze da Salvini; ma per sua stessa ammissione si considera più vicino al programma di CasaPound che a quello di Tsipras. Marxista, Fusaro? Questo proprio no, a meno di considerare marxista chiunque abbia il vezzo di citare Marx, e ultimamente sono tanti e insospettabili, da Alain De Benoist a Marine le Pen: Fusaro stesso si definisce “allievo indipendente di Marx e Hegel”, come già Preve prima di lui, ma il suo immaginario politico assomiglia quello del socialismo controrivoluzionario otto-novecentesco che culmina nel circolo Proudhon. Pare di avere a che fare con un caso particolarmente acuto di “marxismo immaginario”, per citare Raymond Aron… Forse è vero che destra e sinistra non esistono più, e allora dovremo trovare nuove parole. Non tanto per capire meglio le trasformazioni del piano ideologico — roba vecchia, del secolo scorso! come direbbe il giovane filosofo — quanto per taggare con maggiore precisione i nostri tweet: allora diciamo che Fusaro è indubbiamente un #sovranista e approssimativamente un #lepenista.
Malgrado la giovane età, Diego Fusaro è già fatto maestro nell’arte in cui eccellono i più celebrati filosofi contemporanei: quella di riuscire a trattare qualsiasi problematica dicendo sempre le stesse quattro cose, assumendo inoltre un linguaggio e un’espressività che il pubblico riconoscerà come professorale. A differenza di altri filosofi universitari ai quali viene rimproverato di esprimersi in un idioletto indecifrabile — ad esempio usando paroloni come “idioletto” — Fusaro parla e scrive in maniera relativamente chiara e persino pedagogica, anche se non immune da una certa tragicomica pesantezza.
La chiacchiera fusariana consiste nel montaggio semi-aleatorio di un pugno di moduli argomentativi preconfezionati, di formule declamatorie (“lo dico nel modo più radicale possibile”) e di citazioni ricorrenti (“cretinismo economico”, “epoca della compiuta peccaminosità”, eccetera). Come già segnalato sopra, molti elementi del suo discorso sono presi di peso dai libri di Costanzo Preve. Il risultato non è diverso da quello che si potrebbe ottenere con un generatore automatico e la quantità di testi generabile in questo modo è potenzialmente infinita, come testimonia la prolificità del giovane filosofo. Avventurarsi nella visione della sua gigantesca videografia su YouTube significa fare i conti con un universo di slogan ripetitivo e autoreferenziale. E per ciò stesso, incredibilmente efficace.
Talvolta il meccanismo s’inceppa e produce delle affascinanti anomalie, dei loop e dei glitch nel tessuto logico. Ecco un esempio gustoso della lingua fusariana, del suo modo di “occupare lo spazio” dicendo poco o nulla, tratto da un intervento al Festival della Politica di Mestre nel 2014:
Io credo che si tratti oggi più che mai di lavorare filosoficamente a partire da una critica delle ideologie che porti all’attenzione la critica del potere come necessariamente basata sulla critica delle ideologie.
Questa frase non passerebbe il test di Turing, celebre esperimento mentale che serve a distinguere l’intelligenza umana da quella artificiale. Ma siamo indulgenti: si tratta di uno scivolone come se ne fanno talvolta nella lingua orale. Parliamo allora del conto Twitter del filosofo, dove vengono mandati in rotazione continuamente gli stessi slogan, come se ad animarlo fosse un bot. Questo accade non perché Fusaro sia effettivamente un robot, ma perché applica un preciso metodo che si apprende nelle facoltà di filosofia. Una tecnologia espressiva della quale oggi l’ineguagliato campione è Umberto Galimberti, grande copia-incollatore di testi propri e altrui: con elevatissimi tassi di riciclaggio da un libro all’altro — fino al 95% — l’editorialista del magazine D di Repubblica ha tracciato la via del suo giovane erede.
Il metodo combinatorio, in effetti, si applica anche allo scritto. La carriera accademica di Fusaro segue il ritmo delle numerose pubblicazioni scientifiche, come il recente Fichte e l’anarchia del commercio. Si tratta di una lettura de Lo Stato commerciale Chiuso di Johann Gottlieb Fichte, testo feticcio della nuova destra ripubblicato nel 2009 per le Edizioni di Ar da Franco Freda, già fondatore del primo Fronte Nazionale italiano. Più che un vero saggio di storia delle idee, il libro di Fusaro è un capolavoro nell’arte di allungare il brodo: due o tre occorrenze per ogni singola citazione da Fichte; la tesi del libro parafrasata decine di volte cambiando l’ordine delle parole ma senza mai riuscire a darle maggiore profondità; grappoli di frasi identiche una dietro l’altra. Se vi siete mai chiesti come sia possibile realizzare un libro di 274 pagine con il materiale che serve a riempirne tutt’al più una cinquantina, un indizio tiene in questa semplice citazione dal testo (pp. 96-97):
L’aporia può essere superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a contatto con il quale la Wissenschaftslehre come System der Freiheit si è venuta costituendo. È nostra convinzione che l’aporia possa essere superata continuando a concentrare l’attenzione sul mondo storico a contatto con il quale la Wissenschaftslehre è sorta.
