[ 12 novembre 2018 ]
Secondo l’agenzia Frontex i flussi migratori verso l’Unione europea sono passati da 1,8 milioni nel 2015 a 204,219 nel 2017. Ciò nonostante l’immigrazione resta al centro del dibattito politico ed è addirittura diventato lo scontro tra due opposte visioni: quella tra chi chiede frontiere aperte e l’altra delle frontiere chiuse. Siamo giunti al punto che quella dell’immigrazione è diventata la linea che segna il confine tra destra e sinistra, il campo dove si manifestano opposte identità e visioni del mondo.
In questo dibattito si inserisce l’ultimo libro di Stephen Smith FUGA IN EUROPA.
La tesi di Smith è che l’Africa sarebbe sottomessa ad un “rullo compressore demografico” alimentato dalla “super-fecondità” a sud del Sahara. Egli si appoggia tra l’altro a stime (vedremo moto discutibili) delle Nazioni Unite, secondo le quali la popolazione africana passerebbe da 1,2 miliardi di abitanti nel 2017, a 2,5 miliardi nel 2050, e addirittura a 4,4 miliardi nel 2100. Smith ne conclude che occorre attendersi un esodo in massa dal continente, al punto che in 30 anni, dal 20 al 25% della popolazione europea sarà di origine africana (contro meno del 2% nel 2015).
Questo libro ha già avuto un successo editoriale straordinario in Francia. Degno di nota è che nelle librerie è in bella mostra con la banda rossa e la stampigliatura del Quai d’Orsay. Marcelle Gauchet, uno dei maître à penser del pensiero francese politicamente corretto, consiglia di rendere la sua lettura “obbligatoria per tutti i responsabili politici”.
Proprio in Francia tuttavia il libro oltre ad aver suscitato polemiche ha ricevuto numerose contestazioni tra cui quelle dell’antropologo Michel Agier. [1]
Ma il primo attacco in piena regola l’ha portato François Héran con una nota del francese Istituto nazionale di studi demografici (INED) quindi in un articolo destinato al grande pubblico. [2]
Héran ha fatto notare che in verità la maggior parte dei flussi migratori è Sud-Sud: il 70% degli emigranti africani restano infatti nel loro continente. Ma egli contesta soprattutto il metodo e i dati utilizzati da Smith. Prendendo in considerazione quelli della Banca mondiale, dell’FMI e dell’OCSE, si giunge a risultati ben differenti: Héran calcola che gli africani e i loro discendenti costituiranno dal 3 al 4% della popolazione europea nel 2050, “molto lontano dal temuto 25%”.
Lasciamo per il momento il piano demografico e veniamo al punto che ci interessa ovvero il legame tra liberoscambismo e movimenti migratori. Ce ne parla Brenoȋt Brevillé su Le Monde Diplomatique del mese di novembre.
Egli sostiene che è stato largamente dimostrato, il legame causale (quindi non una mera correlazione) tra l'economia globalizzata basata sul libero scambio e i movimenti delle popolazioni. Come caso di scuola, cita quello del Messico.
Sottoscritto nel 1992, l’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), fu presentato ai messicani come un mezzo per ridurre i flussi migratori. L’allora presidente Carlos Salinas de Gortari affermò che «I messicani non avranno più bisogno di emigrare al nord per trovare lavoro: lo troveranno qui». [3]
Da parte loro, diversi economisti, in particolare Philipe L. Martin previde l’effetto opposto e i fatti gli hanno dato completamente ragione. [4]
Liberatisi delle barriere doganali, gli Stati Uniti hanno inondato il Messico di mais sovvenzionato e prodotto dalla loro agricoltura altamente meccanizzata e intensiva. Il crollo dei prezzi ha finito per distruggere l’economia rurale messicana, gettando sul lastrico milioni di campesinos che non hanno trovato lavoro né sul posto né nelle nuove fabbriche sulla frontiera. Risultato: in meno di 10 anni il numero di messicani passati clandestinamente negli Stati Uniti è aumentato del 144%, passando da 4,8 milioni nel 1993 a 11,7 milioni nel 2002.
