Lukashenko con Chavez |
Riceviamo e pubblichiamo
di Fosco Giannini* e Mauro Gemma**
La nota stima del Cavaliere per il Presidente bielorusso, ("gode più popolarità di me"), spinge gli ammorbati dalla sindrome acuta di antiberlusconismo, a detestare Lukashenko, percepito come un "populista e un tiranno" berlusconide. In effetti certi atteggiamenti del presidente bielorusso, al limite del burlesque, non sono fatti apposta a suscitare simpatia tra le persone intelligenti. Tuttavia, siccome abbiamo la presunzione di annoverarci tra questi ultimi, usiamo il cervello. Così non possiamo non vedere le reali ragioni per cui l'Occidente spera di rovesciarlo e mettere al suo posto un proprio fantoccio.
Lettera al quotidiano Liberazione
«Caro direttore, cari compagni/e, cari lettori e lettrici,
in questo articolo vi è un punto di vista diverso da quello espresso giorni fa da Liberazione, ma siamo convinti che tale punto di vista sarà sopportato, ai fini del dibattito, dal nostro quotidiano.
Il punto è questo: lo scorso 21 dicembre, su Liberazione, abbiamo letto con stupore un articolo di Massimo Alviti sulle elezioni presidenziali in Bielorussia, articolo che riprende, senza porsi il minimo dubbio, la versione fornita dall’apparato mediatico dominante e riassume tutti i luoghi comuni di quella propaganda che si propone di demonizzare la figura dell'attuale capo dello Stato bielorusso, Aleksandr Lukashenko. E' un articolo che abbiamo trovato non rispondente in nulla alla realtà dei fatti e qualche parola va spesa allora su quella che, senza esagerazione, può essere definita una resistenza antimperialista avviata dal leader bielorusso.
Lukashenko con Castro |
Chi è, dunque, Lukashenko, considerato dal potere economico e militare nordamericano come uno dei più fastidiosi ostacoli ai processi di mondializzazione e normalizzazione capitalistica; definito da Bush come l’ “ultimo dittatore d’Europa” e misurato a volte con gli stessi metri delle più reazionarie e guerrafondaie aree imperialiste USA anche da settori della “sinistra alternativa” ?
Lukashenko, innanzitutto, fu uno dei pochi, coraggiosi, parlamentari del Soviet a pronunciarsi, nel dicembre 1991, contro la dissoluzione dell’URSS, divenendo poi popolarissimo per il rigore nella lotta contro la corruzione che dilagò nel nuovo regime post sovietico. Ciò gli permise di sbaragliare, nelle elezioni presidenziali del 1994, nelle quali ottenne l’81,7% dei voti, il suo avversario, il primo ministro Viaceslau Kiebic, nazionalista e fautore di un rapido avvicinamento alla NATO.
Il nuovo presidente indicò sin da allora quello che sarebbe stato il proprio obiettivo strategico, perseguito poi con coerenza e ribadito nella sua ultima conferenza stampa: la ricomposizione dell’unità politica ed economica almeno delle repubbliche europee dell’ex Unione Sovietica, fino alla creazione di uno Stato unitario delle repubbliche dell’ex URSS, a cominciare dalla Russia.
Lukashenko, che ha collocato il proprio Paese, con un ruolo da protagonista, all’interno del grande movimento dei non allineati, sviluppando rapporti privilegiati con paesi come Cuba e il Venezuela, non si è limitato a pronunciarsi apertamente contro il processo di allargamento della NATO ad Est, ma ha denunciato con grande forza e risonanza internazionale il carattere aggressivo di tale alleanza, i suoi tentativi di prevaricare la volontà dei popoli e degli stati che non intendono assoggettarsi al nuovo ordine mondiale e l’intenzione, non mascherata, di attentare all’integrità territoriale non solo della Bielorussia, ma della stessa Federazione Russa.
Nel 1995 e 1996, un vero e proprio plebiscito ha ratificato alcuni quesiti referendari da Lukashenko proposti, nei quali venivano fissati i capisaldi programmatici della nuova amministrazione.
Lukashenko tra Ahamadinejad e Khamenei |
L’80% dei bielorussi si pronunciava allora positivamente sulle richieste di unione economica con la Russia e di ripristino dei simboli sovietici e rivoluzionari.
Il presidente bielorusso, nonostante i ripetuti tentativi, (scientemente ed ostinatamente organizzati,) di precostituire scenari simili a quelli che hanno caratterizzato il successo delle “rivoluzioni colorate” in altre repubbliche ex sovietiche, attraverso violenti disordini provocati da gruppi di destra lautamente finanziati anche dalle istituzioni governative americane, è stato ripetutamente rieletto alla presidenza della Repubblica, a furor di popolo, in consultazioni di cui solo la malafede dei suoi denigratori ha potuto contestare la legittimità.
I disordini successivi all'ultima consultazione elettorale, provocati da poche centinaia di persone che inalberavano anche le bandiere dei gruppi fascisti bielorussi che collaborarono con l'aggressione hitleriana, hanno seguito lo stesso copione e ci dispiace che il compagno Alviti non se ne sia accorto- spingendosi anche oltre il quadro fornito dalle agenzie - con le sue critiche all'Occidente (che nei confronti della Bielorussia attua una politica di vero e proprio “cordone sanitario”), reo – per Alviti – di avere avanzato nei confronti di Lukashenko solo critiche e richieste “timide e formali”. Ma cosa si augura Alviti: che carri armati con la benzina americana avanzino su Minsk?
