12 settembre. Ci sono contributi che
sono come certe uova di Pasqua. Dopo l’ottimo cioccolato ti aspetti una bella
sorpresa invece…
Lo scorso 25 agosto è
comparso un
denso articolo di Mimmo Porcaro dal titolo Come unirsi contro
l’Unione?
Tre le questioni che il
Nostro affronta: le alleanze, la dicotomia destra-sinistra, il partito. Su
queste ci soffermiamo, segnalando la patacca finale.
DELLE ALLEANZE
Porcaro esordisce subito
con una tesi con cui, com’è noto, concordiamo: per far uscire il Paese dalla
gabbia dell’euro e dal regime di
protettorato esterno occorre dare vita ad “una grande alleanza sociale e politica“
.
Nel tentativo di uscire dall’astrattezza del concetto
di “alleanza”, il Nostro precisa
che non si tratterebbe solo di “convergenza tattica”, visto che la scelta di
uscire dall’euro chiama in causa lo stesso modello di sviluppo e di idea di
paese. Porcaro non lo dice apertamente, quindi lo diciamo noi: dato il contesto
l’auspicata alleanza delle forze sovraniste, antiliberiste e costituzionali, non
potrebbe non porsi l’obbiettivo di diventare maggioritaria, dunque candidarsi
apertamente alla guida del Paese.
Un’alleanza che punti a governare il Paese sarebbe quindi
strategica? Porcaro evita di metterlo in chiaro ma lascia intendere che in
effetti lo sarebbe. Né l’una né l’altra cosa diciamo noi, chiamiamola, per
capirci, “alleanza di fase”. Che
un’alleanza sia tattica o strategica, che viva sui tempi brevi o quelli lunghi,
dipende da numerosi fattori, tra cui: la dinamica dello scontro sociale, il
mutamento dei rapporti di forza tra gli opposti schieramenti, i mutamenti
all’interno di essi. In questo senso noi, stabilito quale sia il fronte nemico
(il blocco eurista del vincolo esterno) diamo a questa alleanza il nome di Comitato
di liberazione nazionale. I compiti del Cln possono essere riassunti in due
capitoli: (1) battere il blocco eurista promuovendo una grande mobilitazione
popolare (sollevazione); (2) formare un governo d’emergenza che applichi misure
eccezionali per riconsegnare al Paese la sua piena sovranità.
Una volta compiuti questi due passaggi saremo già
entrati in una fase nuova, quella del processo
costituente per una nuova Repubblica, col che il Cln avrebbe esaurito le
sue funzioni, e le diverse forze che lo componevano, espressione di diversi e
opposti interessi sociali e di visioni del mondo, andranno inevitabilmente per
la loro strada.
A chi non si accontenta di formulazioni algebriche, a
chi ci chiede quali cifre esattamente corrispondano a certi segni, rispondiamo
che in quest’alleanza di fase ci dev’essere posto anche per le forze
antiliberiste, di matrice borghese, liberali o cattoliche, a patto che siano
democratiche e antifasciste.
DELLA DICOTOMIA DESTRA-SINISTRA
Porcaro ci trova d’accordo quando, con acume, scrive:
«In sintesi, io penso che l’idea secondo cui tale distinzione è “superata” sia da respingere, che però la distinzione debba essere ripensata e che, infine, pur mantenendo la distinzione, non si possano affatto escludere convergenze tra una ridefinita sinistra, un centro ed una destra costituzionale. Che la distinzione destra/sinistra sia ormai superata è tesi da respingere perché è stata una della condizioni culturali del trionfo del neoliberismo. Dire che il dividersi tra destra e sinistra è ideologismo passatista significa dire che di fronte alla presunta modernità dei mercati finanziari non c’è alternativa… Tengo dunque ferma la distinzione fra destra e sinistra. Ma per farlo utilmente devo modificare il termine “sinistra”. Non posso dichiararmi sostenitore di una “sinistra senza aggettivi… Io penso quindi che la distinzione fondamentale, oggi, sia di nuovo ed ancora (visti gli esiti del capitalismo reale) quella tra comunisti e no. E più precisamente, siccome per me il comunismo può esistere realmente solo come combinazione di diversi modi di produzione, quindi come socialismo, dico che la distinzione significativa è quella tra socialisti e no. Non certo nel senso che chi non è socialista è necessariamente un nemico del popolo, una canaglia ecc. . Ma nel senso che le scelte fondamentali, oggi più di ieri, riguardano i rapporti sociali di produzione, i rapporti di proprietà, e quindi non (o non semplicemente) i diritti civili, le forme della democrazia o la stessa politica economica. La distinzione tra socialisti e no ridefinisce, per quanto mi riguarda, la distinzione fra destra e sinistra. La sinistra è tutto ciò che si avvicina ad una prospettiva socialista, la implica o comunque non la ostacola radicalmente. Il centro e la destra sono definiti dalla minore o maggiore distanza dall’ipotesi socialista».
