Giorgio Cremaschi |
di Giorgio Cremaschi*
Nei giorni 21 e 22 settembre scorsi si è svolto a Roma un seminario politico-teorico nazionale del Comitato No Debito (vedi resoconto). Di seguito l'intervento di Giorgio Cremaschi, che ha tentato di indicare un piano di sintesi e convergenza possibile tra le varie posizioni riguardo alle questioni dirimenti dell'analisi di fase, dell'Unione europea, dell'euro e quindi dei compiti del Comitato.
«Voglio porre due questioni e sottolineare tre o quattro punti, maturi per essere affrontati nella nostra discussione, prenderci il tempo necessario poi per riflettere e vedere se possono essere terreno di una conclusione comune. Vorrei ricordare, intanto, che noi abbiamo fatto la prima riunione il primo di Ottobre [del 2011, Ndr], per cui è poco meno di un anno che siamo in attività, e voglio ricordare anche che quando abbiamo iniziato il lavoro del NO DEBITO c’era ancora Berlusconi. (…)
Avevamo fatto un appello “Dobbiamo fermarli” la cui intuizione era il fatto non solo che c’era in campo Berlusconi, dicevamo fin dall’inizio che guardate che i nostri avversari sono due: Berlusconi e l’Europa delle banche, quelle che stavano assaltando la Grecia. Europa delle banche: lo so anch’io che non è ovviamente solo delle banche —mi riferisco ai compagni che [criticandoci, Ndr] mettono i puntini sulle “i”.
Lo so anch’io che c’è il capitalismo, di cui le banche sono una parte e che viviamo in un sistema capitalista. Lo sappiamo bene: siamo in un sistema capitalista. (…)
Ora, noi siamo partiti da questo. Penso, anche rispetto a molte cose che sono state dette qui, che se vogliamo arrivare ad una mediazione ci vuole una consapevolezza di merito.
Lotte di resistenza e loro limiti
Ho ascoltato molti interventi e devo dire che nella maggior parte di questi ci sono delle verità importanti, ma mi pare che per nessuna tesi fin qui ascoltata si possa dire è la Verità. Onestamente, nessuna delle tesi che ho sentito qui argomentare, presa completamente, possa dirsi è giusta, almeno non la sento così. Sento che ci sono degli elementi buoni. Sento che se vogliamo andare avanti dobbiamo trovare una sintesi, non come mediazione politica, ma perché ci deve essere la consapevolezza che le varie tesi sono insufficienti. Una mediazione politica di linguaggio durerebbe pochissimo.
Visto che ho usato la parola insufficiente, voglio sottolineare due punti, che secondo me devono essere alla base della nostra riflessione. Primo: le lotte ovviamente ci sono, sempre, ovunque, ci sono anche in Italia, e in Italia sono particolarmente disperse, frantumate rispetto ad altri paesi, perché non c’è una forza, anche tradizionale. I grandi sindacati non fanno questo lavoro di unificazione delle forze, e non dimentichiamo che dove c’è unificazione delle lotte ad un livello superiore al nostro, Spagna e Grecia, lì ci sono i grandi sindacati tradizionali, quelli che noi chiamiamo moderati, concertativi, e, tra l’altro, una sinistra organizzata più forte di quella che c’è in Italia. Tutto questo da forza politica, in Italia tutto questo non c’è.
Dico subito, io non credo alla tesi che oggi le lotte siano in grado di produrre politica oltre la loro medesima dimensione. Non è vero. Se prendiamo i compagni dell’Alcoa e gli diciamo “mettetevi alla testa di un movimento di unificazione delle lotte”, ci guardano come matti, non sanno neanche che cosa significa questo ragionamento. Parlo anche alle lotte più avanzate che ci sono in Italia, quelle che hanno prodotto più consapevolezza politica, cioè la lotta della Valle Susa. [Essa] ha prodotto più maturazione politica, perché è la lotta di una Valle, [anche grazie] alle sue tradizioni resistenziali, una lotta che si è progressivamente spostata su posizioni anticapitaliste, anti partito degli affari, radicali si sinistra; ma non si può dire: “seguite la Valle Susa, la Valle Susa unifica le lotte”. Certo, può fare un passaggio, può farlo, le lotte sono indispensabili, ma voglio dirlo con chiarezza, se io pensassi che le lotte hanno una forza auto sufficiente per unificarsi, io non sarei qua, lo dico sinceramente, perché sarebbero altre le sedi in cui lavorare.
