19 novembre.
[Nella foto la conferenza stampa con cui alcuni esponenti della sinistra del Pd, capeggiati da Stefano Fassina, a nome di 30 parlamentari, hanno presentato i loro emendamenti al Jobs Act].
In un breve articolo sul blog Mainstream, Claudio Martini fotografa in maniera assai efficace l'attuale evoluzione del dibattito sulla questione dell'euro.
Dopo aver passato in rassegna le posizioni di diversi esponenti politici, ed il loro progressivo spostamento verso posizioni no-euro o quantomeno "euroscettiche", questa è la sua fulminante conclusione:
«E' ormai finita l'era del Ce lo chiede l'Europa. E' iniziata la stagione del trasformismo neo-patriottico».
La fotografia è precisa, e ci rimanda a tre questioni: a) l'irriformabilità dell'Unione Europea, di cui è evidentemente sempre più difficile non prendere atto; b) la crescita, nella società, di una consapevolezza diffusa sui mali prodotti dall'euro e dal suo sistema; c) le modalità di uscita dalla moneta unica, cioè l'alternativa tra uno sganciamento guidato da una politica democratica e popolare o, al contrario, l'affermazione di quelli che Emiliano Brancaccio chiama i "gattopardi".
Partiamo dal primo punto. Che l'UE sia un'entità costitutivamente irriformabile è ormai evidente ai più. Solo chi è bloccato da una sorta di tabù ideologico sul tema della sovranità nazionale può ancora insistere nel cercare di aggirarlo. Questo tentativo, tuttavia, produce inevitabilmente risultati sempre meno credibili. E' normale, perciò, che settori e singoli esponenti politici inizino quantomeno ad interrogarsi sulla questione. Anche perché (ne abbiamo scritto QUI e QUI), che il processo di disunione europea sia già in corso, è semplicemente un dato di fatto.
Dunque, non siamo più così pochi a mettere al centro la questione dell'euro. E questo è un bene. D'altronde, in questo processo di progressivo abbandono del «Ce lo chiede l'Europa» un ruolo l'ha avuto anche chi, in tempi non sospetti, ha iniziato a porre la questione. Noi siamo tra questi, e nel nostro piccolo un contributo l'abbiamo dato.
Ma c'è di più, e qui arriviamo al secondo punto. C'è che il tema si va imponendo nella società. Qualcuno ne dubita? Bene, diamo la parola all'insospettabile Sole 24 Ore. Il quotidiano della Confindustria così titola l'articolo di commento agli scioperi ed alle manifestazioni del 14 novembre: «Negli slogan art. 18 e pensioni, ma il vero obiettivo della piazza è l'Europa». Una sintesi forse un po' troppo interessata? Può essere, ma certamente assai più credibile di altre. Ovvio che nelle lotte l'obiettivo immediato sia la difesa del posto di lavoro, il no alla precarietà, il salario. Ma le persone sono in genere meno stupide di quel che a volte può sembrare. E non ci vuol molto a capire che non ha senso dire no ai sacrifici senza opporsi al tempo stesso all'Europa.Partiamo dal primo punto. Che l'UE sia un'entità costitutivamente irriformabile è ormai evidente ai più. Solo chi è bloccato da una sorta di tabù ideologico sul tema della sovranità nazionale può ancora insistere nel cercare di aggirarlo. Questo tentativo, tuttavia, produce inevitabilmente risultati sempre meno credibili. E' normale, perciò, che settori e singoli esponenti politici inizino quantomeno ad interrogarsi sulla questione. Anche perché (ne abbiamo scritto QUI e QUI), che il processo di disunione europea sia già in corso, è semplicemente un dato di fatto.
Dunque, non siamo più così pochi a mettere al centro la questione dell'euro. E questo è un bene. D'altronde, in questo processo di progressivo abbandono del «Ce lo chiede l'Europa» un ruolo l'ha avuto anche chi, in tempi non sospetti, ha iniziato a porre la questione. Noi siamo tra questi, e nel nostro piccolo un contributo l'abbiamo dato.
