7 novembre
Il surf di Salvini tra l'agonia del berlusconismo e l'encefalogramma piatto di certa sinistra
Da una parte i berluscones, sicuri della fine del capo ma incapaci di celebrarne il funerale. Dall'altra i sinistrati, coloro che hanno ridotto una nobile tradizione in un'area residuale senza idee e senza progetto. In mezzo una gran confusione, com'è d'obbligo che sia nelle fasi di transizione. E' in questo caos che avanza un altro furbastro: Salvini Matteo, da un anno segretario della Lega Nord.
Appena insediatosi, il «giovane padano» ha virato con decisione verso una posizione anti-euro. Una svolta che gli è valsa un discreto risultato alle europee. Un successo in realtà ben inferiore a quelli del vecchio partito bossiano, e tuttavia sufficiente a far dimenticare il «cerchio magico» dell'anziano leader, le prodezze del «Trota», le mutande verdi di Cota, i diamanti di Belsito e gli investimenti in Tanzania con i soldi del finanziamento pubblico.
Una sfilza di episodi macchiettistici in grado di ridurre in polvere qualsiasi partito, tanto più una formazione sviluppatasi in parallelo a «Mani pulite» come risposta alla corruzione, specie se «romana». E invece no! La Lega ha retto. Segno certo di un effettivo radicamento, ma soprattutto della capacità di ricollocarsi un attimo prima di finire fuori tempo massimo.
A Salvini, complice l'interminabile agonia berlusconiana, l'operazione sta riuscendo. Ma questa riuscita - solo il futuro ci dirà quanto davvero solida - è figlia principalmente di un altro fenomeno: quella che qualcuno ha chiamato afasia della sinistra. Afasia è in realtà un termine non troppo preciso: in effetti, non è che la sinistra non parli, è che non parla di quel che si dovrebbe anzitutto parlare.
E' qui la ragione prima della pericolosità dell'erede di Bossi. La scelta del grosso della sinistra di collocarsi in una prospettiva europeista e globalista, il pervicace rifiuto del sovranismo, quasi fosse una bestemmia e non invece l'indispensabile premessa per la ricostruzione di una democrazia degna di questo nome, ha aperto un'autentica autostrada all'alleato padano della Le Pen.
Il suo è una specie di surf che mentre cavalca l'onda dell'indignazione popolare contro le politiche austeritarie di Bruxelles non tralascia di intercettare i delusi del berlusconismo, senza che questo imponga una rottura con il Buffone di Arcore, con il quale invece Salvini continua la politica delle alleanze elettorali che va avanti ormai da vent'anni. Un elemento quest'ultimo che la dice assai lunga su quale sia il tipo di «svolta» attuato dal segretario della Lega.
E tuttavia, questo è il punto, l'iniziativa di Salvini sta facendo breccia in una parte non trascurabile del mondo sovranista. Un mondo certo variegato, come è inevitabile che sia, ma in larga parte legato ad una forte ispirazione democratica, anti-oligarchica, popolare e costituzionale.
Che la Lega attragga a sé i portatori di un sovranismo reazionario, che pure esiste, è nella logica naturale delle cose. Che riesca anche ad allettare alcuni settori del sovranismo democratico è invece un problema che va affrontato con forza. La cosa del resto non è nuova. Già negli anni '90 del secolo scorso si pose il problema del voto operaio alla Lega, emblematizzato dalla figura del lavoratore iscritto alla Fiom ed allo stesso tempo elettore di Bossi.
Ora la questione è ancora più ampia, e merita di sicuro un serio lavoro di approfondimento. Lo scopo di questo articolo è però più limitato. La svolta di immagine di Salvini è un fatto, così come la sua collocazione anti-euro. Una collocazione degna appunto di un surfista che cerca di cavalcare l'onda di una crescente consapevolezza dei tremendi danni sociali prodotti dalla moneta unica. Ma fin dove arriva questa svolta? Mette essa in discussione la tradizionale impostazione liberista ed autoritaria della Lega Nord?
Non penso proprio. Anzi, l'alleanza con il Front National francese mentre spinge la Lega su posizioni sempre più xenofobe, non per questo ne scalfisce l'impronta ultra-liberista, ben esemplificata dalla proposta della Flat-tax, cioè una tassazione sul reddito priva di qualunque progressività. Una roba da far invidia a Margaret Thatcher ed a Ronald Reagan, che farebbe certamente la gioia di quel famoso 1% ultra-ricco che i sovranisti democratici vedono invece come il grande nemico da sconfiggere.
