«La MMT ci salverà dalla Grande Contrazione»?
L’America entrò nel XX secolo con un debito pubblico inferiore al 10% del Pil. Era salito appena al 16% nel 1929. Ma era balzato al 120% del Pil durante la seconda guerra mondiale. Per poi scendere al 32% nel 1974 alla vigilia del primo shock petrolifero. Trovare un nesso causale fra questi livelli di debito pubblico così disparati e la performance economica – in termini di sviluppo, lavoro, benessere – è impossibile. Perché allora il debito pubblico è diventato (vedi Grecia) l’oggetto di culto prediletto nel “feticismo delle cifre” che ci soggioga?
Le grandi crisi partoriscono grandi idee. Così fu dopo il crac del 1929 e la Depressione. Per uscirne, l’Occidente usò il pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell’economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L’eurozona sprofonda nella sua seconda recessione in tre anni. Gli Stati Uniti malgrado la ripresa in atto pagano ancora i prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione iniziata nel 2008 (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall’America una nuova teoria s’impone all’attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l’ambizione di essere la vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo. Ha la certezza di poter trainare l’Occidente fuori da questa crisi. A patto che i governi si liberino di ideologie vetuste, inadeguate e distruttive. E’ una rivoluzione copernicana, il cui alfiere porta un cognome celebre: James K.Galbraith, docente di Public Policy all’università del Texas e consigliere “eretico” di Barack Obama, è figlio di uno dei più celebri economisti americani, quel John Kenneth Galbraith che fu grande studioso della Depressione e consulente di John Kennedy.
Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. E’ un attacco frontale all’ortodossia vigente. Sfida l’ideologia imperante in Europa, che i “rivoluzionari” della Modern Monetary Theory (o Mmt) considerano alla stregua di un vero oscurantismo. Quel che accade in questi giorni a Roma e Atene, l’austerity imposta dalla Germania, per i teorici della Mmt non è soltanto sbagliata nei tempi (è pro-ciclica: perché taglia potere d’acquisto nel bel mezzo di una recessione), ma è concettualmente assurda.
Un semplice esercizio mette a nudo quanto ci sia di “religioso” nella cosiddetta saggezza convenzionale degli economisti. Qualcuno ha provato a interrogare i tecnocrati del Fmi, della Commissione Ue e della Banca centrale europea, per capire da quali Tavole della Legge abbiano tratto alcuni numeri “magici”. Perché il deficit pubblico nel Trattato di Maastricht non doveva superare il 3% del Pil? Perché nel nuovo patto fiscale dell’eurozona lo stesso limite è stato ridotto a 0,5% del Pil? Chi ha stabilito che il debito pubblico totale diventa insostenibile sotto una soglia del 60% oppure (a seconda delle fonti) del 120% del Pil? Quali prove empiriche stanno dietro l’imposizione di questa cabala di cifre? Le risposte dei tecnocrati sono evasive, o confuse.
La Teoria Monetaria Moderna fa a pezzi questa bardatura di vincoli calati dall’alto, la considera ciarpame ideologico. La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è questa: non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita, passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora.