A noi non resta che aggiungere che il discorso sulla
fine della dicotomia destra-sinistra, anche quando si manifesta nella sua
vanitosa forma filosofica, per quanto metafisico, è più prosaicamente figlio
legittimo del presente storico, ovvero dalla vittoria del “pensiero unico” il
quale si manifesta in due forme: nella pretesa che la storia sia finita, o che
la lotta di classe sia solo un bubbone del deprecabile novecento.
La crisi sistemica ed epocale del capitalismo obbliga
le civiltà, se non vogliono precipitare nella barbarie, a guardare oltre
l’esistente, a porsi il problema dell’alternativa. In attesa di nuove e
improbabili profezie, il socialismo, modernamente declinato, resta per noi la
sola via d’uscita progressiva ragionevole. Di qui la nostra certezza che, la
sinistra, certo in forme nuove, alimentata dalla lotta di classe e dalla
imperitura aspirazione alla eguaglianza sociale, sia destinata a risorgere.
DEL
PARTITO
All’inizio del suo
articolo Porcaro ha esordito sostenendo che occorre:
«riunificare i diversi spezzoni del frammentato lavoro dipendente, e quindi allearsi con quelle espressioni politiche delle classi di piccoli e medi capitalisti che “si pronunciano con durezza contro l’euro».
Ben detto!
Porcaro scrive quindi giustamente:
«Ma la condizione preliminare per un’alleanza seria è proprio il riconoscimento della specificità e dell’autonomia di tutti gli interessi in causa, quindi anche (e direi “soprattutto”, visto il clima culturale attuale) di quelli dei lavoratori dipendenti e subordinati. Nessuna alleanza è possibile se si presenta come illusoria cancellazione delle differenze di classe, piuttosto che come intelligente mediazione fra esse».
E precisa:
«… quando si parla della costruzione dell’unità tra la maggior parte dei cittadini italiani si parla in buona misura della riunificazione del lavoro dipendente, e quindi di un’operazione che non implica affatto l’attenuazione dell’autonomia culturale ed organizzativa dei lavoratori, ma il suo contrario».
Noi vogliamo essere
ancora più precisi: prima di tutto va fondato un partito che dia rappresentanza
politica alla classe dei lavoratori salariati e subordinati, altrimenti,
precisiamo noi, il popolo lavoratore sarà carne da macello nella lotta
intestina tra frazioni del capitale. Ogni alleanza, infatti, ha una sua forza
motrice, segue una direzione di marcia, quindi si dota di una direzione
politica. Nel suo seno si svolge, e non può essere altrimenti, una lotta per
l’egemonia, e chi la vince ne assume la guida. L’ala socialista rivoluzionaria
dell’alleanza non dovrebbe andare al carro dell’ala destra, agirà affinché la
forza motrice sia popolare e proletaria e sia dunque forza di direzione.
Fin qui quasi tutto
bene. Non a caso, ci siamo detti, Mimmo Porcaro è stato tra i fondatori del Coordinamento della sinistra contro l’euro
a cui abbiamo dato vita nel febbraio scorso.
