Art. 18: come volevasi dimostrare...
e anche peggio
di Piemme
Nell'intervista telecomandata di ieri a repubblica.it Monti, così almeno dicono i giornali di oggi, si è visto obbligato a fare retromarcia sulla battuta più antipopolare degli ultimi tempi. In realtà Monti non ha fatto alcuna retromarcia. Ecco infatti come ha rideclinato la cosa: «Il posto fisso monotono, presa fuori dal contesto può prestarsi a un equivoco, io dico che i giovani devono abituarsi all'idea di non avere un posto con lo stesso datore di lavoro e la stessa sede per tutta la vita».
Monti non ha fatto autocritica per la semplice ragione che è un liberista. Quella per cui la forza lavoro è una merce il cui solo scopo è valorizzare il capitale non è un'idea, ma un dogma, venendo meno il quale, semplicemente non avremmo il pensiero liberista. Ma va bene così. Bastava andare in giro ieri ad ascoltare a caldo le opinioni di tanti giovani per rendersi conto che il signor Monti, Sua Maestà Monotonia fatta persona, si è bruciato quel minimo di credibilità che aveva come Salvatore della patria.
E siccome i diritti del Capitale vengono primi di quelli umani del lavoratore, siccome Monti è un liberista tutto di un pezzo, Egli non poteva smentirsi sulla questione dell'Art. 18. Malgrado gli stessi industriali gli abbiano detto che la questione non è affatto così dirimente e che non vale la pena litigare con la Cgil sulla questione del licenziamento per giusta causa, il Presidente del Consiglio, non solo ha ribadito che questo non è un tabù, ha affermato, coprendo le spalle alla Fornero, che il governo è deciso ad andare avanti, ovvero a cancellare l'Art. 18. Roberto Giovannini, su La Stampa di oggi spiega così la cosa: «E' più o meno la tesi tradizionale del pensiero liberista; non certo una novità per il professore Monti. Sono anche le tesi sempre sostenute dal centro-destra e da Silvio Berlusconi. ma ovviamente sono un boccone amaro per la sinistra sindacale e politica e indirettamente per il Partito democratico, sempre più in imbarazzo».
Ben detto! Non sarà facile a Pd e Cgil continuare a stampellare il governo dopo questa "coltellata alla schiena". Viene il sospetto che questa sia solo un tassello di un disegno politico, quello non solo di mettere all'anagolo la Cgil, ma di accentuare le divisioni interne del Pd, non per sfasciarlo, ma per portare un colpo letale alla sua ala "sinistra".
Tuttavia c'è un'altra chiave di lettura, che non stride affatto con la prima.
Sentite come Monti ha giustificato l'abolizione dell'Art. 18: «... scoraggia gli investimenti di capitali stranieri ma anche italiani». Un angolo visuale che alcuni forse avranno considerato quanto meno bizzarro. Invece no. Invece vale la pena farci la mente locale.
Non avevamo detto che Monti era il "curatore fallimentare", il Quisling portato al potere da un golpe della finanza globale affinché l'Italia si adeguasse, anzitutto, alle direttive tedesche? La frase di Monti è rivelatrice. Non è un caso che essa viene dopo il Vertice europeo del 30 gennaio, in cui poco si è combinato di davvero decisivo, ma nel quale i tedeschi debbono aver detto a Monti che se vuole un appoggio della Germania, l'Italia, deve essere disposta a vendere alcuni gioielli di famiglia, far scalare aziende private e pubbliche, il tutto in nome della liberistica "apertura dei mercati" e della "libera circolazione dei capitali".
Quand'era Prodi a spacchettare l'IRI, quando i predecessori di Monti dovevano, D'Alema e Amato in primis, svendere a prezzi di saldo le aziende di Stato, si trattava semmai di fare uno spezzatino, di "risanarle" (col consenso sindacale) a suon di tagli degli esuberanti, aper consegnarle ai soliti noti pescecani italiani. Adesso la posta in palio è più grossa, adesso, se si vuole che L'Unione europea e il Fmi giungano in soccorso della sgangherata italietta oberata dai debiti, occorre far entrare i ladri in casa, non solo senza opporre resistenza, ma aprendo le porte e disattivando gli allarmi.