Se è così, stiamo sbagliando tutto. Proprio come il presidente americano Herbert Hoover sbagliò drammaticamente la risposta alla Grande Depressione, quando cercò di rimettere il bilancio in pareggio a colpi di tagli (stesso errore che fece Franklin Roosevelt nel 1937 con esiti nefasti). Il “nuovo Keynes” oggi non è un profeta isolato. Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi, ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca di cervelli e di think tank. Così come la destra reaganiana ebbe il suo pensatoio nell’Università di Chicago (dove regnava negli anni Settanta il Nobel dell’economia Milton Friedman), oggi l’equivalente “a sinistra” sono la University of Missouri a Kansas City, il Bard College nello Stato di New York, il Roosevelt Institute di Washington. Oltre a Galbraith Jr., tra gli esponenti più autorevoli di questa dottrina figura il “depositario” storico dell’eredità keynesiana, Lord Robert Skidelsky, grande economista inglese di origine russa nonché biografo di Keynes. Fra gli altri teorici della Mmt ci sono Randall Wray, Stephanie Kelton, l’australiano Bill Mitchell. Non sono una corrente marginale; tra i loro “genitori” spirituali annoverano Joan Robinson e Hyman Minsky. Per quanto eterodossi, questi economisti sono riusciti a conquistarsi un accesso alla Casa Bianca. Barack Obama consultò Galbraith Jr. prima di mettere a punto la sua manovra di spesa pubblica pro-crescita, così come fece la democratica Nancy Pelosi quando era presidente della Camera. Ma la vera forza della nuova dottrina viene dai blog. The Daily Beast, New Deal 2.0, Naked Capitalism, Firedoglake, sono tra i blog che ospitano l’elaborazione del pensiero alternativo. Hanno conquistato milioni di lettori: è una conferma di quanto ci sia sete di terapie nuove, e quanto sia screditato il “pensiero unico”.
La Teoria Monetaria Moderna è ben più radicale del pensiero “keynesiano di sinistra” al quale siamo abituati. Perfino due economisti noti nel mondo intero come l’ala radicale che critica Obama da sinistra, cioè i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, vengono scavalcati dalla Mmt. Stephanie Kelton, la più giovane nella squadra, ha battezzato una nuova metafora…ornitologica. Da una parte ci sono i “falchi” del deficit: come Angela Merkel, le tecnocrazie (Fmi, Ue), e tutti quegli economisti schierati a destra con il partito repubblicano negli Stati Uniti, decisi a ridurre ferocemente le spese. Per loro vale la falsa equivalenza tra il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia, che non deve vivere al di sopra dei propri mezzi: un paragone che non regge, una vera assurdità dalle conseguenze tragiche secondo la Mmt. Poi ci sono le “colombe” del deficit, i keynesiani come Krugman e Stiglitz. Questi ultimi contestano l’austerity perché la giudicano intempestiva (i tagli provocano recessione, la recessione peggiora i debiti), però hanno un punto in comune con i “falchi”: anche loro pensano che a lungo andare il debito crea inflazione, soprattutto se finanziato stampando moneta, e quindi andrà ridotto appena possibile. Il terzo protagonista sono i “gufi” del deficit. Negli Stati Uniti come nell’antica Grecia il gufo è sinonimo di saggezza. I “gufi”, la nuova scuola della Mmt, ritengono che il pericolo dell’inflazione sia inesistente. Secondo Galbraith Jr. “l’inflazione è un pericolo vero solo quando ci si avvicina al pieno impiego, e una situazione del genere si verificò in modo generalizzato nella prima guerra mondiale”. Di certo non oggi. Il deficit pubblico nello scenario odierno è soltanto benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche centrali: comprando senza limiti i titoli di Stato emessi dai rispettivi governi. Ben più di quanto hanno iniziato a fare Ben Bernanke (Fed) e Mario Draghi (Bce), questa leva monetaria va usata in modo innovativo, spregiudicato: l’esatto contrario di quanto sta avvenendo in Europa.
di Federico Rampini*
Siamo alle porte del "grande evento". Promosso da Paolo Barnard, dal 24 al 26 febbraio, si svolgerà a Rimini l'atteso SummitModern Money Theory 2012.
Venerdì pubblicheremo un pezzo in cui spieghiamo perché la Teoria Monetaria Moderna non ci convince, a partire dal concetto di denaro che essa sottende. Ci pare importante tuttavia discuterne seriamente. Per questo offriamo ai lettori un intervento della nota penna obamiana di Repubblica il quale, pur se con piccole sbavature, spiega cos'è la MMT e chi sono i suoi teorici.