Se non fosse chiaro, Fusaro sta dicendo che l’aporia si può superare concentrando l’attenzione sul mondo storico dalla quale è sorta la Wissenschaftslehre, che poi è un altro modo di affermare che si potrà superare l’aporia concentrandosi sul mondo storico a contatto della quale laWissenschaftslehre si è costituita. La cosa più interessante è che comunque Fusaro non ci diràassolutamente nulla di rilevante su questo benedetto contesto storico. Contrariamente a quello che ribadisce spesso, il nostro è incapace di storicizzare i testi: la sua tesi su Fichte infatti, molto simile alla sua tesi su Gramsci, è che… bisogna uscire dall’Euro! Per un’introduzione più pertinente all’opera di Fichte nel suo contesto, si preferirà leggere l’ottimo The Closed Commercial State: Perpetual Peace and Commercial Society from Rousseau to Fichte di Isaac Nakhimovsky.
Tra il 2005 e oggi Fusaro ha pubblicato più di dieci monografie. La maggior parte sembrano libri composti secondo le buone regole della scrittura filosofica universitaria e indicano una frequentazione approfondita delle fonti. Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario, per fare un esempio, svolge in maniera indubbiamente scorrevole il compito di difendere la sua tesi. Tesi piuttosto contestabile, va detto, che ancora una volta è esattamente la stessa di Preve: secondo Preve-Fusaro, della tradizione marxista si deve lasciar perdere l’elaborazione economica e invece concentrarsi sul lascito puramente filosofico. L’economia è, in generale, la bestia nera di Fusaro, che diffida da ogni confronto con la realtà empirica poiché potrebbe scoraggiare l’ottimismo della volontà.
È un libro che parla molto di alienazione, di feticismo, di sfruttamento, e assolutamente mai di composizione organica del capitale, di caduta tendenziale del saggio di profitto o semplicemente di teoria delle crisi. Il Marx di Fusaro sta qui semplicemente per dirci che il capitalismo è una cosa ingiusta, da abbattere a ogni costo, e non ci dice nulla sugli elementi che condannano il sistema a una perenne instabilità. Questo Marx è un Dickens che parla come un hegeliano. Appiattendo il pensiero di Marx sull’idealismo tedesco, Fusaro può facilmente liberarsi di tutto ciò che nel pensatore di Treviri appartiene alla tradizione del marxismo novecentesco e tornare alla fonte di un socialismo pre-scientifico, pronto per convergere con nazionalismo e comunitarismo. E d’altra parte, questo suo lavoro sull’attualità del pensiero di Marx — fermo circa ad Althusser — astrae totalmente dai più recenti dibattiti.
Vizi di forma esclusi, affinità elettive con i neofascisti a parte, c’è ancora chi sostiene che Fusaro porti avanti una critica necessaria del pensiero dominante del nostro tempo. In realtà, Diego Fusaro deve la sua fortuna alla capacità che ha avuto di occupare di forza un certo territorio ideologico, quello della critica del Sessantotto inteso come momento culminante del capitalismo — una critica popolarizzata da Michel Houellebecq con vent’anni di anticipo e molta più finezza, ripresa con originalità da Jean-Claude Michéa nei primi anni Duemila, ma in fondo già evidente a marxisti come Michel Clouscard e liberali conservatori come Raymond Aron che vivevano “in diretta” il maggio francese e ne coglievano con lucidità le contraddizioni.
Il pubblico di Fusaro è fatto di chi, non avendo avuto modo di sentire altrove certe idee, si convince che queste siano originali e controcorrente. Si convince quindi che esista una dittatura del “pensiero unico” semplicemente perché si abbevera egli stesso alle fonti della cultura dominante e non riesce a concepire che magari è la sua concezione di destra e di sinistra ad essere caricaturale. Ogni volta che legge un trafiletto su Judith Butler e la teoria del gender, marginalissima moda intellettuale non più rilevante del balconing, invece di farsi una bella risata lo prende come indizio di un progetto mondialista che minaccia direttamente il suo uccello. Questa non è critica dell’ideologia, e nemmeno dialettica conservatrice: è retorica populista, buona solo per arringare le folle.