I nostri limiti
Secondo, voglio parlare di un’altra insufficienza. Le compagne e i compagni che sono qui svolgono la loro militanza anche in altre organizzazioni, sindacali, politiche, social-cuturali. Tutti noi che siamo qui, abbiamo una doppia militanza (o tripla in alcuni casi), voglio dire che noi che abbiamo costruito il Comitato No Debito, che dobbiamo avere la consapevolezza che nessuna delle organizzazioni, che sono qui presenti o a cui partecipiamo, hanno la forza per darla loro questa politicità operaia. Noi non siamo un comitato centrale di forze vincenti, è chiaro? Siamo una organizzazione che nasce dalla consapevolezza che gran parte delle forze che sono qui sono in difficoltà, in crisi, che non ce la fanno, che non sono autosufficienti, cioè non sono in grado di dire “la mia organizzazione può essere il perno di un processo” [di aggregazione e direzione delle lotte]. Chi non capisce questo non capisce le ragioni per cui siamo qua. Pensare [che siamo] un grande Fronte di forze vincenti vuol dire essere un po’ fuori dalla realtà.
Forse possono farcela
Terza questione. Io credo che noi dobbiamo aggiornare l’analisi della realtà. La voglio dire nel modo più brutale possibile. Io un anno fa ero molto più ottimista sulle fragilità del quadro europeo, di domino europeo. Penso, per usare un’analisi classica, che noi oggi siamo di fronte ad un rischio evidente di stabilizzazione moderata, non reazionaria, in Europa e in Italia. Per dirla brutalmente: Monti, la Merkel, l’Europa, ecc., possono vincere, possono farcela. Possono, per un bel periodo, risolvere la crisi. Erano più destabilizzati un anno fa. Qui si è schiantata la strumentalità e l’ingenuità di [certi] movimenti, quelli alla Casarini per capirci, quelli alla “noi non paghiamo i costi della crisi”. Era un’insufficienza culturale totale.
(…) Io difendo la parola d’ordine “No Debito”, non è uguale, come l’abbiamo posta noi e come invece viene posta da un certo movimentismo mediatico (che non è un movimento sociale nel senso della mobilitazione sociale), e che dice semplicemente “noi non vogliamo pagare i costi della crisi”. (…) Da quando si è detto “non vogliamo pagare i costi della crisi”, li stiamo invece pagando tutti, tutti, nessuno escluso.
Quindi, senza un’analisi non retorica della gravità della situazione, e dei nostri terribili arretramenti e delle terribili sconfitte che abbiamo subito in questi ultimi due o tre anni, tutti, dalla Fiom, alla Cgil, al sindacalismo di base, ognuno le sue. Senza partire da questa analisi non c’è possibilità di tenuta.
Continuando a dirci che c’è un grande movimento di lotta, lì, pronto a essere raccolto da un’avanguardia ben preparata, andiamo a finire nel nulla, questo è, secondo me, il punto di partenza di qualsiasi analisi. (…)
Oltre i 5 punti
Io non nascondo che noi, quando siamo partiti, abbiamo incontrato anche una domanda politica pura e semplice: fare in Italia qualcosa come Syriza, quindi uno schieramento politico. Abbiamo incontrato quella domanda li, e quelle domande li, [chiedono] consapevolezze e programmi. Noi abbiamo fatto una manifestazione il 31 Marzo e poi ci siamo sostanzialmente fermati. (…) Noi ci qualifichiamo se siamo in grado di approfondire il No Debito, perché è evidente che dobbiamo fare uno sforzo, da un lato, certo, di iniziativa, ma dall’altro di chiarimento del programma.
I cinque punti [1] che noi abbiamo posto a fondamento della nostra iniziativa, sono complessivamente ancora validi, ma vanno verificati con questa situazione, cioè con il fatto che noi non siamo più governati da Berlusconi, e dall’Europa da lontano, ma dal fatto che siamo direttamente governati dall’Europa.