Le grandi crisi partoriscono grandi idee. Così fu dopo il crac del 1929 e la Depressione. Per uscirne, l’Occidente usò il pensiero di John Maynard Keynes, scoprì un ruolo nuovo per lo Stato nell’economia, inventò le politiche sociali del New Deal e la costruzione del moderno Welfare State. Oggi siamo daccapo. L’eurozona sprofonda nella sua seconda recessione in tre anni. Gli Stati Uniti malgrado la ripresa in atto pagano ancora i prezzi sociali elevatissimi della Grande Contrazione iniziata nel 2008 (almeno 15 milioni di disoccupati). Ma dall’America una nuova teoria s’impone all’attenzione. Si chiama Modern Monetary Theory, ha l’ambizione di essere la vera erede del pensiero di Keynes, adattato alle sfide del XXI secolo. Ha la certezza di poter trainare l’Occidente fuori da questa crisi. A patto che i governi si liberino di ideologie vetuste, inadeguate e distruttive. E’ una rivoluzione copernicana, il cui alfiere porta un cognome celebre: James K.Galbraith, docente di Public Policy all’università del Texas e consigliere “eretico” di Barack Obama, è figlio di uno dei più celebri economisti americani, quel John Kenneth Galbraith che fu grande studioso della Depressione e consulente di John Kennedy.
Il nuovo Verbo che sconvolge i dogmi degli economisti, assegna un ruolo benefico al deficit e al debito pubblico. E’ un attacco frontale all’ortodossia vigente. Sfida l’ideologia imperante in Europa, che i “rivoluzionari” della Modern Monetary Theory (o Mmt) considerano alla stregua di un vero oscurantismo. Quel che accade in questi giorni a Roma e Atene, l’austerity imposta dalla Germania, per i teorici della Mmt non è soltanto sbagliata nei tempi (è pro-ciclica: perché taglia potere d’acquisto nel bel mezzo di una recessione), ma è concettualmente assurda.
Un semplice esercizio mette a nudo quanto ci sia di “religioso” nella cosiddetta saggezza convenzionale degli economisti. Qualcuno ha provato a interrogare i tecnocrati del Fmi, della Commissione Ue e della Banca centrale europea, per capire da quali Tavole della Legge abbiano tratto alcuni numeri “magici”. Perché il deficit pubblico nel Trattato di Maastricht non doveva superare il 3% del Pil? Perché nel nuovo patto fiscale dell’eurozona lo stesso limite è stato ridotto a 0,5% del Pil? Chi ha stabilito che il debito pubblico totale diventa insostenibile sotto una soglia del 60% oppure (a seconda delle fonti) del 120% del Pil? Quali prove empiriche stanno dietro l’imposizione di questa cabala di cifre? Le risposte dei tecnocrati sono evasive, o confuse.
La Teoria Monetaria Moderna fa a pezzi questa bardatura di vincoli calati dall’alto, la considera ciarpame ideologico. La sua affermazione più sconvolgente, ai fini pratici, è questa: non ci sono tetti razionali al deficit e al debito sostenibile da parte di uno Stato, perché le banche centrali hanno un potere illimitato di finanziare questi disavanzi stampando moneta. E non solo questo è possibile, ma soprattutto è necessario. La via della crescita, passa attraverso un rilancio di spese pubbliche in deficit, da finanziare usando la liquidità della banca centrale. Non certo alzando le tasse: non ora.
