Da Istat ed Inps gli ultimi dati su un Paese alla deriva
di Leonardo Mazzei*
Un autentico disastro sociale è in corso. Naturalmente il «partito degli ottimisti» non lo ammetterà mai, naturalmente gli uomini del governo hanno già le loro interpretazioni rassicuranti, naturalmente per quelli della finta opposizione il problema è sempre e solo Berlusconi, ma i dati diffusi nei giorni scorsi da Istat ed Inps parlano chiaro. In Italia la povertà è in crescita, e mentre la disoccupazione giovanile è ormai alle stelle, per gli anziani si prospetta un futuro (vedi i dati sulle pensioni) sempre più nero.
Esagerazioni? No, basta esaminare i numeri nella loro crudezza. Numeri ancora più drammatici se analizzati in prospettiva. Numeri che ci parlano di un futuro insostenibile per il grosso delle classi popolari, specie se passerà la linea dei sacrifici «europei» per la riduzione del debito pubblico. Questa linea non ha oggi oppositori né a destra né nel centrosinistra, mentre di tutto si parla, nei media come nel cosiddetto «dibattito politico», tranne che della gravità della situazione sociale.
Come hanno scritto gli «indignados» spagnoli in un loro cartello: «Il capitalismo non funziona». Un modo sintetico di dire che la crisi è tutt'altro che risolta, che anzi i suoi effetti sociali devono ancora dispiegarsi, che né le oligarchie dominanti né la classe politica al servizio hanno la benché minima idea su come uscirne.
Ma veniamo ai numeri. I dati diffusi dall'Istat ci dicono che 15 milioni di persone si trovano in condizioni di povertà. Si tratta di un quarto della popolazione italiana (per l'esattezza il 24,7%). Si tratta - precisa l'Istat - di famiglie che vivono in condizioni di deprivazione, che non riescono a far fronte a spese impreviste, anche se di modesta entità, che restano morose nel pagamento delle bollette o del mutuo, che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa nei mesi invernali.
Il peggioramento generale delle condizioni economiche emerge chiaramente dal dato sui risparmi delle famiglie, calato nel 2010 del 12,1% rispetto all'anno precedente. Una dinamica facilmente spiegabile alla luce di un altro dato, quello sul potere d'acquisto, calato del 3,5% nel 2009 e di un ulteriore 0,5% nel 2010. Giova ricordare che questi dati sono soltanto delle medie che, viste le gigantesche diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, contengono larghe fasce popolari che hanno visto un crollo del potere d'acquisto (e dunque non parliamo dei "risparmi") ben più grave.
Sta di fatto - segnala l'Istituto di statistica - che, sempre nel 2010, il 16,2% delle famiglie ha dovuto contrarre debiti, mentre la percentuale di quanti sono impossibilitati a far fronte ad una spesa imprevista di soli 800 euro è pari al 33,3%. Le famiglie in arretrato nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, ecc.) sono l'11,1%, mentre quelle che dichiarano di non potersi permettere neppure una settimana di ferie lontano da casa sono addirittura il 40%.
E' esagerato, alla luce di queste cifre, parlare di disastro sociale? Non ci pare proprio. Ma se il presente è questo, il futuro per milioni di persone si chiama Inps, cioè pensioni. E proprio nei giorni scorsi l'Inps ha presentato i dati del 2010. Numeri che parlano da soli: oltre la metà delle pensioni Inps (50,8%) non raggiunge i 500 euro, il 28,2% si colloca tra i 500 e i 1.000 euro, l'11,1% tra i 1.000 e i 1.500 euro, mentre solo il 9,9% supera i 1.500 euro mensili. Da notare che tutte queste cifre sono al lordo, cioè a monte del prelievo fiscale.
Cifre pesantissime, ma che ancora non scontano se non in piccola parte i tagli draconiani imposti con le varie controriforme del sistema pensionistico, che dispiegheranno i loro effetti letali nei prossimi anni, quando le pensioni arriveranno al 45% dei salari, mentre i lavoratori con lunghi periodi di precariato si fermeranno a percentuali ancora più basse.
Dati drammatici, che pure hanno trovato la piena soddisfazione del ministro del Welfare Sacconi e del presidente dell'Inps Mastrapasqua. Mentre per il primo l'unica preoccupazione è la scarsa adesione dei lavoratori (5,3 milioni su una base potenziale quattro volte più grande) ai fondi previdenziali integrativi, il secondo ha rassicurato sul fatto che anche i giovani avranno la loro pensioncina: basterà lavorare fino a 70 anni, versare più contributi ed accontentarsi di una pensione da fame...