Il tutto per dire che la questione dell'Art. 18 non tira in ballo soltanto un sacrosanto, per quanto oramai solo simbolico, diritto sindacale dei lavoratori salariati. C'è questo, ed è molto, ma c'è dietro anche, volendo considerare l'Italia un'azienda, chi siano i principali azionisti. Detto in soldoni il controllo effettivo, pur con una manciata del pacchetto azionario, della proprietà.
E se siamo giunti a questo punto è solo dopo che i tedeschi hanno occupato Palazzo Chigi, imponendo, col beneplacito di Napolitano, Mario Monti a Presidente del consiglio.
Il tutto in nome dell'idolo dell'Europa e dello spauracchio del default.
e anche peggio
di Piemme
Nell'intervista telecomandata di ieri a repubblica.it Monti, così almeno dicono i giornali di oggi, si è visto obbligato a fare retromarcia sulla battuta più antipopolare degli ultimi tempi. In realtà Monti non ha fatto alcuna retromarcia. Ecco infatti come ha rideclinato la cosa: «Il posto fisso monotono, presa fuori dal contesto può prestarsi a un equivoco, io dico che i giovani devono abituarsi all'idea di non avere un posto con lo stesso datore di lavoro e la stessa sede per tutta la vita».
Monti non ha fatto autocritica per la semplice ragione che è un liberista. Quella per cui la forza lavoro è una merce il cui solo scopo è valorizzare il capitale non è un'idea, ma un dogma, venendo meno il quale, semplicemente non avremmo il pensiero liberista. Ma va bene così. Bastava andare in giro ieri ad ascoltare a caldo le opinioni di tanti giovani per rendersi conto che il signor Monti, Sua Maestà Monotonia fatta persona, si è bruciato quel minimo di credibilità che aveva come Salvatore della patria.
E siccome i diritti del Capitale vengono primi di quelli umani del lavoratore, siccome Monti è un liberista tutto di un pezzo, Egli non poteva smentirsi sulla questione dell'Art. 18. Malgrado gli stessi industriali gli abbiano detto che la questione non è affatto così dirimente e che non vale la pena litigare con la Cgil sulla questione del licenziamento per giusta causa, il Presidente del Consiglio, non solo ha ribadito che questo non è un tabù, ha affermato, coprendo le spalle alla Fornero, che il governo è deciso ad andare avanti, ovvero a cancellare l'Art. 18. Roberto Giovannini, su La Stampa di oggi spiega così la cosa: «E' più o meno la tesi tradizionale del pensiero liberista; non certo una novità per il professore Monti. Sono anche le tesi sempre sostenute dal centro-destra e da Silvio Berlusconi. ma ovviamente sono un boccone amaro per la sinistra sindacale e politica e indirettamente per il Partito democratico, sempre più in imbarazzo».
Ben detto! Non sarà facile a Pd e Cgil continuare a stampellare il governo dopo questa "coltellata alla schiena". Viene il sospetto che questa sia solo un tassello di un disegno politico, quello non solo di mettere all'anagolo la Cgil, ma di accentuare le divisioni interne del Pd, non per sfasciarlo, ma per portare un colpo letale alla sua ala "sinistra".
Tuttavia c'è un'altra chiave di lettura, che non stride affatto con la prima.
Sentite come Monti ha giustificato l'abolizione dell'Art. 18: «... scoraggia gli investimenti di capitali stranieri ma anche italiani». Un angolo visuale che alcuni forse avranno considerato quanto meno bizzarro. Invece no. Invece vale la pena farci la mente locale.
Non avevamo detto che Monti era il "curatore fallimentare", il Quisling portato al potere da un golpe della finanza globale affinché l'Italia si adeguasse, anzitutto, alle direttive tedesche? La frase di Monti è rivelatrice. Non è un caso che essa viene dopo il Vertice europeo del 30 gennaio, in cui poco si è combinato di davvero decisivo, ma nel quale i tedeschi debbono aver detto a Monti che se vuole un appoggio della Germania, l'Italia, deve essere disposta a vendere alcuni gioielli di famiglia, far scalare aziende private e pubbliche, il tutto in nome della liberistica "apertura dei mercati" e della "libera circolazione dei capitali".