Se è così, stiamo sbagliando tutto. Proprio come il presidente americano Herbert Hoover sbagliò drammaticamente la risposta alla Grande Depressione, quando cercò di rimettere il bilancio in pareggio a colpi di tagli (stesso errore che fece Franklin Roosevelt nel 1937 con esiti nefasti). Il “nuovo Keynes” oggi non è un profeta isolato. Galbraith Jr. è solo il più celebre dei cognomi, ma la Mmt è una vera scuola di pensiero, ricca di cervelli e di think tank. Così come la destra reaganiana ebbe il suo pensatoio nell’Università di Chicago (dove regnava negli anni Settanta il Nobel dell’economia Milton Friedman), oggi l’equivalente “a sinistra” sono la University of Missouri a Kansas City, il Bard College nello Stato di New York, il Roosevelt Institute di Washington. Oltre a Galbraith Jr., tra gli esponenti più autorevoli di questa dottrina figura il “depositario” storico dell’eredità keynesiana, Lord Robert Skidelsky, grande economista inglese di origine russa nonché biografo di Keynes. Fra gli altri teorici della Mmt ci sono Randall Wray, Stephanie Kelton, l’australiano Bill Mitchell. Non sono una corrente marginale; tra i loro “genitori” spirituali annoverano Joan Robinson e Hyman Minsky. Per quanto eterodossi, questi economisti sono riusciti a conquistarsi un accesso alla Casa Bianca. Barack Obama consultò Galbraith Jr. prima di mettere a punto la sua manovra di spesa pubblica pro-crescita, così come fece la democratica Nancy Pelosi quando era presidente della Camera. Ma la vera forza della nuova dottrina viene dai blog. The Daily Beast, New Deal 2.0, Naked Capitalism, Firedoglake, sono tra i blog che ospitano l’elaborazione del pensiero alternativo. Hanno conquistato milioni di lettori: è una conferma di quanto ci sia sete di terapie nuove, e quanto sia screditato il “pensiero unico”.
La Teoria Monetaria Moderna è ben più radicale del pensiero “keynesiano di sinistra” al quale siamo abituati. Perfino due economisti noti nel mondo intero come l’ala radicale che critica Obama da sinistra, cioè i premi Nobel Paul Krugman e Joseph Stiglitz, vengono scavalcati dalla Mmt. Stephanie Kelton, la più giovane nella squadra, ha battezzato una nuova metafora…ornitologica. Da una parte ci sono i “falchi” del deficit: come Angela Merkel, le tecnocrazie (Fmi, Ue), e tutti quegli economisti schierati a destra con il partito repubblicano negli Stati Uniti, decisi a ridurre ferocemente le spese. Per loro vale la falsa equivalenza tra il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia, che non deve vivere al di sopra dei propri mezzi: un paragone che non regge, una vera assurdità dalle conseguenze tragiche secondo la Mmt. Poi ci sono le “colombe” del deficit, i keynesiani come Krugman e Stiglitz. Questi ultimi contestano l’austerity perché la giudicano intempestiva (i tagli provocano recessione, la recessione peggiora i debiti), però hanno un punto in comune con i “falchi”: anche loro pensano che a lungo andare il debito crea inflazione, soprattutto se finanziato stampando moneta, e quindi andrà ridotto appena possibile. Il terzo protagonista sono i “gufi” del deficit. Negli Stati Uniti come nell’antica Grecia il gufo è sinonimo di saggezza. I “gufi”, la nuova scuola della Mmt, ritengono che il pericolo dell’inflazione sia inesistente. Secondo Galbraith Jr. “l’inflazione è un pericolo vero solo quando ci si avvicina al pieno impiego, e una situazione del genere si verificò in modo generalizzato nella prima guerra mondiale”. Di certo non oggi. Il deficit pubblico nello scenario odierno è soltanto benefico, a condizione che venga finanziato dalle banche centrali: comprando senza limiti i titoli di Stato emessi dai rispettivi governi. Ben più di quanto hanno iniziato a fare Ben Bernanke (Fed) e Mario Draghi (Bce), questa leva monetaria va usata in modo innovativo, spregiudicato: l’esatto contrario di quanto sta avvenendo in Europa.
* Fonte: republica blog
4 commenti:
Sotto la sigla di questa nuova teoria ( Modern Money Theory ) viene controbandata una sciocchezza enorme quanto la massa di carta moneta o elettronica immessa nei circuiti finanziari.