Occorre informarsi delle vere ragioni di questa ostilità imperialista verso la Bielorussia. Ragioni che risiedono nella determinazione con cui Lukashenko ha rifiutato di genuflettersi ai diktat che gli sono giunti quotidianamente dall'Occidente. Unico tra i leader dell'Europa Orientale emersa dalla fine del “socialismo reale”, sin dall’inizio del suo mandato, Lukashenko si è imposto di mantenere sotto il controllo dello Stato le risorse strategiche ereditate dall’URSS, cercando allo stesso tempo di rilanciare e rafforzare gli storici legami con il mercato dei paesi eredi dell’Unione Sovietica, tradizionale sbocco delle produzioni bielorusse.
Tale politica, che gode dell'appoggio del Partito Comunista di Bielorussia (KPB), che partecipa all’amministrazione del Paese con una propria rappresentanza parlamentare, ha permesso di contenere i costi sociali derivanti dal crollo economico successivo alle ricette di liberalizzazione e privatizzazione applicate nel resto dello spazio post-sovietico, e in particolare nelle vicine Russia e Ucraina.
Dulcis in fundo: con «l'amico» Berlusconi |
La posizione dei comunisti bielorussi è stata illustrata in una dichiarazione rilasciata, prima delle ultime elezioni, alle agenzie di stampa da Igor Karpenko, dirigente del KPB.
Ha affermato Karpenko che il partito comunista ha assunto la decisione di appoggiare Lukashenko partendo dalla convinzione che, con la sua presidenza, la Bielorussia è stata in grado “di far fronte alla crisi economica, garantendo uno sviluppo sostenibile e moderno del Paese, di rafforzare la sua capacità di difesa, di mantenere legalità e unità del Paese e, soprattutto, di evitare la disparità nella distribuzione del reddito”.
L'esponente comunista, mettendo in guardia dal tentativo di alcune forze liberali e ultra-nazionaliste di “gettare il Paese nella tempesta”, ha invitato tutti i bielorussi ad appoggiare Lukashenko e la sua politica “indirizzata al rafforzamento del modello di sviluppo sociale ed economico bielorusso, che ha permesso il miglioramento del livello di vita della popolazione”. “Le posizioni del Partito Comunista di Belarus sono simili a quelle dell'attuale governo, sia per quanto riguarda la politica interna che quella internazionale, che mira a proteggere gli interessi dell'assoluta maggioranza del nostro popolo”, ha aggiunto Karpenko.
Del resto, se solo si avesse la volontà di approfondire l'argomento, si noterebbe che anche diversi degli osservatori più ostili all’esperienza bielorussa sono costretti a riconoscere che la Bielorussia non ha mai conosciuto gli stessi livelli di degradazione dei servizi sociali, sanitari, educativi, di previdenza raggiunti nei paesi emersi dalla scomparsa dell’URSS e del “sistema socialista” dei paesi dell’Europa dell’Est.
Ed è’ sicuramente un dato di fatto che della devastazione prodotta dal modello adottato dai paesi ex sovietici vicini ed anche dei drammatici costi sociali dell’esperimento attuato, è cosciente la grande maggioranza della popolazione bielorussa, in misura ben più rilevante di quanto si sia indotti a credere in Europa occidentale. E questa è la base materiale sulla quale può poggiare la politica non subordinata agli Usa del governo di Minsk; è la base per far fronte alla massiccia pressione propagandistica che viene esercitata dall’Occidente, pressione respinta nonostante i milioni di dollari che vengono “donati” alle forze di opposizione».
* Direzione nazionale PRC
** Segreteria provinciale PRC Torino
Fonte: L'Ernesto
2 commenti:
Forse sarebbe stato il caso di dire che esiste anche un altro partito Comunista che si oppone a Lukaschenko, e che in ogni caso i comunisti oggi in Bielorussia contano meno del due di picche. Non sono ostile a Lukaschenko. Però non ci si può nascondere che in Bielorussia né c'è il socialismo, né Lukaschenko vuole instaurarlo. Lukaschenko è un autocrate che propone un percorso lento e manovrato verso il capitalismo. Ha sostegno nelle campagne, tra i vecchi, ma nelle città e tra i giovani è cordialmente detestato. (Il che non vuol dire ovviamente che abbia torto. Però indica che la Bielorussia di Lukaschenko 'galleggia', sopravvive a se stessa in assenza di alternative credibili, ma non indica alcuna prospettiva di avanzamento, come per esempio fa il Venezuela di Chavez). Dunque è giusto dare un giudizio articolato di Lukaschenko, ma senza farne un eroe o un nuovo Lenin che certo non è. A proposito, si è convertito da anni dall'ateismo alla religione e sugli autobus pubblici ci sono dappertutto immagini della madonna in occasione di feste religiose, che pena che pietà...
ad Anonimo:
a me francamente del "socialismo" non mi importa niente, non so neanche che cos' è. Infatti, posso riconoscere un rubino falso da uno vero perchè quello vero esiste e ha delle caratteristiche speciali che lo distinguono, ma il "socialismo" non esiste sulla faccia della terra,quindi che senso ha andare a sindacare se un certo paese (il Belarus, piuttosto che la Cina, il Vietnam, Cuba, l'Iran,il Venezuela, l'Eritrea ecc.) è "socialista"? In realtà il "socialismo" è ormai soltanto una droga europea, o, se vogliamo, una foglia di fico funzionale all'Imperialismo. Fuori dall'Europa non ha mai attecchito (come ideologia), mentre ci sono popoli e nazioni che finalmente vogliono affrancarsi dall'Imperialismo e per questo devono pensare a svilupparsi, senza sottostare ai diktat del Fondo Monetario, altro che pensare al "socialismo". Un nuovo ordine mondiale si profila all'orizzonte e noi, dal fondo della provincia europea, stiamo a soppesare con la bilancia del farmacista i microgrammi di "socialismo", i "diritti umani", la "laicità dello Stato", dando o togliendo patenti di guida a questo o a quello? che pena, che pietà...
Luciano
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