Ernesto Laclau e Chantal Mouffe |
Pubblichiamo la sesta parte del contributo teorico di Mauro Pasquinelli.
Inutile ricordare che pubblicare un contributo non significa che la redazione lo condivida. In questo caso la Redazione condivide nella sostanza la critica svolta al pensiero di Ernesto Laclau.
QUI la prima parte, QUI la seconda, QUI la terza, QUI la quarta, QUI la quinta.
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POPULISMI SENZA POPOLO(sesta e ultima parte)
di Pasquinelli Mauro
Ernesto Laclau e il populismo come significante vuoto
Ernest Laclau è stato forse il più grande teorico del populismo a sinistra, come Alain de Benoist lo è a destra. La riflessione di Laclau, trae spunto dai concetti espressi da Antonio Gramsci su egemonia e blocco sociale ma alla fine li declina in senso riformistico e democraticistico, depurandoli di ogni dialettica Schmithiana amico-nemico e di ogni approdo marxista-rivoluzionario.
Sulla visione dell’Argentino Laclau ha influito molto il fenomeno del peronismo, che nel 900 è assurto ad archetipo del populismo ideale, come il mussolinismo lo è stato del fascismo. Sappiamo che sul peronismo la sinistra argentina si divise drammaticamente tra due componenti contrapposte, una [di matrice trotskysta, NdR] che offrì il proprio sostegno al governo Peron, cogliendo in esso una anima antimperialista e l’altra, facente capo allo [staliniano, NdR] Partito comunista argentino, che l’ha sempre osteggiato, tratteggiandolo come fenomeno semi-fascista e bonapartista.
Per Laclau [ che iniziò la sua militanza politica con una delle diverse correnti trotskyste argentine, NdR], che esalta a più riprese l’autonomia del politico come il nostro Mario Tronti, non esiste la società senza il politico.
«Senza nodi egemonici —scrive Davide Tarizzo nella introduzione a La ragione populista —, il campo sociale semplicemente si dissolve, si disgrega, scompare: niente più pratiche sociali, niente più domande sociali, niente di niente a cui si possa affibbiare l’aggettivo di sociale. Ciò significa che noi viviamo pure oggi, consapevoli o meno che ne siamo, sotto l’ombrello protettivo di qualche formazione egemonica. Laclau ha chiamato questa formazione egemonica regime neoliberale….. Foucault l’ha battezzata biopolitica».
Facendo propria la critica gramsciana a certi esiti deterministici del pensiero marxista, e sottolineando l’inadeguatezza dei concetti originari del marxismo otto-novecentesco di proletariato e classe, Laclau scopre la centralità e positività del concetto di populismo, in quanto unico ambito in cui le classi povere possono disputare l’egemonia al regime neo-liberale.
Interpolando la sua riflessione con le tesi psicanalitiche di Lacan, per Laclau il populismo è innanzitutto un concetto neutro, un significante vuoto. Significante vuoto non significa tabula rasa, un fenomeno politico senza significato, ma una dimensione simbolica che grazie alla sua vuotezza è in grado di assorbire molteplici elementi che altrimenti avrebbero difficoltà a stare insieme, e che unificandoli vanno a formare una macro-identità collettiva chiamata popolo.
La domanda sociale può partire da un singolo gruppo (per esempio rivendicazione di più alloggi popolari, o di più lavoro, o di reddito di cittadinanza). Se essa viene accolta dal sistema la domanda trova una offerta e si estingue. Se non viene accolta si ha l’esclusione politica di quei soggetti, esclusione che attiva un processo di riconoscimento della condizione comune, un principio di creazione di identità collettiva.
Se la domanda, per quanto condivisa all’interno del gruppo, rimane isolata, per Laclau si tratta di semplice domanda sociale. Ma se ci sarà un accumulo di domande inevase e una forza politica capace di unificarle si avrà l’attivazione di una domanda popolare, e l’evoluzione verso una configurazione populista. E’ quella che Laclau chiama catena equivalenziale.
Popolo può essere visto sia come demos (corpo politico), sia come etnos (entità etnico nazionale religiosa), sia come plebe (massa di poveri e diseredati). Il popolo per Laclau assurge alla sua dimensione più elevata come demos. Il populismo in quanto forma suprema della costituzione del popolo come demos e quindi come soggetto storico, diventa l’atto politico per eccellenza. In questo senso la “ragione populista” equivale alla ragione politica, e il suo sprezzante rifiuto è un rifiuto del politico tout court.
Per me che vengo da una tradizione marxista di pensiero è abbastanza facile trovare i pregi e il vulnus della concezione Laclauiana.
Il pregio è nel perfezionamento della teoria gramsciana dell’egemonia. Il vulnus è averne provocato una torsione ancor più democraticistica, dopo che il togliattismo ne aveva già fatto la base del suo riformismo gradualista.
Il pregio è nel perfezionamento della teoria gramsciana dell’egemonia. Il vulnus è averne provocato una torsione ancor più democraticistica, dopo che il togliattismo ne aveva già fatto la base del suo riformismo gradualista.
Il Politico, la sovrastruttura in Laclau diventa l’elemento centrale e la struttura quello secondario. Sparisce dall’orizzonte politico ogni utopia della realizzazione della società senza classi e senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
La divisione sociale e l’antagonismo tra le classi non possono essere sradicati, ma solo attutiti. La democrazia rappresentativa diventa l’arena esclusiva dove le forze politiche si disputano l’egemonia, in una dimensione totalmente agonistica del politico, dove il nemico di classe viene riclassificato come avversario e il fine del politico populista, in una lotta di posizione che non è più guerra in senso gramsciano, è spostare le frontiere della divisione, facendole avanzare dopo aver unificato le domande sociali in una catena equivalenziale.
La divisione sociale e l’antagonismo tra le classi non possono essere sradicati, ma solo attutiti. La democrazia rappresentativa diventa l’arena esclusiva dove le forze politiche si disputano l’egemonia, in una dimensione totalmente agonistica del politico, dove il nemico di classe viene riclassificato come avversario e il fine del politico populista, in una lotta di posizione che non è più guerra in senso gramsciano, è spostare le frontiere della divisione, facendole avanzare dopo aver unificato le domande sociali in una catena equivalenziale.
Ma la storia non è un gioco di monopoli. L’esperienza di Salvador Allende lo dimostra. Se ti spingi troppo oltre una certa frontiera devi esser pronto alla guerra totale. Cosa che ha fatto il castrismo, il leninismo, il maoismo, vincendola, ma non il peronismo, il cui leader maximo fu prima accompagnato cortesemente in esilio e poi richiamato in patria dalle stesse classi dominanti che lo avevano tollerato al potere.
(Fine)
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