Tutti sappiamo che se si aumenta il rapporto tra la massa monetaria immessa in circolazione e il valore delle merci e beni presenti sul mercato si va incontro ad una inflazione tanto più grande quanto maggiore è questa massa cartacea.
L’affermazione che non bisogna temere l’inflazione finché l’economia non si avvicina al pieno impiego dei fattori produttivi è solo una espressione senza senso e serve ad ignorare che non tutta la massa di moneta immessa, nei modi più disparati, sul mercato ha prodotto la corrispondente e necessaria quantità di valore e plusvalore previsto dal sistema.
Le attività economiche finanziate, nella prospettiva che andassero a buon fine e completassero il circuito D-M-D’ , si sono bloccate prima che il circuito arrivasse a produrre il valore ed il plusvalore richiesto per buon esito del finanziamento.
Le banche hanno dato una convalida sociale anticipata al risultato finale del finanziamento promosso, dando per scontato che il ciclo capitalistico si compisse regolarmente, però in effetti alla fine non hanno visto il ritorno delle somme prestate.
I finanziamenti dati, utilizzati per avviare attività produttive, si sono bloccati al primo passaggio del ciclo( D-M) e si sono trasformati in consumi di beni e servizi improduttivi di nuovo valore e plusvalore, avendo dovuto de facto constatare che la situazione di sovrapproduzione non consentiva loro vendite ai valori previsti, che ormai le nuove tecnologie hanno ridotto notevolmente su tutti i mercati mondiali.
Secondo la loro logica le banche rivendicano il rimborso di quanto anticipato, ma le imprese cui il finanziamento è stato destinato sono fallite e a catena sono fallite anche loro.
Ma le banche vogliono rimuovere questa realtà, esse in fondo hanno nelle loro mani i titoli cartacei dei crediti concessi e cercano in qualche modo di riportarli in vita.
Infatti, camuffando i titoli inesigibili, hanno inventato nuovi titoli di varia natura che hanno venduto ad altri come se fossero ancora riscuotibili.
Li hanno ceduti ad altre banche minori, a risparmiatori di diverso livello, a Fondi pensioni ed assicurazioni, che per ingenuità o complicità li hanno comprati ed esposti nei loro bilanci determinando un deficit che ha portato molti di loro alla bancarotta.
Ma la massa più grande è stata affibbiata agli Stati che, con dubbie giustificazioni di politica economica e finanziaria, si sono accollati molti di questi debiti spostando così le perdite dalle imprese capitalistiche ai Bilanci pubblici, che poi significa ai cittadini dei vari stati, i “veri pagatori di ultima istanza”.
Ora spuntano fuori Nuove teorie che dovrebbero servire a convincere gli allocchi che tutto va per il meglio e che non bisogna aver paura perché ci sono i tecnici che sono “intelligenti “e hanno capito tutto.
Come sostenevano gli economisti classici e come attualmente affermano i marxisti neosmithiani (G. Arrighi, Adam Smiti a Pechino pag. 84-86) lo sviluppo del capitalismo ha il suo limite invalicabile nei rendimenti decrescenti del fattore Terra o se si preferisce nei suoi costi crescenti. Questi costi crescenti stanno raggiungendo il loro asintoto (Wallerstein) e stanno già ora incominciando a dispiegare tutti i loro devastanti effetti sul sistema finanziario occidentale, che si basa proprio sull’aspettativa di una disponibilità illimitata e a basso costo del fattore Terra (in particolare dell'energia fossile che ha alimentato per più di un secolo lo sviluppo del capitalismo) , e , a breve, destabilizzeranno in maniera irreversibile la stessa struttura portante del capitalismo globalizzato. Il paradigma economico dominante sarà impotente a fronteggiare l'evento e niente potranno fare i Keynesiani di qualsiasi scuola, compresi i cultori della MMT.