Abbiamo scritto più volte che un massacro sociale è alle porte, che l'uso di classe del debito pubblico sarà lo strumento per scaricare sulle classi popolari i costi della crisi del sistema. Ma questo massacro non ha un'ora x. In realtà è già in corso, anche se il peggio deve ancora venire. Istat ed Inps ce lo confermano, così come i dati di Bankitalia sulla ricchezza - il 10% delle famiglie che possiede il 45% della ricchezza, mentre il 50% delle famiglie ne possiede solo il 10% - ci dicono che nella crisi le differenze sociali sono destinate a farsi ancora più profonde.
Come ha argomentato Ennio Bilancini in un suo recente articolo riferito al Nord Africa, non necessariamente la povertà conduce alla rivolta, ma l'impoverimento in genere sì. Nell'ultimo ventennio i salari si sono prima fermati, per poi perdere decisamente potere d'acquisto. I giovani sono stati i più colpiti. Compensavano però le famiglie, con i risparmi e con i redditi degli anziani. Questo schema ormai non funziona più. Funziona, invece, ma non sappiamo ancora per quanto, l'egemonia culturale di quel «pensiero unico» che impedisce di vedere la possibilità della fuoriuscita dal capitalismo.
Intanto, però, la rabbia sociale cresce. Non passerà molto tempo prima che la lotta di classe riprenda il centro della scena. Non sappiamo con quali forme avverrà, ma certamente esse saranno più simili a quanto avviene in Spagna, piuttosto che alle vecchie e logore liturgie sindacali. Non illudiamoci sulla strada che imboccherà questa rabbia sociale. Dipenderà da molti fattori, tra i quali non ci stancheremo mai di sottolineare la necessità di un'adeguata piattaforma politico-programmatica. Non illudiamoci, perché le sconfitte dell'ultima parte del Novecento pesano ancora come macigni. Ma non si illudano neppure le classi dominanti, né i loro scribacchini. Si scordino la pace ed il compromesso sociale. Hanno creato un inferno e dovranno scottarsi anche loro.
Un autentico disastro sociale è in corso. Naturalmente il «partito degli ottimisti» non lo ammetterà mai, naturalmente gli uomini del governo hanno già le loro interpretazioni rassicuranti, naturalmente per quelli della finta opposizione il problema è sempre e solo Berlusconi, ma i dati diffusi nei giorni scorsi da Istat ed Inps parlano chiaro. In Italia la povertà è in crescita, e mentre la disoccupazione giovanile è ormai alle stelle, per gli anziani si prospetta un futuro (vedi i dati sulle pensioni) sempre più nero.
Esagerazioni? No, basta esaminare i numeri nella loro crudezza. Numeri ancora più drammatici se analizzati in prospettiva. Numeri che ci parlano di un futuro insostenibile per il grosso delle classi popolari, specie se passerà la linea dei sacrifici «europei» per la riduzione del debito pubblico. Questa linea non ha oggi oppositori né a destra né nel centrosinistra, mentre di tutto si parla, nei media come nel cosiddetto «dibattito politico», tranne che della gravità della situazione sociale.
Come hanno scritto gli «indignados» spagnoli in un loro cartello: «Il capitalismo non funziona». Un modo sintetico di dire che la crisi è tutt'altro che risolta, che anzi i suoi effetti sociali devono ancora dispiegarsi, che né le oligarchie dominanti né la classe politica al servizio hanno la benché minima idea su come uscirne.
Ma veniamo ai numeri. I dati diffusi dall'Istat ci dicono che 15 milioni di persone si trovano in condizioni di povertà. Si tratta di un quarto della popolazione italiana (per l'esattezza il 24,7%). Si tratta - precisa l'Istat - di famiglie che vivono in condizioni di deprivazione, che non riescono a far fronte a spese impreviste, anche se di modesta entità, che restano morose nel pagamento delle bollette o del mutuo, che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa nei mesi invernali.
Il peggioramento generale delle condizioni economiche emerge chiaramente dal dato sui risparmi delle famiglie, calato nel 2010 del 12,1% rispetto all'anno precedente. Una dinamica facilmente spiegabile alla luce di un altro dato, quello sul potere d'acquisto, calato del 3,5% nel 2009 e di un ulteriore 0,5% nel 2010. Giova ricordare che questi dati sono soltanto delle medie che, viste le gigantesche diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, contengono larghe fasce popolari che hanno visto un crollo del potere d'acquisto (e dunque non parliamo dei "risparmi") ben più grave.