Poi improvvisamente,
proprio a chiusura dell’articolo, eccoti la spiacevole sorpresa . Sentiamo:
«Nulla vieta, nemmeno, di pensare che il soggetto politico di cui abbiamo disperatamente bisogno (quello capace di guidare il paese in un frangente così difficile verso un più dignitoso regime economico ed istituzionale) invece di nascere come unione di preesistenti soggetti organizzati di destra, centro o sinistra, debba presentarsi da subito come partito unitario democratico-costituzionale, fatto di persone di diversa cultura politica accomunate dalla scelta di ricollocare il paese nello spazio internazionale e di costruire rapporti sociali più coerenti con la Carta fondamentale. Ma tutto ciò è questione di valutazione concreta delle condizioni attuali, dei rapporti di forza, ecc. Quindi per ora mi fermo qui». [sottolineatura nostra]
Che guazzabuglio!
Ma come? prima si
afferma che è necessaria l’autonomia politica del lavoro salariato; si precisa
che questa non può che essere rappresentata politicamente da un soggetto politico
socialista e anticapitalista; quindi si sostiene che tale indipendenza è la
condizione per una larga alleanza sovranista; ma poi si avanza l’idea di un “partito unitario democratico-costituzionale”.
Di soppiatto quella che
sopra era descritta come un’alleanza necessaria diventa, poche righe dopo, un
partito. Non più un’alleanza di fase
tra sinistre e destre democratiche, non un blocco necessariamente temporaneo tra
anticapitalisti e capitalisti per battere il comune nemico dell’euro-dittatura,
invece un vero e proprio sodalizio partitico.
Qui non siamo solo in presenza
del Diavolo nascosto in un dettaglio, nemmeno soltanto di una plateale incongruenza,
quanto di una bizzarra patacca ideologica. Ogni persona che sappia da dove
veniamo, che sappia cosa sia un partito (ovvero un organismo che oltre ad un
programma politico abbia una coerente visione della società e del mondo e
radici storiche) sa che, portare a fusione comunisti, liberali e cattolici non è solo una illusione, è
una bestialità politica. Chi persegue questa chimera, si romperà la testa, non
potrà che collezionare sconfitte e, quel che è peggio, far perdere tempo alle
persone serie, rendendo quindi il processo di liberazione più accidentato.
Ora è forse chiaro
perché Porcaro ha deciso di abbandonare il Coordinamento
della sinistra contro l’euro. Ugo Boghetta l’ha spiegato a modo suo, s’è
lasciato scappare che noi saremmo dei “settari” (sic!). E si spiega così perché
certi nostalgici che vogliono riesumare la Democrazia cristiana hanno accolto con
tanta benevolenza l’articolo di Mimmo Porcaro.
20 commenti:
Spezzare un vaso cinese in tanti frammenti è vera arte di una politica di conquista.
Così è per un popolo unito che viene abilmente diviso in fazioni opposte. E' praticamente impossibile che l'antico vaso, prezioso nella sua forma unitaria, ritorni alla sua integrità.
Guelfi e Ghibellini non torneranno mai più insieme e fu la fine del sogno di unità nazionale frantumatosi in Signorie e Principati.
I seminatori di discordie Dante li confinava nel più profondo dell'inferno.
A proposito: Dante ci metteva anche Maometto nel mazzo ...
Tornando all'oggi, chi sogna di rimettere insieme i cocci sogna e basta. Le divisioni sono solchi incolmabili, faglie irrimediabili.
Se il miracolo potesse accadere sarebbe una maledizione per gli aspiranti dominatori.
E sia pure: sinistra e destra rimangano nella loro essenza. Ma l'interesse del Paese dovrebbe rappresentare qualcosa di gerarchicamente più importante. Per esempio: l'imminente adesione al TTIP e l'appoggio servile alla politica atlantica di dare addosso alla Russia con l'inasprimento delle sanzioni, per l'Italia, per l'economia nazionale, per i lavoro degli "italiani", è un atteggiamento deleterio: si tratta del classico "darsi la zappa sui piedi". C'entrano sinistra e destra con il darsi la zappa sui piedi?