Quand'era Prodi a spacchettare l'IRI, quando i predecessori di Monti dovevano, D'Alema e Amato in primis, svendere a prezzi di saldo le aziende di Stato, si trattava semmai di fare uno spezzatino, di "risanarle" (col consenso sindacale) a suon di tagli degli esuberanti, aper consegnarle ai soliti noti pescecani italiani. Adesso la posta in palio è più grossa, adesso, se si vuole che L'Unione europea e il Fmi giungano in soccorso della sgangherata italietta oberata dai debiti, occorre far entrare i ladri in casa, non solo senza opporre resistenza, ma aprendo le porte e disattivando gli allarmi.
Il tutto per dire che la questione dell'Art. 18 non tira in ballo soltanto un sacrosanto, per quanto oramai solo simbolico, diritto sindacale dei lavoratori salariati. C'è questo, ed è molto, ma c'è dietro anche, volendo considerare l'Italia un'azienda, chi siano i principali azionisti. Detto in soldoni il controllo effettivo, pur con una manciata del pacchetto azionario, della proprietà.
E se siamo giunti a questo punto è solo dopo che i tedeschi hanno occupato Palazzo Chigi, imponendo, col beneplacito di Napolitano, Mario Monti a Presidente del consiglio.
Il tutto in nome dell'idolo dell'Europa e dello spauracchio del default.
3 commenti:
lento e inesorabile passaggio da stato democratico a colonia.....
i tedechi perdono le guerre ma vincono le paci..
Il capitalismo non ha alcun interesse specifico per cosa e come si produce.
La finalità ultima del processo capitalistico, non è né produrre un prodotto (cioè un valore d’uso) né semplice merce (cioè un prodotto dotato di un valore di scambio) ma è il PLUSVALORE (lavoro non pagato all’operaio o pluslavoro, e quindi saggio di sfruttamento della forza-lavoro)
La politica,non c'entra proprio nulla con la crisi che viviamo, essa è sempre stata subalterna agli interessi del grande capitale.
Si deindustrializza, si delocalizza quindi, perchè i tassi di sfruttamento e quindi di Plusvalore sono maggiori in paesi come Cina, India, Turchia, Vietnam ecc. perchè li vi sono condizioni di sfruttamento bestiale. La politica borghese, può solo prendere atto dell'opportunità offerta alla grande borghesia dalla globalizzazione,e illudere, ipnotizzare noi cittadini, con parole come "i mercati chiedono","i mercati esigono".
Almeno il bunga bunga, era più sincero, quando diceva, ARRANGIATEVI!
Morale finale: la politica neoliberista di Monti, vuole operare un cambiamento radicale e strutturale della società italiana, soprattutto dal lato delle condizioni della riproduzione della forza-lavoro e della sua organizzazione per lo sfruttamento senza vincoli.
Il problema grosso, è che i salariati, il neoproletariato, manca di una sua ORGANIZZAZIONE POLITICA.
La sinistra parlamentare, è subdolamente prona al dettato affaristico/politico dell'europa dell'euro.
Saluti
Vento...Rosso
http://diciottobrumaio.blogspot.com/2012/01/banalita-di-base-2.html
«La finalità ultima del processo capitalistico, non è né produrre un prodotto (cioè un valore d’uso) né semplice merce (cioè un prodotto dotato di un valore di scambio) ma è il PLUSVALORE (lavoro non pagato all’operaio o pluslavoro, e quindi saggio di sfruttamento della forza-lavoro)».
Già, ma nessun fine si raggiunge senza mezzi. Il capitale non raggiungerebbe il suo scopo, la sua propria valorizzazione se non producendo, assieme, valore d'uso e di scambio. Il fine non è separabile dai mezzi.
... ça va sans dire.
Il punto è afferrare il punto critico oltre il quale il capitale puramente finanziario (parassitario), qui da noi anzitutto, ha sussunto (negli ultimi decenni) tutte le altre forme di capitale, subordinandosele a sé. Captazione di plusvalore senza creare plusvalore....
Come intuì Marx nei Grundrisse: il valore di scambio ha questa peculiarità, la tendenza ad autonomizzarsi, a porsi nella sua forma chimicamente pura della rendita.
Ciò che ha causato un mutamento nella composizione interna alla classe dominante e, di converso, in quella oppressa. Sia da un lato che dall'altro, hainoi, dominanti sono i settori che non creano plusvalore.
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