Ma chi conosce davvero il programma politico della Lega? Certamente in pochi, visto che la politica è fatta ormai di slogan, becere frasi ad effetto, dichiarazioni della domenica. Eppure un programma assai articolato esiste, ed è quello con il quale quel partito si presentò alle elezioni politiche del 2013. Si dirà che quel programma non è quello di Salvini, ma non è colpa nostra se in un anno di tempo costui non ha trovato il modo di presentarne uno nuovo ed altrettanto articolato. Quello scritto per le elezioni europee non ha queste caratteristiche, basti dire che dedica più spazio alla motivazione del no all'ingresso della Turchia nell'UE (4 pagine) che alla stessa questione dell'euro (1 pagina).
A me sembra che il programma del 2013 resti in realtà un buon punto di riferimento per capire cosa sia veramente la Lega. Quel programma, del resto, è perfettamente in linea con le cose che la Lega ha fatto nei lunghi anni in cui è stata al governo con Berlusconi, con quel che continua a fare nelle Regioni che governa e nei Comuni che amministra. Dunque sarà forse il caso di andare a vedere cosa c'è scritto.
Il programma della Lega Nord
Il programma della Lega è naturalmente liberista, antidemocratico e confindustriale. E fin qui niente di nuovo sotto il sole. Esso è anche apertamente eurista, cosa che oggi, ad un anno e mezzo di distanza, potrebbe sembrare perfino incredibile. Eppure è così. Il bello è che vi si trovano pure sprazzi non secondari di un renzismo allora agli albori. Ma andiamo con ordine.
Così si legge al punto 8: «Apertura al mercato dei settori chiusi, in particolare dove persistono monopoli o oligopoli statali, a partire da scuola, università, poste, energia e servizi pubblici locali». Come programma di privatizzazione di tutto ciò che è privatizzabile non è male. Ma non basta. Ed al punto 9 (Infrastrutture) ci si preoccupa di aggiungere il: «Rilancio dell'iniziativa di liberalizzazione e privatizzazione delle reti infrastrutturali e dei pubblici servizi, come da D.L. 138 del 13 agosto 2011».
Naturalmente non mancano indicazioni più specifiche tese a favorire il processo di privatizzazione integrale sopra descritto. Ad esempio (punto 5), allo scopo di favorire la scuola privata rispetto a quella pubblica si propone un «Buono (o credito di imposta) per scuola, università per favorire libertà di scelta educativa delle famiglie». E si potrebbe continuare, ma fermiamoci qui.
b. La Lega confindustriale
Molte le misure apertamente filo-padronali del programma leghista. Misure che coincidono largamente con quelle messe in cantiere dal governo Renzi. Al punto 8 si leggono questi due obiettivi: «Ritorno alla Legge Biagi per uno Statuto dei Lavori», e ancora: «Sviluppo della contrattazione aziendale e territoriale». Il partito di Salvini, dunque, non è solo per la cancellazione definitiva dell'articolo 18, esso è per la totale abolizione dello Statuto dei lavoratori. E, in perfetta sintonia con Renzi, persegue l'eliminazione del contratto nazionale di lavoro, da sostituire con quello aziendale e/o territoriale.
Ma, sempre al punto 8, c'è dell'altro: «Riconoscimento alle imprese, per le nuove assunzioni di giovani a tempo indeterminato, di una detrazione (sotto forma di credito d'imposta) dei contributi relativi al lavoratore assunto, per i primi 5 anni». Per ora Renzi gliene ha regalati 3 (serenamente scaricati sulla fiscalità generale, cioè sul ben noto Pantalone), ma in futuro potrà superarsi. Cosa faranno allora i leghisti, si spelleranno le mani?
Comunque, per non farsi mancare niente, già al punto 5 veniva precisata l'opposizione di principio ad ogni tassazione patrimoniale e la richiesta di un azzeramento dell'IRAP. Abbiamo scritto in altra sede che la struttura di questa tassa è certamente discutibile, ma quel che qui conta rilevare è che il beneficio di un suo ridimensionamento, per non parlare della sua abolizione tout court, andrebbe principalmente a beneficio delle grandi aziende capitalistiche.
c. La «democrazia autoritaria» della Lega
Borghezio, il vettore dell'infiltrazione fascista nella Lega |
Che la Lega sia una forza con un'idea assai pericolosa di democrazia è cosa nota. Per rendersene conto basta ascoltare i discorsi dei suoi dirigenti, normalmente intrisi di xenofobia e securitarismo. Che questo sfoci in una costruzione istituzionale autoritaria, presidenzialista e di fatto antidemocratica non può dunque stupire. Ma forse non tutti sanno quali sono i primi due punti, messi non casualmente in testa al programma del 2013. Essi riguardano l'«Elezione diretta e popolare del Presidente della Repubblica» ed il «Rafforzamento dei poteri del Governo».