La discussione fra di noi è ruotata intorno alla questione dell’euro. Io, dico subito, che l’euro è stata una colossale fregatura ai danni dei lavoratori, che chi ha fatto l’euro andrebbe processato in Italia. Penso però che, proprio perché l’idea che si parte da una moneta per costruire una società è quanto di più brutale capitalista si può fare, noi non possiamo fare l’errore opposto, cioè partire dalla distruzione della moneta.
Per esempio la mia amica Loretta Napoleoni, prima di tutto dice Fuori dall’euro, ho capito, ma io non discuto neanche dell’attuabilità di questa cosa, perché tutte le cose che noi facciamo sono difficili, non mi metto a dire la mia è più facile da ottenere, non siamo come Sbilanciamoci, che suggerisce programmi bellissimi di cambiamento sociale come se fossero al governo. Dopo di ché, domanda è: chi le fa queste cose? Con quali forze e con quali processi? Tutto questo viene saltato.
L'uscita dall'euro è un punto d'arrivo
Noi non siamo così, noi cerchiamo di fare un intervento di tipo politico, quindi diciamo delle cose difficili da dirigere, ma avendo l’idea di un progetto. Qual è il difetto di chi parte dall’euro, dalla rottura dell’euro? Il difetto di chi parte dalla rottura dell’euro, secondo me, è che parte dalla moneta, esattamente come le posizioni che vogliamo combattere, cioè non dice che cosa facciamo nel momento in cui usciamo dall’euro.
Nella storia italiana noi abbiamo avuto un momento in cui l’Italia è uscita dal serpente monetario, nel 1992, allora l’Italia, conquistò, per un breve periodo più flessibilità della moneta, il risultato fu l’accordo del 31 luglio del ’92. [Come andarono le cose?, Ndr] Amato chiamò Trentin e quelli che c’erano allora negli altri sindacati, li convocò tutti e disse loro: Signori, io esco dalla moneta unica (di allora), dai cambi fissi (la moneta unica è questo, i cambi fissi), flessibilizzo la moneta per esportare, voi mi dovete fare un patto sociale che mi garantisce che gli operai lavorano e basta. Questa è la sostanza. Venne fatta una pressione drammatica: si fa così altrimenti c’è il crollo. Quindi, l’uscita dall’euro non ci garantisce da questo, se diventa il punto di partenza.
La rottura della moneta, cioè del sistema costruito è il punto di arrivo, non è il punto di partenza. E qual è il punto di partenza? (….)
L’Unione europea non è riformabile
Non sono d’accordo invece con un certo europeismo di sinistra che ci racconta la favola [del movimento operaio europeo che sincronicamente costruirà l’altra Europa, Ndr]. Sarebbe bello che ci fosse ma è una favola paralizzante. Noi siamo qui [in Italia, Ndr], dobbiamo rompere la catena dove siamo, l’anello che abbiamo davanti: se ci riusciamo bene, se non ci riusciamo vedremo se un giorno la romperemo tutti assieme. Perché se no non si rompe. Ma questa è una vecchia discussione. Nella prima Internazionale Marx polemizzò con gli anarchici sul punto in cui gli anarchici proponevano che ci voleva una cassa di resistenza mondiale. Proponevano uno sciopero generale mondiale finanziato da una cassa mondiale e Marx rispose che se avessero avuto le forze per fare una cassa di resistenza mondiale che finanziava tutto ciò non ci sarebbe bisogno di uno sciopero mondiale perché sarebbero stati già sufficientemente forti per fare il socialismo.
Quindi io credo che questa dimensione europeista che c’è anche nella sinistra sia in qualche modo fatta di ottime intenzioni ma sia sostanzialmente autoconsolotario, un prodotto della sconfitta e non un segno di ripresa. Noi dobbiamo ragionare con un altro obiettivo: la rottura. Noi lavoriamo per una rottura. Io penso che l’Europa non è riformabile. Non è che se sopra ci metti un parlamento che abbia più potere, diventa un’altra cosa, anzi diventerebbe perfino peggio se, come propongono alcuni, avrai un presidente eletto da tutti i cittadini.