Lo stesso legame perverso riguarda l’Europa e una trentina di paesi africani (guarda caso quelli da cui provengono la maggior parte degli emigranti), legati dal 2014 da un accordo di libero scambio.
Abbiamo così che l’Unione europea, che a parole dice di combattere l’immigrazione, alimenta i flussi di emigrazione dall’Africa. E qui siamo al limite fondamentale del libro di Stephen Smith: egli non tiene in considerazione per niente la questione dell’imperialismo (neocolonialismo) ovvero il carattere ineguale della cosiddetta “crescita” quindi i processi di accumulazione del capitale e le implacabili logiche del mercato. In particolare, Smith non considera il colossale fenomeno di accaparramento delle terre da parte di multinazionali e grandi proprietari che distruggono l’economia contadina espropriando i piccoli produttori e obbligandoli a diventare miseri salariati.
Questo processo, che ci ricorda da vicino quanto Marx scrisse ne Il Capitale (cap. XXIV, la cosiddetta accumulazione originaria) ci parla di come si manifesta e cosa produce lo sviluppo in ambiente capitalistico: In quanto esso è fondato non sulla ricerca del bene comune, del pieno impiego e la riduzione delle diseguaglianze, bensì sulla caccia al profitto, produce non solo squilibri e diseguaglianze, tra popoli e tra classi sociali. Privatizzazioni, massima flessibilità del mercato del lavoro, liberoscambismo producono effetti devastanti non solo nei centri del capitalismo mondiale ma anche nelle periferie e sono prima causa dei flussi migratori.
Se è così, se i flussi migratori sono un effetto dello stesso sviluppo capitalistico, ed in particolare della sua forma liberoscambista, per bloccare l'emigrazione c'è una sola soluzione: rimuovere la cause, porre fine alle politiche liberiste e neocolonialiste. Ciò che è possibile con un doppio movimento: i paesi africani debbono sganciarsi dalla morsa della globalizzazione ed i paesi occidentali dovrebbero cessare di depredare le loro ex-colonie.
Questo non ci dicono le destre nazionaliste alla Le Pen e non ce lo dicono per la semplice ragione che esse sono non meno colonialistiche di quelle liberiste: vorrebbero la botte piena (continuare le politiche predatorie a danno dell'Africa) e la moglie ubriaca (l'arresto dei flussi).
D'altra parte, se le cose stanno così (e stanno così) risulta chiaro come, reclamare l'abolizione delle frontiere, chiedere "accoglienza per tutti", dipingere l'emigrazione come un fenomeno di libertà, è un altro modo per sostenere le politiche imperialiste che mentre depredano i paesi africani di una delle loro ricchezze principali, la forza lavoro umana, ne traggono doppio vantaggio importandola in Europa per disporre di forza lavoro a basso costo alimentando la rapina dei diritti sociali dei lavoratori.
Secondo l’agenzia Frontex i flussi migratori verso l’Unione europea sono passati da 1,8 milioni nel 2015 a 204,219 nel 2017. Ciò nonostante l’immigrazione resta al centro del dibattito politico ed è addirittura diventato lo scontro tra due opposte visioni: quella tra chi chiede frontiere aperte e l’altra delle frontiere chiuse. Siamo giunti al punto che quella dell’immigrazione è diventata la linea che segna il confine tra destra e sinistra, il campo dove si manifestano opposte identità e visioni del mondo.
In questo dibattito si inserisce l’ultimo libro di Stephen Smith FUGA IN EUROPA.
La tesi di Smith è che l’Africa sarebbe sottomessa ad un “rullo compressore demografico” alimentato dalla “super-fecondità” a sud del Sahara. Egli si appoggia tra l’altro a stime (vedremo moto discutibili) delle Nazioni Unite, secondo le quali la popolazione africana passerebbe da 1,2 miliardi di abitanti nel 2017, a 2,5 miliardi nel 2050, e addirittura a 4,4 miliardi nel 2100. Smith ne conclude che occorre attendersi un esodo in massa dal continente, al punto che in 30 anni, dal 20 al 25% della popolazione europea sarà di origine africana (contro meno del 2% nel 2015).