Anche in questo caso evidente è la parentela con il progetto renziano, del quale si condivide anche l'«Abolizione delle Province tramite modifica costituzionale». Si saranno mica copiati il programma?
d. La Lega eurista
Qui qualcuno penserà che si stia esagerando. Ma non è così. Si legge al punto 3, parlando dell'Unione Europea: «Accelerazione delle quattro unioni: politica, economica, bancaria, fiscale». Non male per chi ora vuole uscire dall'euro in nome della sovranità nazionale. I leghisti hanno cambiato idea? Può essere, ma quando le giravolte sono così secche e repentine come non sentire un certo odore di imbroglio e di opportunismo politicantista?
Diciotto mesi fa, non il secolo scorso, i leghisti sembravano euristi convinti. Talmente convinti da chiedere (punto 3) l'«Elezione popolare diretta del Presidente della Commissione europea», ovvero il sogno dei più sfegatati sostenitori della religione dell'euro.
La lettura dei punti precedenti è più che sufficiente per rivelare le assonanze, le similitudini, quando non anche le perfette corrispondenze tra il programma leghista e quello che sta portando avanti l'arrogante fiorentino.
Si tratta di mere casualità, o forse qualche neofita vorrà sostenere che con Salvini quel programma benché recente è tutto da buttare?
Personalmente consiglierei una certa prudenza. L'ex «giovane padano» non l'ha affatto ripudiato. Ma quel che conta ancor di più è la politica delle alleanze che egli sta confermando: a fianco del Cavaliere oggi come in passato. Se una novità c'è, essa non ha certo un segno positivo. Se ieri Bossi si dichiarava almeno antifascista, oggi Salvini marcia con chi (Casa Pound ed altri rottami) dell'esser fascista semplicemente si vanta.
Da quanto affermato fin qui tutti avranno capito che chi scrive non crede proprio che «un'altra Lega Nord» sia possibile. Ora, da un certo punto di vista, questa affermazione potrebbe sembrare la classica scoperta dell'acqua calda. Ma evidentemente questo articolo intende rivolgersi all'ormai ampia ed articolata area sovranista. Se a qualcuno, in quest'area, le considerazioni qui esposte sembreranno quantomeno secondarie (vedi il pittoresco blog bagnaiano) vada pure con Salvini. Del resto, ad ognuno gli amici che si merita. Agli altri spetta invece un compito diverso: quello della costruzione di un polo sovranista di sinistra, democratico e popolare.
E' questa l'esigenza decisiva di questo tormentato periodo. Chi, a sinistra, tarda ancora a comprenderlo ha ben poco da lamentarsi del successo dell'operazione condotta da Salvini. La rivendicazione della sovranità nazionale è non solo giusta e sacrosanta, essa è imprescindibile. Quale forma assumerà questa rivendicazione, in quale politica economica e sociale essa si tradurrà in futuro è invece una partita aperta. Assumere la questione nazionale, intrecciarla con quella di classe, lavorare alla costruzione di un ampio blocco sociale è l'unico modo per pensare ad una vera alternativa all'esistente.
Alternativa possibile, la cui proposta se radicata nella realtà e non in quello che è stato definito «idealismo senza idee», è certo assai più forte della concorrenza liberista che oggi veste i panni del «tutto cambi perché nulla cambi», arrivando perfino ad assegnare il compito di difensore degli interessi nazionali ad un ex «giovane padano», che ha sempre fatto coincidere il suo confine sud con l'Appennino Tosco-Emiliano.
E' possibile iniziare a costruire fin da oggi questa alternativa? Penso proprio di sì, a condizione che una nuova sinistra abbia il coraggio di tagliare il cordone ombelicale con la sinistra sinistrata, quella che magari sembra solo attaccata ai simboli, ma che più spesso è invece attaccata al carrozzone metamorfico che dopo un'ininterrotta gravidanza durata vent'anni ha infine partorito il mostro del renzismo.
8 commenti:
Molte argomentazioni condivisibili ma impostazione inequivocabilmente di parte
Che dinanzi a una forza che ha votato tutte le porcate del regime si debba adottare un sano scetticismo sono perfettamente d'accordo.