Questa costruzione europea è oramai una costruzione tecno-liberista, tecnocratica liberista, fondata, lo ha detto con chiarezza Monti, sul fatto che non ci sono più gli spazi per i Parlamenti. L’ha detto Monti che non ci sono più i Parlamenti perché c’è quello che le società economico-finanziarie nella borsa chiamano le “partecipazioni incrociate” [tra società per azioni, Ndr]. Dati azionisti dell’azienda A risultano anche proprietari dell’azienda B, e alcuni dell’azienda B è proprietari dell’azienda A, così che i due consigli di amministrazione in realtà si controllano l’uno con l’altro, e quindi sono in grado [di fregare il grosso degli azionisti, Ndr].
Ecco l’Europa è una partecipazione incrociata perché la grande borghesia italiana o i suoi rappresentanti, i suoi intellettuali di riferimento cui Monti è un principale, nel consesso europeo [sono in sodalizio con le oligarchie, Ndr] e il potere democratico non esiste più. Non ha forse detto Monti che è a Bruxelles che si decidono gran parte delle decisioni italiane. E a Bruxelles decide l’insieme dei poteri forti che poi cercano e trovano il consenso. Quindi l’Europa che si è costruita non ha nessuna democrazia.
Io credo che questo,contro tutte le fanfaluche europeiste, noi lo dobbiamo dire con assoluta chiarezza, e di questo fare un punto di distinzione tra noi e il resto della sinistra che continua ancora ad illudersi sulla possibilità di una riformabilità democratica dell’Europa. Questa Europa non è riformabile, bisogna metterci politicamente, e sottolineo politicamente, una bomba ad orologeria sotto e farla saltare. Non c’è altra strada, la democrazia comincia dopo che è saltato questo meccanismo. Questo è un punto costituente di noi.
L’idea della “costituente europea” governata dalla Merkel —questo lo dico perché se ne discuterà a Firenze [al 10+10, Ndr] è sbagliata. A quello che mi viene a dire oggi che vuole la costituente europea, gli rispondo che vuole la più grande tirannia della storia d’Europa. Altro che “costituente europea”! La costituente europea è costituente finanziaria europea. Quindi, per quel che mi riguarda non ho dubbi: questa Europa è un avversario, perché questa Europa è stata costruita, sono d’accordo con Franco Russo, prima in competizione con l’URSS, poi con una torsione liberista totale (…).
Loro si trincerano dietro la moneta perché, non dimentichiamolo, la moneta, [in tasca, Ndr] ce l’hanno tutti. Quindi, se noi diciamo subito No euro, gli facciamo un favore, perché la moneta ce l’ha tutta la gente. Noi dobbiamo dire un’altra cosa, che non accettiamo il Memorandum, piuttosto che accettare il Memorandum, e se il prezzo del rifiuto del Memorandum è uscire dall’Euro, allora usciremo dall’Euro. Questo è il ribaltamento, ma si parte dal Memorandum, cioè dai vincoli di politica economico sociale, e quindi non accettiamo il ricatto della moneta, così come a Pomigliano non abbiamo accettato il ricatto del padrone. Il ricatto non si accetta. Decidano loro.
Io non so se una volta respinto questo ricatto, se salterà la moneta unica , si creeranno 2 o 3 monete, se se ne crea una sola. Noi non accettiamo più il ricatto dell’euro, questo è il punto unificante. E perché noi non lo accettiamo? Perché, e qui ci ricongiungiamo alle condizioni materiali delle persone, perché senza mettere in discussione tutti i Trattati europei, noi non riconquisteremmo, non la “sovranità” (a me non piace questo termine è troppo ambiguo); non riconquistiamo una democrazia sociale, in cui il pubblico controlli il mercato. Questo è il passaggio di transizione, che non è il socialismo, lo so bene, è un passaggio, in direzione di una ripresa di controllo del pubblico e della democrazia nei confronti dei mercati, per i diritti, il lavoro, l’occupazione, ecc. (...)