Sono uno dei "nostalgici che vogliono riesumare la Democrazia Cristiana" e quindi "hanno accolto con tanta benevolenza l’articolo di Mimmo Porcaro"?
PIAGNISTEI
Lascia stare!
Il processo di formazione degli stati nazionali in Europa è fenomeno complesso, che si è disteso nei secoli. Non è stato né lineare né univoco, da nessuna parte. Nemmeno in Inghilterra, Francia e Spagna.
Restando alle vicende italiche, le questioni sono poi ancor più intricate e la questione risale forse a molto prima, all'alleanza tra Papato e Feudalità carolingia che sconfisse il primo regno storico italico, quello longobardo.
Stava nel Papato, in quanto centro di di una visione e di una (diremmo oggi) geopolitica universalistiche —quindi opposto ad ogni pulsione nazionale partucolaristica— il cuore del problema.
Fu il Macchiavelli, per unanime ammissione, a porre la questione italiana nella maniera più chiara. Il suo Principe non era affatto un piagnucolone ecumenico, era un soggetto d'attacco, che scindeva, con atti di forza, per poter poi unire sotto la propria sferza egemonica, di cui il concetto di mobilitazione popolare, degli strati sociali sin li esclusi dalla lotta.
Non si unifica una nazione, non si mobilitano le masse popolari, se non sotto una direzione strategica determinata e dalle idee chiare.
In quale lingua dobbiamo dirvi che siamo i primi a volere un CLN per liberarci dall'euro-dittatura?
Le polemiche che tanto vi spaventano sono il sale stesso della lotta di liberazione, esse non sono affatto ostacoli sulla via dell'unita, sono al contrario tappe necessarie della sua formazione. Sono le scaramucce che decidono che tipo di CLn avremo, il suo piano di battaglia, chi ne sarà la guida, quale sarà la sua ampiezza, e la sua forza motrice.
In risposta all'anonimo. Come disse una volta un uomo politico del passato:
"I comunisti non stanno a sinistra, ma stanno ad est"
Toni un duri quelli di Pasquinelli?
Quando ci vuole ci vuole.
La tesi di un partito di sinistra-destra è teoricamente ammissibile ove si postulasse che la lotta di classe è sospesa, o che nel contesto eurista l'antagonismo sociale è soppresso. Non è evidentemente così. Giusta la risposta di Pasquinelli, che un simile partito durerebbe una settimana, poiché sarebbe dilaniato dalla lotta di classe che lo attraverserebbe internamente.
Caro Fiorenzo,
nell'introspezione ti è sfuggito quello che nel mio pezzo non è affatto un argomento secondario, ovvero:
«Qui non siamo solo in presenza del Diavolo nascosto in un dettaglio, nemmeno soltanto di una plateale incongruenza, quanto di una bizzarra patacca ideologica. Ogni persona che sappia da dove veniamo, che sappia cosa sia un partito (ovvero un organismo che oltre ad un programma politico abbia una coerente visione della società e del mondo e radici storiche) sa che, portare a fusione comunisti, liberali e cattolici non è solo una illusione, è una bestialità politica. Chi persegue questa chimera, si romperà la testa, non potrà che collezionare sconfitte e, quel che è peggio, far perdere tempo alle persone serie, rendendo quindi il processo di liberazione più accidentato».
Tentativo, quindi, quello immaginato dal Porcaro, destinato a fallimento certo. Anche perché giuste le argomentazione di Brenno qui sopra.
A meno che...
A meno che non si pensi ad un partito che, col pretesto di mettere assieme destra e sinistra, sia all’atto pratico un ennesimo partito “di centro”, ergo: una nuova DC. Che era si, alla base, interclassista, ma nei fatti era un corrotto partito atlantista della classe dominante.
Che Dio ce ne scampi!
Non volevamo morire democristiani, e non ci moriremo!