Non avevamo certo bisogno di Fusaro per aprirci gli occhi sulle contraddizioni della sinistra e del capitalismo, eppure eccolo qui. Qualcuno lo applaude per avere scoperto l’acqua calda e lui la butta giù a secchiate su facili capri espiatori, nella più nobile tradizione di un “socialismo degli imbecilli” (cit. August Bebel) incapace di vedere all’opera le forze dell’economia dietro i comportamenti degli individui. Nel frattempo, la stampa, l’editoria e l’accademia continuano a fare come se fosse tutto normalissimo: d’altra parte questo ragazzo va in televisione, non lasciamocelo scappare! Altrimenti chi se lo compra un libro su Gramsci?
* Fonte: Minima Moralia
* Fonte: Minima Moralia
11 commenti:
"Questo Marx è un Dickens che parla come un hegeliano"
Grande R.A. Ventura, applausi a scena aperta.
Io è da mo' che lo dicevo che Fusaro è un peerlah; resta il fatto che a sinistra ci serve come il pane un intellettuale di riferimento e non riusciamo proprio a trovarlo un po' perché ce ne sono pochi e un po' perché i pochi non vogliono esporsi per il timore di pregiudicare la loro carriera accademica.
Molto poco eroico, bisogna dire.
Articolo lucido e ben documentato che chiude definitivamente i conti con le banalità teoriche di Fusaro.
Sarò forse in errore ma mi sembra che il saggio antifusaro sia un esempio istruttivo di gelosia professionale.
Fusaro ha avuto la colpa di sostenere la teoria di Preve sulla questione se si possa ancora accettare una classificazione delle ideologie secondo le categorie di destra e di sinistra.
Non molti si rassegnano all'idea che le vecchie diatribe non abbiano più molto senso perché litigare fra persone con schemi dialettici collaudati da quasi un secolo era piuttosto comodo. Un po' come adesso ci si dividesse ancora in Guelfi e Ghibellini.
Come sparare sulla croce rossa, ma parecchio gustoso.
Il punto è che o l'articolo di Ventura è davvero un attacco alla persona di Fusaro, ed allora direi che la questione è per me senza alcuna importanza, o è invece un attacco a una intera corrente di pensiero che tende a mettere in crisi la dicotomia destra/sinistra che ha dominato per tanta parte della storia soprattutto occidentale, ed allora mi pare un mezzo improprio se non francamente poco corretto perchè, volendo assumere una dimensione ironica, non si cura di argomentare quanto afferma.
Il caro Ventura, così come del resto lo stesso Crozza e tutti coloro che si ritengono satirici, dovrebbero decidere se vogliono fare i satirici o i politici. Non si può pretendere di fare satira sostenendo in maniera esplicita una propria tesi politica, questo non è accettabile.
La solita critica di quelli che cercano di essere piú puri e piú di sinistra di tutti, rosicando di chi ha piú seguito e pubblico di loro. Poi si lamentano se vengono chiamati Marxisti dell'Illinois
Il caro Ventura, così come del resto lo stesso Crozza e tutti coloro che si ritengono satirici, dovrebbero decidere se vogliono fare i satirici o i politici. Non si può pretendere di fare satira sostenendo in maniera esplicita una propria tesi politica, questo non è accettabile.
E questa è la classica definizione di satira all'italiana (diventata alla berlusconiana dopo il 2001) che non ha precedenti nella storia se non negli ambienti del potere attaccato dalla stessa.
La satira essendo un punto di vista non può essere imparziale.
E' come pretendere che il satiro (che fin dai tempi di Aristofane è l'attore teatrale più “libero”)venga istituzionalizzato come il presidente della repubblica.......decisamente ridicolo!
Quanto a Fusaro credo che al netto di tutte le sue apparizioni e decisioni politiche abbia fatto più danni che altro senza contare la ripetitività ossessiva della sua scrittura che grazie a questo articolo mi è tornata in mente e mi ha fatto fare delle grasse risate (chi ha in casa Karl Marx e la schiavitù salariata provi ad andarselo a rileggere).
Ce ne fossero come Fusaro.... Fatevi un esame di coscienza, inutili invidiosi...
Secondo me l'essere nazional popolare di Fusaro e' Una strategia di Marketing. Il suo discutere Su ampi scenari socio-politico e' un retaggio del marxismo anni '70- '80, che poi ci si dimentichi della spazzatura o delle periferie e del territorio e' un altri paio di maniche
Il vero problema di Fusaro è che quando parla di filosofia vuol fare il politico, ma quando parla di politica fa il filosofo.
Saranno idee superate, già affrontate e discusse nel passato.
Rimane il fatto che non tutti hanno la possibilità di approfondire gli aspetti filosofici di uno scontro di classe visibile.
Tralascia le questioni economiche? Ci sono altri studiosi che lo fanno per lui.
La teoria della comunicazione afferma che non è tanto e solo importante ciò che si dice, ma ciò che arriva all'altro o ricevente.
Fusaro ha il rilevante pregio di sapere come comunicare, a differenza di molti rinomati accademici, che si divertono a discutere tra di loro: come pesci in una bolla di vetro.
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