Il debito
Il debito italiano è cominciato prima, prima dell’Europa, esattamente con la decisione presa dal padre della patria Ciampi, dopo che, è bene ricordarlo, il governatore precedente della Banca d’Italia, Baffi, che era un antiliberista, fu incriminato, fatto arrestato da un magistrato. Guarda caso la politica economica della Banca d’Italia di Baffi era esattamente quella che chiedevamo noi. Si stampa moneta, si svaluta e si manovra sulla moneta, la Banca d’Italia è pubblica ed ha una funzione pubblica, salva lo stato sociale. Ricordo che quando cominciò la vertenza Fiat, nel 1980, prima dell’inizio di questa vertenza, ci fu un’intervista ad Andreatta che riportava quello che chiese Umberto Agnelli: “Ci sono 2 strade, o si flessibilizza la moneta o noi licenziamo”. Andreatta, allora Ministro del Tesoro disse che No, non è più possibile agire e flessibilizzare sulla moneta o stampare moneta, le aziende licenzino pure.
Quindi il percorso è stato costruito dal capitalismo italiano prima dell’euro, si è arrivati all’euro per consolidarlo, da qui la stupidità di chi a sinistra ha sostenuto l’euro e non ha capito che sarebbe servito a consolidare una politica liberista che in tutti gli stati era cominciata prima. (…)
Le politiche economiche che si fanno oggi in Europa sono anche più brutali, dobbiamo dire anche questo, di quelle che si fanno negli Stati Uniti, perché negli Stati Uniti stampano moneta, in altri paesi fanno politiche anti recessive. Le politiche di austerità dell’Europa si fanno perché l’Europa è più avanti sul piano sociale, e le classi dirigenti europee, la borghesia imperialista europea, usano l’euro come strumento di dominio sul popolo, sulle classi sociali, [per sbarazzarsi di, Ndr] uno stato sociale che non c’è nel resto del mondo. (…)
Quindi è chiaro che se vuoi far tornare indietro la gente, devi avere un babau più grande, uno strumento più grande, i singoli governi nazionali non ce la farebbero, quindi l’euro è l’emblema della controrivoluzione sociale europea e serve a reggere le classi dirigenti europee che hanno costruito questa controrivoluzione sociale, cioè i Marchionne ecc, quella grande borghesia italiana ed europea che è ormai multinazionale. Certo, poi alcuni sono più filo tedeschi, alcuni filo americani…
Non c’è una terza via
Di questa analisi io credo dobbiamo provare ad appropriarci. Perché dico questo? Perché noi dovremmo appunto dire che il punto centrale non è il ritorno alla moneta nazionale, centrale il ritorno ad una Banca pubblica che stampi moneta e quindi non venda il debito alle banche richiedendo l’assicurazione. Perché questo è il passaggio, il debito pubblico italiano è cominciato con Craxi quando si è separata la Banca d’Italia dal Tesoro e quindi la Banca è stata privatizzata. Quindi, per me, prima del ritorno della moneta, c’è la nazionalizzazione delle banche, della Banca d’Italia e delle altre banche. (…)
[Ci vuole l’intervento pubblico, Ndr] perché le crisi che ci sono in Italia, le crisi industriali non sono risolvibili dalle multinazionali, non lo è l’Alcoa, non lo è l’ILVA, non lo è la Fiat. (…) Noi dobbiamo respingere tutto questo fru fru che c’è, sulla cosiddetta terza via tra pubblico e privato. Qual è la terza via? O c’è il pubblico o c’è il privato, non c’è una terza via.
Su questo io sono per ricostruire un pensiero rigoroso, sono per definire alcuni punti, con al centro la rottura di questa Europa, non perché vogliamo una nostra moneta, ma perché vogliamo riconquistare una politica sociale, una politica di controllo pubblico sull’economia Lo stato sociale non si salva con questa Europa, quindi siamo per far saltare quel meccanismo.