Credo però che più che a un atteggiamento cospiratorio le contraddizioni rilevate da Mazzei siano dovute a un momento di generale rimescolamento, in cui molti attori cominciano a prendere atto della crisi del sistema e a riposizionarsi senza una chiara prospettiva storico-politica, né tantomeno una base dottrinaria.
La verità è che la Lega è schiacciata fra il nazionalismo del Front national, opposto specualre del globalismo eurista e serbatoio potenziale di voti, e l'antimeridionalismo che in Italia, dove lo stato è garante dei trasferimenti al sud e l'apparato statale dominato da meridionali, si esprime in termini di antistatalismo liberista e cerca di legarsi ai padroncini padani (idea per niente disprezzabile nel momento in cui la dittatura plutocratica comincia a colpire di brutto anche loro).
Infine il successo che la Lega comincia a riscuotere a sinistra oltre che dall'immobilismo della ex-sinistra istituzionale, dipende dalla sua difesa della povera gente dall'invasione extracomunitaria (l'altro punto di crisi del regime), nodo fondamentale che voi rifiutate di tematizzare.
IO sospetto che l'idea sovranista sia un concetto che potrebbe non andare d'accordo con l'ideologia della sinistra. Il sovranismo nazionale infatti si potrebbe considerare quasi contrario all'internazionalismo. Il Sovranismo implica una realtà nazionale intesa come ente dotato di popolo sì, ma anche di territorio ben delimitato. Chi usa con indifferenza il termine sovranismo può vadere in qualche equivoco. Nell'attuale contingenza storica sarebbe preferibile riferire il "sovranismo" a quel tipo particolare che sarebbe più coerente con le esigenze socio economiche che implicano una sovranità monetaria. la quale tuttavia non si sa bene sia realizzabike senza una vera autonomia politica.
"(...) e l'antimeridionalismo che in Italia, dove lo stato è garante dei trasferimenti al sud e l'apparato statale dominato da meridionali, si esprime in termini di antistatalismo liberista e cerca di legarsi ai padroncini padani (idea per niente disprezzabile nel momento in cui la dittatura plutocratica comincia a colpire di brutto anche loro)"
Cioè non ho capito. Il forestale calabrese è anch'esso un plutocrate anglosassone?
Anonimo delle 10:29
Non sono molto d'accordo, a meno che non si parli di una sinistra assai utopistica che vede un futuro prossimo in cui la sovranità non sia esercitata da nessuno, oppure il ripristino della sovranità popolare è imprescnindibile, quale che sia la porzione di territorio su cui viene eseguita.
Non capisco quale sinistra possa esserci senza la volontà di mettere in atto una sovranità popolare.
Poi personalmente l'internazionalismo lo vedo molto di più come internazionalismo degli oppressi, cosa che non esclude per forza che vi siano divisioni territoriali, almeno temporanee.
Allo stesso tempo non ritengo fondamentale l'idea di nazione, intesa come popolo di unica cultura e tradizione, se non quando aiuta l'attuazione della sovranità popolare.
Purtroppo certa "sinistra" è in realtà diventata il concetto di internazionalismo lo vede solo come cancellazione di ogni forma di nazione, arrivando poi, con un salto che ha dell'incredibile, a voler solo sacrificare le varie nazioni europee all'altare di una nazione ancora più grande, diventando quindi nazionalisti.
Un pensiero politico, "a la Spinelli", soprattutto Barbara, che mette al centro la nazione europea sopra le rivendicazioni degli oppressi è paradossalmente considerato di sinistra, mentre la richiesta di sovranità viene vista come "rossobruna", evidentemente la crisi della sinistra è davvero forte.
Ottimo articolo. Istruttiva la lettura del programma liberista della lega.
Ma chiedo a Mazzei: non pensi che sia in corso una mutazione genetica della Lega, in senso simil-fascistoide, e che questa mutazione sia iniziata proprio dopo la batosta elettorale del febbraio 2013?
ROBERTO MAGNI
Secondo me non c'è in atto alcuna mutazione genetica in seno alla Lega. La Lega è sempre stata così, il fatto che parli meno di federalismo non deve trarre in inganno.
Condivido quanto fatto dai compagni bolognesi che hanno cacciato Salvini intenzionato a soffiare sull'odio xenofobo, sfruttando i nomadi. E condivido questo articolo di Militant: http://www.militant-blog.org/?p=11291
Liberalizzare il liberalizzabilie non mi sembra un indice di fascistizzazione della Lega, anzi!
Ma siamo ai soliti equivoci e all'abitudine di voler appiccicare etichette con la consueta superficiale disinvoltura.
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