Sta di fatto - segnala l'Istituto di statistica - che, sempre nel 2010, il 16,2% delle famiglie ha dovuto contrarre debiti, mentre la percentuale di quanti sono impossibilitati a far fronte ad una spesa imprevista di soli 800 euro è pari al 33,3%. Le famiglie in arretrato nei pagamenti (mutuo, affitto, bollette, ecc.) sono l'11,1%, mentre quelle che dichiarano di non potersi permettere neppure una settimana di ferie lontano da casa sono addirittura il 40%.
E' esagerato, alla luce di queste cifre, parlare di disastro sociale? Non ci pare proprio. Ma se il presente è questo, il futuro per milioni di persone si chiama Inps, cioè pensioni. E proprio nei giorni scorsi l'Inps ha presentato i dati del 2010. Numeri che parlano da soli: oltre la metà delle pensioni Inps (50,8%) non raggiunge i 500 euro, il 28,2% si colloca tra i 500 e i 1.000 euro, l'11,1% tra i 1.000 e i 1.500 euro, mentre solo il 9,9% supera i 1.500 euro mensili. Da notare che tutte queste cifre sono al lordo, cioè a monte del prelievo fiscale.
Cifre pesantissime, ma che ancora non scontano se non in piccola parte i tagli draconiani imposti con le varie controriforme del sistema pensionistico, che dispiegheranno i loro effetti letali nei prossimi anni, quando le pensioni arriveranno al 45% dei salari, mentre i lavoratori con lunghi periodi di precariato si fermeranno a percentuali ancora più basse.
Dati drammatici, che pure hanno trovato la piena soddisfazione del ministro del Welfare Sacconi e del presidente dell'Inps Mastrapasqua. Mentre per il primo l'unica preoccupazione è la scarsa adesione dei lavoratori (5,3 milioni su una base potenziale quattro volte più grande) ai fondi previdenziali integrativi, il secondo ha rassicurato sul fatto che anche i giovani avranno la loro pensioncina: basterà lavorare fino a 70 anni, versare più contributi ed accontentarsi di una pensione da fame...
Abbiamo scritto più volte che un massacro sociale è alle porte, che l'uso di classe del debito pubblico sarà lo strumento per scaricare sulle classi popolari i costi della crisi del sistema. Ma questo massacro non ha un'ora x. In realtà è già in corso, anche se il peggio deve ancora venire. Istat ed Inps ce lo confermano, così come i dati di Bankitalia sulla ricchezza - il 10% delle famiglie che possiede il 45% della ricchezza, mentre il 50% delle famiglie ne possiede solo il 10% - ci dicono che nella crisi le differenze sociali sono destinate a farsi ancora più profonde.
Come ha argomentato Ennio Bilancini in un suo recente articolo riferito al Nord Africa, non necessariamente la povertà conduce alla rivolta, ma l'impoverimento in genere sì. Nell'ultimo ventennio i salari si sono prima fermati, per poi perdere decisamente potere d'acquisto. I giovani sono stati i più colpiti. Compensavano però le famiglie, con i risparmi e con i redditi degli anziani. Questo schema ormai non funziona più. Funziona, invece, ma non sappiamo ancora per quanto, l'egemonia culturale di quel «pensiero unico» che impedisce di vedere la possibilità della fuoriuscita dal capitalismo.
Intanto, però, la rabbia sociale cresce. Non passerà molto tempo prima che la lotta di classe riprenda il centro della scena. Non sappiamo con quali forme avverrà, ma certamente esse saranno più simili a quanto avviene in Spagna, piuttosto che alle vecchie e logore liturgie sindacali. Non illudiamoci sulla strada che imboccherà questa rabbia sociale. Dipenderà da molti fattori, tra i quali non ci stancheremo mai di sottolineare la necessità di un'adeguata piattaforma politico-programmatica. Non illudiamoci, perché le sconfitte dell'ultima parte del Novecento pesano ancora come macigni. Ma non si illudano neppure le classi dominanti, né i loro scribacchini. Si scordino la pace ed il compromesso sociale. Hanno creato un inferno e dovranno scottarsi anche loro.
* Fonte: campo antimperialista
Nessun commento:
Posta un commento