Nell'Italia di fine 2014 il mantra del «Ce lo chiede l'Europa» non è dunque più pronunciabile, anche perché porterebbe ad un'immediata perdita di consensi. Matteo Renzi è quello che l'ha capito per primo.
Alla luce di quanto detto risulterà ancora più chiaro che il punto decisivo è il terzo: come uscire dall'euro? Chi ci segue sa quali sono le nostre opinioni in proposito, riassunte ad esempio nel documento fondativo del Coordinamento della sinistra contro l'euro. Non stiamo perciò a ripeterle.
Ma, tornando al pezzo di Martini dal quale abbiamo preso le mosse, qual è, quale deve essere, il discrimine politico da avere ben presente? Detto con uno slogan: la discriminante ha da essere tra trasformismo e trasformazione.
Trasformista non è chi ha cambiato opinione. Anzi chi lo ha fatto, seguendo un percorso intellettualmente onesto, è assai meglio di chi si attarda su vecchi schemi solo perché non vuol vedere i termini veri della questione. Trasformista è chi vuole uscire dalla gabbia dell'euro per rimanere in quella ancora più grande del capitalismo-casinò. Questi sono i gattopardi del liberismo, quelli che sono pronti ad abbandonare l'euro ma non le politiche antisociali portate avanti negli ultimi 35 anni.
Sia chiaro che qui non mi riferisco alla sola Lega, con la sua accoppiata no euro-flat tax che parla da sola. Sarebbe fin troppo facile poi ironizzare sul segretario Salvini, che nella stessa giornata in cui imbocca l'A14 per andare al convegno bagnaiano di Pescara, fa subito una tappa al campo nomadi di Bologna per guadagnare consensi pescando nel torbido. No, mi riferisco anche ai possibili (possibili non significa certi) sviluppi della politica di Renzi. Costui non potrà continuare a fare il furbo per troppo tempo ancora. E delle due una: o si mette in riga (perdendo consensi), o si scontra davvero con Bruxelles (perdendo appoggi importanti).
Possiamo davvero escludere che il capofila di quella che chiamiamo "uscita da destra", cioè basata sulla prosecuzione e l'approfondimento delle politiche liberiste, possa diventare ad un certo punto proprio Matteo Renzi? Il discorso merita di certo un approfondimento, ma quel che qui interessa è capire che non esiste solo un'ipotesi di uscita apertamente reazionaria (Lega e dintorni), ne esiste anche una liberista e formalmente "democratica" anche se assai autoritaria.
Questi sono i trasformisti. E lo sono non perché hanno cambiato idea, ma perché sono i puri rappresentanti attuali del "cambiare tutto per non cambiare niente".
L'alternativa al trasformismo è la trasformazione. Cioè la costruzione di un'alternativa politica e sociale. Per chi guarda in quella direzione l'uscita dall'euro è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Per questo occorre un ben più ampio pacchetto di misure (dalla nazionalizzazione del sistema bancario ad un robusta ristrutturazione del debito pubblico, dall'elaborazione di un piano per il lavoro ad un insieme di provvedimenti a difesa dei redditi del popolo lavoratore), ma occorre ancor di più una chiara direzione di marcia.
Una direzione che possiamo qui racchiudere in una parola: sganciamento. Sganciamento (leggi QUI) dal capitalismo-casinò, dal dominio della finanza, da un sistema che ha ucciso la democrazia e portato alla miseria milioni di persone.
Un percorso non facile, come tutti i percorsi davvero importanti. L'unico, però, per cui valga davvero la pena battersi. Un percorso lungo ed accidentato, ma di vera trasformazione dell'esistente. Che è poi l'unica alternativa al trasformismo dei gattopardi.
1 commento:
Perché un Fassina sempre in quota Pd sarebbe credibile? O i vari signori de "L'altra Europa"?
La sinistra ha dato numerose volte prova di quanto sia affidabile e coerente.
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