Questo libro ha già avuto un successo editoriale straordinario in Francia. Degno di nota è che nelle librerie è in bella mostra con la banda rossa e la stampigliatura del Quai d’Orsay. Marcelle Gauchet, uno dei maître à penser del pensiero francese politicamente corretto, consiglia di rendere la sua lettura “obbligatoria per tutti i responsabili politici”.
Proprio in Francia tuttavia il libro oltre ad aver suscitato polemiche ha ricevuto numerose contestazioni tra cui quelle dell’antropologo Michel Agier. [1]
Ma il primo attacco in piena regola l’ha portato François Héran con una nota del francese Istituto nazionale di studi demografici (INED) quindi in un articolo destinato al grande pubblico. [2]
Héran ha fatto notare che in verità la maggior parte dei flussi migratori è Sud-Sud: il 70% degli emigranti africani restano infatti nel loro continente. Ma egli contesta soprattutto il metodo e i dati utilizzati da Smith. Prendendo in considerazione quelli della Banca mondiale, dell’FMI e dell’OCSE, si giunge a risultati ben differenti: Héran calcola che gli africani e i loro discendenti costituiranno dal 3 al 4% della popolazione europea nel 2050, “molto lontano dal temuto 25%”.
Lasciamo per il momento il piano demografico e veniamo al punto che ci interessa ovvero il legame tra liberoscambismo e movimenti migratori. Ce ne parla Brenoȋt Brevillé su Le Monde Diplomatique del mese di novembre.
Egli sostiene che è stato largamente dimostrato, il legame causale (quindi non una mera correlazione) tra l'economia globalizzata basata sul libero scambio e i movimenti delle popolazioni. Come caso di scuola, cita quello del Messico.
Sottoscritto nel 1992, l’Accordo di libero scambio nordamericano (NAFTA), fu presentato ai messicani come un mezzo per ridurre i flussi migratori. L’allora presidente Carlos Salinas de Gortari affermò che «I messicani non avranno più bisogno di emigrare al nord per trovare lavoro: lo troveranno qui». [3]
Da parte loro, diversi economisti, in particolare Philipe L. Martin previde l’effetto opposto e i fatti gli hanno dato completamente ragione. [4]
Liberatisi delle barriere doganali, gli Stati Uniti hanno inondato il Messico di mais sovvenzionato e prodotto dalla loro agricoltura altamente meccanizzata e intensiva. Il crollo dei prezzi ha finito per distruggere l’economia rurale messicana, gettando sul lastrico milioni di campesinos che non hanno trovato lavoro né sul posto né nelle nuove fabbriche sulla frontiera. Risultato: in meno di 10 anni il numero di messicani passati clandestinamente negli Stati Uniti è aumentato del 144%, passando da 4,8 milioni nel 1993 a 11,7 milioni nel 2002.
Lo stesso legame perverso riguarda l’Europa e una trentina di paesi africani (guarda caso quelli da cui provengono la maggior parte degli emigranti), legati dal 2014 da un accordo di libero scambio.
Abbiamo così che l’Unione europea, che a parole dice di combattere l’immigrazione, alimenta i flussi di emigrazione dall’Africa. E qui siamo al limite fondamentale del libro di Stephen Smith: egli non tiene in considerazione per niente la questione dell’imperialismo (neocolonialismo) ovvero il carattere ineguale della cosiddetta “crescita” quindi i processi di accumulazione del capitale e le implacabili logiche del mercato. In particolare, Smith non considera il colossale fenomeno di accaparramento delle terre da parte di multinazionali e grandi proprietari che distruggono l’economia contadina espropriando i piccoli produttori e obbligandoli a diventare miseri salariati.