Se dovessimo riuscirci, poi discuteremo su quali sono le misure, se è meglio fare l’alleanza con i paesi Piigs, oppure altre cose. So anch’io che da un punto di vista tecnico la cosa migliore sarebbe che fosse la Germania ad uscire dall’euro, non c’è dubbio, ma non sono mica scemi. Se domani escono dall’euro il marco va a 3 mila lire, e con il marco a 3 mila lire la Wolksvagen non le vende le macchine, quindi a loro interessa il marco a 2 mila lire —perché questo è il rapporto vero, perché il l’euro [che abbiamo in tasca noi italiani, Ndr], come sappiamo tutti [dal potere d’acquisto, Ndr] dei nostri stipendi, vale mille lire. L’euro-marco, invece, vale 3 mila lire, e sono forzatamente fissati, con l’euro, a 2 mila lire. E’ chiaro che ci guadagnano loro e ci perdiamo noi. Sul piano della produzione, quello che noi guadagnavamo sul potere d’acquisto lo abbiamo perso nel giro di 10 anni, è per questo che la crisi è ripartita.
Quindi, tutti questi ragionamenti dobbiamo averli presenti, senza nessun tabu. E però, ripeto, dal punto di vista politico noi dobbiamo partire dalla contestazione non dell’euro ma dell’Europa, liberista, capitalista, e della classe dirigente che ha costruito questa Europa non riformabile.
Questa, secondo me, è la posizione che ha senso portare dentro il dibattito della sinistra italiana ed europea. Se siamo in grado di farlo facciamo una cosa importante perché questa posizione in Italia non c’è, lo dico anche in vista del convegno in preparazione a Firenze. Ieri c’è stato un dibattito sul Manifesto (capita ancora che ci sia qualcosa da leggere su il Manifesto), tra Habermas e Balibar. Habermas, che è un filosofo di sinistra e uno degli ispiratori della contestazione tedesca, sta scrivendo il programma del partito socialdemocratico tedesco sulla parte riguardante democratizzazione dell’Europa. Habermas dice che l’Europa è una tecno struttura e bisogna immetterci una quantità enorme di democrazia. Balibar glielo contesta dicendo che non si può più iniettare la democrazia dentro questo sistema perché la tecnostruttura è andata troppo avanti, non è riformabile. Questa discussione in Italia non c’è, perché noi non abbiamo neanche questa posizione, cioè non c’è nemmno la posizione riformista di Habermas (il PD e Vendola non hanno la posizione di Habermas, sono molto più a destra). Noi dovremmo assumere la posizione di Balibar, cioè dire questa struttura non è riformabile tutti gli altri punti di programma derivano da questo, sono conseguenti.
Se siamo d’accordo su queste basi, io proporrei di uscire da questo seminario con un nostro documento politico. Poi faremo le iniziative, magari anche un incontro con gli economisti, costruiremo un programma. Sulle basi di questo programma, alla fine, giudicheremo anche le posizioni elettorali delle forze politiche».
* Trascrizione da registrazione audio a cura della Redazione
Note
[1] 1. Non pagare il debito, colpire la speculazione finanziaria, nazionalizzare le banche. 2. Drastico taglio alle spese militari e cessazione di ogni missione di guerra. 3. Giustizia e diritti per tutto il mondo del lavoro. 4. I beni comuni per un nuovo modello di sviluppo. 5. Una rivoluzione per la democrazia
7 commenti:
Anonimo Demetrio osserva:
"Il debito pubblico italiano è cominciato con Craxi quando si è separata la Banca d’Italia dal Tesoro e quindi la Banca è stata privatizzata. Quindi, per me, prima del ritorno della moneta, c’è la nazionalizzazione delle banche, della Banca d’Italia e delle altre banche." Questa frase, condivisibilissima, è l'essenza di tutto il discorso e indicherebbe la meta su cui impostare un programma di salvezza per l'Italia. Perciò uscire dall'Europa sarebbe indispensabile se non vogliamo finire nella "camera della morte della tonnara" in cui il Popolo sta affannosamente dibattendosi.Tuttavia molti sembrano anocora ignari (e qui sta il trmendo della situazione) di star nuotando disperatamente in avanti nei budelli inevadibili di una tonnara ben costruita.
I tempi sono più che maturi perché il popolo insorga.
Gli studenti hanno detto che questo è solo l'inizio. La gente che ha assistito al macello sociale di giovani inermi si è detta pronta a vendicarli. Il popolo è indignato oltre ogni limite. La miseria e la disperazione avanzano mentre il governo che ha commissariato l'Italia per fare gli interessi dei banchieri cerca di superare la crisi raccontando menzogne vergognose su tutti i fronti.