Moreno Pasquinelli
Le occasioni, nella storia, vanno, vengono, ritornano. Un grave intralcio all'unificazione nazionale avvenne, bisogna dirlo per amor di verità, al tempo di Federico II di Svevia quando cinse anche la corona de "Sud" oltre a quella d'Italia che per altro aveva già messo sulla sua testa a Monza, La fatale divisione Guelfi e Ghibellini mandò tutto a catafascio.
Questo per la Storia che è scritta sui libri. Se qualcuno ha notizie diverse farà uno scoop!
Che poi il Papato abbia sempre avuto la sua parte nelle vicende italiane, e fatto pià che notorio.
Scusate, ma i Democristiani appartengono al Popolo Italiano anche loro, se non sbaglio. E il Popolo Italiano li ha "democraticamente" (con qualche legnata al tritolo, magari ...) votati e portati al governo più volte.
Se si compiacciono dell'auspicio attribuito al dott, Porcaro che si uniscano ad altre forze, perché no?
Per portarci In Europa, per altro, hanno fatto i salti mortali Amato e Prodi se non ricordo male ....
Secondo me bisogna vedere cosa intende Pasquinelli per democristiani. Non penso intenda dire i vecchi crociati alla Pomicino, alla Mannino e compagnia bella.
Da quello che ho capito per "democristiana" l'autore intende una posizione di comodo che cerchi di mettere d'accordo tutti (mi corregga l'autore se sbaglio).
Ma qua secondo me si stanno facendo i conti senza l'oste. Voglio dire: si dibatte sul parito o sul CLN, ma a prescindere dalle due forme, vi è una base programamtica gia definita? E' chiaro che il piano è l'uscita dall'Eurozona, ma si discute anche di una nuova costituente. Quali sono le idee in campo per questa costituente? Si vuole riscrivere l'articolo 1? Si vuole rinforzare il parlamentarismo? Si vuole cambiare l'assetto amministrativo?
Finchè si discute su questa base, finchè non si propone un programma, io ritengo che questi discorsi facciano il tempo che trovano.
La struttura fondamentale per un partito è un'idea che lo permea come una specie di anima. Senza ideologia non si va molto lontano, ma anche con un'ideologia, se non ci sono gli uomini giusti, le "teste", tutto può andare a finire in una bolla di sapone.
Guardando al passato italiano, il fascismo si vantava di avere un'idea, ma a dire il vero non era molto chiara a tutti gli adepti e neppure adesso si riuscirebbe a svelarla con limpidezza. Il comunismo aveva l'idea della "dittatura del proletariato" che, teoricamente sarebbe valida se tutti i proletari fossero la maggioranza. Forse fra non molto, a furia di tasse, lo diventeranno. Un partito "Contra euro" avrebbe l'idea di ripudiare l'euro ed uscire dall'Europa, perciò sarebbe più chiaro chiamarlo "Partito anti Europa unita"
Sull'onda del malcontento riuscirebbe a raccogliere una certa base popolare. Un obiettivo da raggiungere sarebbe quello di ripudiare i trattati capestro sui quali si è costruita e si sta costruendo un'Europa nata con i ceppi alle mani e ai piedi nonché un guinzaglio attorno al collo impugnato saldamrente sappiamo bene da chi. Il guaio è che il Mondo attuale ce l'ha ormai quasi anche lui un guinzaglio attorno al collo e si sa bene chi lo impugna,
PROGRAMMA
(13 settembre 2014 16:42)
Non ne facciamo colpa ai lettori se non sono al corrente delle proposte programmatiche del Mpl. Ma queste proposte le abbiamo, che se non le avessimo non ci saremmo costituti in Movimento politico.
Cos'è la sollevazione popolare? Il CL. Il Governo popolare d'emergenza. La disdetta dei tratti e l'uscita dall'euro. la sovranità. L'assemblea costituente....
Vedi ad esempio nella colonna di destra in home:
CARTA DEI PRINCIPI
Approvata dalla II. Assemblea nazionale del Mpl
MANIFESTO DEL M.P.L.
approvato dalla I. Assemblea
Non mi sono spiegato. Il vostro programma lo conosco e l'ho letto. Alcune cose le condivido le altre no. Ho letto anche il programma dell'Ars.