Questo processo, che ci ricorda da vicino quanto Marx scrisse ne Il Capitale (cap. XXIV, la cosiddetta accumulazione originaria) ci parla di come si manifesta e cosa produce lo sviluppo in ambiente capitalistico: In quanto esso è fondato non sulla ricerca del bene comune, del pieno impiego e la riduzione delle diseguaglianze, bensì sulla caccia al profitto, produce non solo squilibri e diseguaglianze, tra popoli e tra classi sociali. Privatizzazioni, massima flessibilità del mercato del lavoro, liberoscambismo producono effetti devastanti non solo nei centri del capitalismo mondiale ma anche nelle periferie e sono prima causa dei flussi migratori.
Se è così, se i flussi migratori sono un effetto dello stesso sviluppo capitalistico, ed in particolare della sua forma liberoscambista, per bloccare l'emigrazione c'è una sola soluzione: rimuovere la cause, porre fine alle politiche liberiste e neocolonialiste. Ciò che è possibile con un doppio movimento: i paesi africani debbono sganciarsi dalla morsa della globalizzazione ed i paesi occidentali dovrebbero cessare di depredare le loro ex-colonie.
Questo non ci dicono le destre nazionaliste alla Le Pen e non ce lo dicono per la semplice ragione che esse sono non meno colonialistiche di quelle liberiste: vorrebbero la botte piena (continuare le politiche predatorie a danno dell'Africa) e la moglie ubriaca (l'arresto dei flussi).
D'altra parte, se le cose stanno così (e stanno così) risulta chiaro come, reclamare l'abolizione delle frontiere, chiedere "accoglienza per tutti", dipingere l'emigrazione come un fenomeno di libertà, è un altro modo per sostenere le politiche imperialiste che mentre depredano i paesi africani di una delle loro ricchezze principali, la forza lavoro umana, ne traggono doppio vantaggio importandola in Europa per disporre di forza lavoro a basso costo alimentando la rapina dei diritti sociali dei lavoratori.
NOTE
[1] L'Obs, Paris, 18 febbraio 2018
[2] François Héran, L'Europe ed le spectre des migrationes subsahriennes, in Populations et societée n.558, Paris, settembre 2018
[3] Carlos Salinas de Gortari; Discorso al MIT Cambridge, 28 marzo 1993
[4] Phlip L. Martin, Trade and migrations. The case of NAFTA; Asian pacific,MIgration Journal., vol.2, n°3, California, settembre 1993
2 commenti:
" i flussi migratori verso l'UE sono passati da 1,8 milioni nel 2015 a 204219 nel 2017. Ciò nonostante l'immigrazione resta al centro del dibattito politico..."
Credo occorra rendersi conto che conta sì la dinamica ma conta anche, e molto, la dimensione di un fenomeno. Per dare un'idea di cosa voglio dire: se il mio colesterolo aumenta solo del 2% dopo essere aumentato l'anno precedente del 100%, magari passando da 150 a 300, io non mi sentirei per niente tranquillo.
Qualche dato sul merito della questione. Nel 1950, più o meno quando sono nato, la popolazione africana era 221 milioni (meno della metà di quella europea che era di 547 milioni). Nel 2015 è risultata di 1186 milioni (più o meno una volta e mezza quella europea, 738 milioni). A me sembra che la dinamica demografica africana non sia propriamente sostenibile se presenta un tasso di crescita di quasi il 500% nel breve arco di una vita umana.
Inoltre, d'accordo per carità sulla necessità di por fine a politiche liberiste e neocolonialiste, ma mi sembra che anche nel 1950 l'Africa fosse oggetto di tali politiche e anzi direi più vetero che neo colonialiste. Ciò nonostante non mi risulta una pressione immigratoria verso l'Europa paragonabile a quella odierna.
Concordo invece in pieno con l'ultima considerazione del post.
Se la Le Pen tace , la sinistra non e' che chissa' cosa fa , presa com'e' dalla sindrome dell'accoglienza assieme ai cattobuonisti di ogni latitudine .
La verita' la disse Thomas Sankara che pochi ormai ricordano "Azzerateci il debito e lasciateci in pace" ossia non venite piu' in Africa , e per questo fu assassinato .
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