E' ora che "sollevazione popolare" si impegni seriamente perché la classe lavoratrice senza diritti e con un corrispettivo inadeguato, capovolga la situazione a suo favore.
Se non ora, quando?
Un piccolo appunto per Cremaschi. Si è vero che le politiche liberiste sono cominciate PRIMA dell' euro ma sono comunque iniziate DOPO l' adesione allo SME. Il divorzio tra banca d' Italia e Tesoro c'è stato nel 1981 e l' adesione allo SME nel 1979. Quindi è vero che quelle politiche sono state iniziate dall' "alta borghesia italiana", ma sono state iniziate nel momento in cui questa alta borghesia ha aderito al " percorso europeo" che appunto non inizia con l' euro ma molto prima. In questo senso è chiaro che il punto di arrivo è per forza andare fuori dall' euro. Perché se si critica questa politica liberista trentennale, che ha portato al mercato unico e alla moneta unica, luogo dove appunto vige l' ordinamento giuridico dell' ue ( che è irriformabile) è chiaro per costruire una " democrazia sociale" bisogna uscire da questo ordinamento: ovvero uscire dal mercato unico europeo, senza il quale poi l' euro non ha più motivo di esistere. E' la "sovranità" non è più ambigua se la si definisce come la sovranità di quella democrazia che si vuol costruire. Una democrazia alla cui base si possono mettere i valori della Costituzione delle Repubblica Italiana, valori che sono OPPOSTI a quelli dei trattati europei.
quasi 13 anni fa, quando l'euro divenne operativo, 1 euro valeva 1,95583 marchi tedeschi e 1936,27 lire italiane.
Quindi 1 marco valeva 990 lire, praticamente 1.000 lire.
Per praticità, introducendo il concetto di lira pesante, caro a Craxi, ottenuto togliendo tre zeri, i costruttori dell'euro stabilirono la sostanziale parità tra marco e lira.
Se in 13 anni questo rapporto di 1 a 1 si è trasformato in un 3 a 1 sostanziale e in un 2 a 1 "nominale" (qui Cremaschi è un po' confuso), come dice Cremaschi vuol dire che si parla di un differenziale d'inflazione del 300% sostanziale ( e/o 200% "nominale") che viene negato dalla moneta unica, a tutto vantaggio della "competitività" tedesca. E' una truffa di inaudita gravità tra due paesi ai quali è stato "liberamente" imposto un regime di "concorrenza perfetta" sotto le mentite spoglie di un unione collaborativa.
Se aggiungiamo che si tratta degli stessi due paesi che hanno perso la guerra contro gli anglo-americani ne esce un disegno diabolico di divisione eterodiretta, altro che unione europea!
Se crolla da solo l'impero americano la conseguenza potrebbe non essere "la balcanizzazione in poche settimane" di ciò che resta dei frammenti d'Europa, ma qualcosa di meglio, di più consono ai livelli di maturità tecnologica e civile raggiunti nel vecchio continente.
Condizione necessaria per una nostra evoluzione positiva di questo cataclisma geopolitico globale è che i tedeschi aprano gli occhi per uscire dalla sindrome di IV Reich.
Comunque, complessivamente, grande Cremaschi!
Alberto Conti
http://francescosalistrari.blogspot.it/2012/10/la-necessita-di-cambiare.html
In vista degli impegni e del lavoro di aggregazione che svolgeremo pur nelle mille difficoltà, vi proponiamo questo scritto come spunto di discussione e dialogo ulteriori. Francesco Salistrari, Movimento Articolo 1 (Cosenza)
credo che Cremaschi sbaglia ad immagginare che la fuoriuscita dall'Euro sia un punto di arrivo anzichè di partenza.
Faremo la fine della Comune di Parigi che fù sconfitta perchè a nessuno venne in mente di prendere l'Oro e il denaro dalla banca di Fancia per finanziare la rivoluzione.Avere la proprietà della moneta subito consentirebbe di finanziare da subito la ripresa economica e dirigerla verso un diverso modello economico.
ferraioli domenico
Pienamente d'accordo con Ulisse o Domenico!
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