Quello che volevo sapere era: in questa assemblea costituente come penserete di trovar eun compromesso? Se nel CLN ci saranno ad esempio forze liberali e queste si opponessero al controllo dei capitali, quale soluzione di compromesso penserete di proporre, ad esempio?
DUNQUE...
Tappa n.1: costruire il Comitato di liberazione nazionale
Tappan.2: vincere, cacciando i quilisng al potere, disdettare i trattati europei e riprendere la sovranità
Tappa n. 3: il Cln, sperabilmente unito, formi un governo popolare d'emergenza che adotti misure straordinarie (le abbiamo altrove indicate)
Tappan. 4: rimesso in sicurezza il Paese, si apra quindi un'Assemblea costituente per riscrivere una nuova costituzione.
Speriamo di essere stati chiari.
Sembra che per alcuni di noi il termine proletario sia un termine sacro, religioso. Per me è un termine esecrabile, un'offesa alla dignità umana. LA CONDIZIONE PROLETARIA VA SUPERATA, DISTRUTTA, NON OSANNATA.
IL termine proletario non ha nulla di offensivo o dispregiativo. Per esempio i Palestinesi sono considerati proletari perché, come è tradizione dei poveri, fanno molti figli. Per questo spesso vengono "sfoltiti" sanguinosamente e ferocemente per diminuirne il ... numero e favorirne una più agevole "liquidazione". Un tempo, le classi agiate avevano scarsa prole (legittima) perché le "dame" avevano paura della maternità. La prole illegittima per queste classi era invece numerosa ma non aveva diritto a suddividere l'asse ereditario patrimoniale. Le classi "proletarie" avevano parecchi figli anche perché non avevano informazioni sui metodi anticoncezionali . Il "letto" era per loro l'unico passatempo.
Dire "proletari" oggi significa voler dire "coraggiosi" (o temerari) perché le retribuzioni da fame prospettano un avvenire molto insicuro, anzi preoccupante. I dittatori tipo Mussolini, favorivano i "proletari" con premi di natalità perché apprezzavano il concetto di "stirpe" oggi decisamente poco stimato (anzi: direi detestato dagli "internazionalisti").
In realtà, in natura e nelle culture storiche il "numero" è sempre significato forza e potenzialità di sopravvivenza. Anche in democrazia, se si vuole.
Anch'io trovo che l'esecrezione per il termine "proletario" sia sospetta: sa di preconcetto borghese.
Il proletariato, un tempo (ma ancor oggi in varie culture del Terzo Mondo") è caratterizzato dall'abbondanza di prole.
E che è un male questo? Per la Bibbia l'abbondanza di "discendenza" è un ineguagliabile dono di Dio ed anche per la "Natura" in generale. Con Malthus la musica cambia e l'abbondanza di prole viene considerata (data l'organizzaziione economica della società "moderna") un flagello. Basta considerare i programmi di sterminio dell'Agenda 21. In sostanza, ci sono molte persone (specie appartenenti a cassi agiate) che considerano una"colpa" dei coniugi il metter al mondo figli oltre lo strettissimo necessario) (uno o due). La politica "della Famiglia sta ricalcando i modello teorico dell'Agenda 21,
Che sia un bene o che sia un male è da discutere, ma già la disoccupazione in vertiginoso aumento è di marca "malthusiana". Così la scarnificazione del welfare sanitario e previdenziale. Stiamo diventando una specie che sta divorando sé stessa.
la prole non c'entra un fico secco!
Non fermatevi all'etimologia, provate a fare un passo avanti, ed a considerare la definzione sociologica, diciamo così moderna, che Karl Marx ha solo ripreso e fatto sua.
Proletaria è quella classe sociale composta da cittadini privi di mezzi di produzione, e la cui sola proprietà è solo la loro propria forza lavoro, e che per tirare a campare, dato che i mezzi di produzione sono capitale e sono monopolio della classe dei capitalisti, non hanno altra scelta che vendere al capitale la loro forza lavoro ad un dato prezzo, che corrisponde al loro salario.
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