Le loro teorie si scontrano infatti con un dato granitico. L’occidente è in evidente crisi da sovraproduzione o forse più correttamente da sovraaccumulazione. L’unica maniera di far andare avanti l’economia occidentale è stata quindi quella di favorire espansione smisurata dell’indebitamento privato, in presenza di consumatori - lavoratori con redditi decrescenti a causa delle delocalizzazioni produttive, nonchè favorire l’iperfinanziarizzazione del sistema economico con profitti inifinitamente più elevati di quelli provenienti dall'economia reale. I rendimenti decrescenti del fattore terra (energia fossile in particolare) manifestatisi per la prima volta platealmente nel 2008 hanno semplicemente messo fine al gioco, per sempre. Nei paesi emergenti, invece, che sono ancora in piena accumulazione capitalistica i costi crescenti del fattore Terra non costituiscono ancora un freno alla crescita economica perchè il costo del lavoro e il costo dello stato sociale non hanno ancora raggiunto i loro asintoti (Wallerstein) e pertanto permettono ancora una crescita sostenuta. Tra qualche anno anche loro si fermeranno anche perchè tra qualche anno i costi del fattore Terra (sopratutto dell'energia fossile) saranno veramente proibitivi. Il 2013 sarà molto probabilmente l’anno in cui si manifesteranno i segni inequivocabili del collasso sistemico, sopratutto del capitalismo americano. Prepariamoci allo spettacolo.
"Tutti sappiamo che se si aumenta il rapporto tra la massa monetaria immessa in circolazione e il valore delle merci e beni presenti sul mercato si va incontro ad una inflazione tanto più grande quanto maggiore è questa massa cartacea"
Semplicemente non è vero. Il motivo lo illustra bene questa breve storia:
LA PARABOLA DELLE TRE ZAPPE E DEI CINQUE ZAPPATORI
In una nazione ci sono cinque zappatori ma solo tre zappe. Ci sono però cinque campi coltivabili di un ettaro ciascuno, e ciascun campo coltivabile può rendere in quantità di centomila prodotti agricoli l'anno. Guarda caso la massima capacità lavorativa teorica prevista per ciascuno zappatore è di un ettaro di campo coltivabile in un anno. Cioè ogni zappatore ha la capacità di arare e seminare per un ettaro di campo coltivabile all'anno.
Quindi c'è il problema che purtroppo mancano due zappe. La Teoria Monetaria Moderna afferma che lo STATO può creare dal nulla il denaro che serve per acquistare le due zappe mancanti di modo tale che anche i due zappatori che ne sono privi ora possano lavorare.
Arrivati a questo punto, gli economisti neoclassici incominciano a sbraitare: "ma se lo stato stampa e crea le due zappe (perché in ultima analisi in questo modo crea le due zappe) ecco che si genera inflazione!!!" Fulmini e saette!!!
La Teoria Monetaria Moderna invece afferma che in questo caso non si crea inflazione, per il semplice fatto che aumenta la produzione. Se i campi agricoli prima rendevano per trecentomila prodotti agricolo all'anno, ora rendono per cinquecentomila prodotti agricoli l'anno.
Sicché, per la legge della domanda e dell'offerta, alla maggiore disponibilità di moneta così creata corrisponde una maggiore offerta produttiva e pertanto ambedue si pareggiano.
Approvo il commento. Purtroppo ogni crisi profonda porta con sé i germi di una nuova generazione intellettuale. La posizione secondo cui la moneta è creazione dello stato e non creazione del mercato dimentica che la popolazione per quanto ottusa, psicologicamente refrattaria a valutazioni razionali, aperta a teorizzazioni illogiche e chiusa alla verità sceglierà sempre quelle monete scelte dal mercato come l'oro e l'argento. I metalli preziosi non dovrebbero crescere di prezzo, perché il loro incremento nel prezzo significa una pessima performance dell'economia.
Invito alla lettura del mio blog polimatico.
www.libeypolymath.com
Stefano Libey
Posta un commento